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9 Gennaio 2022
19:00

Hope e Jo, la storia di due tartarughe legate da un destino crudele: una lenza le ha uccise

A metà dicembre sono state salvate nello stretto di Messina, tra Scilla e Villa San Giovanni. Ma nonostante le cure, l’affetto, la professionalità di chi se n’è preso cura, non ce l’hanno fatta. Hope e Jo, due tartarughe marine, sono morte. Hope è stata l’ultima a smettere di vivere. Aveva un filo lunghissimo in nylon che fuoriusciva dalla bocca. Il team del Centro di recupero tartarughe marine di Brancaleone ha fatto di tutto per aiutarla, ma esami del sangue confermavano una situazione drammatica e una radiografia che non lasciava dubbi sul “colpevole”: le lenze della pesca sono tra le maggiori cause di morte nello Jonio tra Sicilia e Calabria.

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A metà dicembre sono state salvate nello stretto di Messina, tra Scilla e Villa San Giovanni. Ma nonostante le cure, l’affetto, la professionalità di chi se n’è preso cura, non ce l’hanno fatta. Hope e Jo, due tartarughe marine, sono morte. Hope è stata l’ultima a smettere di vivere. Aveva un filo lunghissimo in nylon che fuoriusciva dalla bocca. Il team del Centro di recupero tartarughe marine di Brancaleone ha fatto di tutto per aiutarla, ma esami del sangue confermavano una situazione drammatica e una radiografia che non lasciava dubbi sul “colpevole”: le lenze della pesca sono tra le maggiori cause di morte nello Jonio tra Sicilia e Calabria.

«I due esemplari erano state trovate a poche ore di distanza l’una dall’altra, nello stesso luogo, nelle stesse tragiche condizioni di salute e molto probabilmente vittime della stessa pescata di fine estate. Entrambe avevano mangiato l’esca (un pesce) e ingoiato l’amo e sono state abbandonate dai pescatori a un destino infausto, come la maggior parte delle tartarughe vittime della pesca (250.000 l’anno nel solo Mediterraneo)», spiegano a Kodami dal Centro di recupero.

Tutte e due erano in condizioni così critiche che era impossibile salvarle. «Ma abbiamo comunque tentato una corsa contro il tempo pagando un autista che le portasse subito a Bari per la chirurgia. Purtroppo non c’è stato nulla da fare e con rammarico vi annunciamo questa triste notizia, ringraziando come sempre il nostro chirurgo professor Di Bello per aver fatto il possibile, Alessia Cuzzocrea per il soccorso e la Guardia Costiera e l’Azienda sanitaria provinciale per la collaborazione», aggiungono.

Al Centro di recupero di Brancaleone l’impegno a tutela delle tartarughe è costante. «Nel 2021 ne abbiamo recuperate 61 – spiega Filippo Armonio, responsabile della struttura gestita dall'associazione Blue Conservancy – Ne abbiamo salvate circa il 90%. Le altre muoiono tutte per ami e lenze usate per la cattura del pesce spada. Il problema più grande, qui, è proprio legato alle ‘catture accidentali’. Otto anni fa facemmo una stima di circa 500 tartarughe vittime di questa pratica nel tratto Ionico-reggino, da Roccella a Reggio Calabria». Armonio ricorda bene quest’estate quando un pescatore si presentò al Centro per chiedere aiuto. Nel corso di una ‘calata’ prese sette tartarughe contemporaneamente e fece partire la macchina dei soccorsi. «Nel 99% dei casi se il pescatore ci chiama noi riusciamo a salvarle. Raramente muoiono. Questo accade quando invece le troviamo in acqua dopo uno, due, tre mesi, quando sono debilitate», prosegue.

Se Hope e Jo non ce l'hanno fatta, Moby invece sì: è stato l'ultimo rilascio in mare del 2021. A luglio venne trovato nello Stretto di Messina grazie alla Guardia Costiera e ai bagnanti che lo avevano avvistato pronto a spiaggiarsi. Aveva una grande ferita da elica sul carapace. Le cure del centro Brancaleone, e un lento ma necessario recupero, hanno permesso di liberarlo di nuovo in mare.

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