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18 Maggio 2023
13:39

Gli invertebrati possono soffrire e patire la prigionia? Nuove ricerche dicono di sì

Anche se molti allevatori di animali esotici sostengono che degli invertebrati non soffrano in casa, in quanto animali privi di cognizione e di capacità di provare dolore, la ricerca sostiene il contrario.

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Il tema della sofferenza animale è molto delicato, soprattutto se si prendono in esame specie molto lontane dalla nostra idea di coscienza, emozioni e cognizioni. Per anni, infatti, i ricercatori si sono chiesti quanto fosse davvero possibile riuscire a comprendere per esempio cosa prova un animale dotato di otto zampe, come un ragno, oppure uno che non possiede nemmeno un vero e proprio cervello. La ricerca etologica e biologica ha però fatto dei grandi progressi sulla comprensione del dolore e della sofferenza negli altri animali, andando di pari passo verso una maggiore conoscenza e consapevolezza riguardo le diverse forme di vita.

Recenti ricerche stanno permettendo di inquadrare meglio l'argomento e uno dei quesiti principali a cui gli scienziati stanno tentando di rispondere è legato al modo in cui gli invertebrati reagiscono allo stress e al dolore. Per quanto infatti la sofferenza non possa essere misurata direttamente, afferma CM Sherwin, dell'Università di Bristol – autore di uno studio recente che approfondisce il tema della sofferenza negli invertebrati – quando i ricercatori hanno esaminato da vicino le risposte di questi animali a situazioni di stress e di pericolo, hanno potuto osservare che spesso si comportano in modo analogo ai vertebrati.

Gli invertebrati per esempio sottoposti alla fame, alla costrizione fisica, a percosse o a condizioni ambientali innaturali, cominciano a isolarsi, a eseguire comportamenti strani, a essere più letargici e spaventati. Animali come scarafaggi, mosche e lumache hanno d'altronde già da molto tempo dimostrato di possedere memoria a breve e lungo termine, per quanto siano privi di un cervello e di un sistema nervoso sviluppato come quello dei vertebrati.

Questa loro capacità – di ricordare la sofferenza provocata nei loro confronti – mette di fronte a una realtà diversa da quella percepita coloro che ritengono gli invertebrati dotati di capacità cognitive inferiori. Se infatti questi animali possono essere in grado di ricordare le esperienze che hanno provato, se riescono a disporre di un apprendimento spaziale, associativo e sociale complesso e se esprimono ad esempio la volontà di vivere all'aria aperta, quali ragioni avremmo noi di dubitare che non possono essere in grado di avere un minimo livello di coscienza che li rende consapevoli dei danni che gli arrechiamo?

«La somiglianza delle loro risposte con quelle dei vertebrati, quando sono sottoposti a fenomeni di stress intenso, può indicare solo un livello di coscienza o sofferenza che normalmente non è attribuito agli invertebrati», conferma Sherwin, consigliando di procedere con prudenza non solo sulla sperimentazione, ma anche quando si usano argomenti per sostenere la "non intelligenza" di questi animali o il "diritto di poterli possedere".

Un altro studio pubblicato da Maria Trabalon dell'Università di Rennes si concentra proprio sugli effetti della cattività su una particolare specie di ragno lupo (Pardosa saltans), spesso allevata come animale di compagnia, in maniera simile a quanto avviene con le tarantole. Questo animale, infatti, viene spesso preso in considerazione all'estero come un esempio virtuoso per il possesso domestico di ragni, poiché in natura risulta più piccolo e meno in salute rispetto alla controparte che vive nei terrari. Ciò ha spinto molti allevatori a sostenere che sarebbe la prova che la cattività possa risultare un vantaggio per questi animali, l'unica opportunità per «vivere meglio e dignitosamente».

Bisognerebbe invece riflettere, semplicemente, che essere più grossi non vuol dire necessariamente vivere meglio. La dottoressa Trabalon ha infatti studiato a fondo la questione, verificando che sì, le condizioni di vita all'interno dei terrari hanno avuto un impatto positivo sulla massa corporea dei ragni adulti, ma che in cambio gli esemplari hanno cominciato ad assumere comportamenti aberranti, come la perdita progressiva d'interesse ad esplorare – anche quando venivano sottoposti a nuovi contenitori – oltre che a chiari segni di malessere.

«I risultati suggeriscono che l'arricchimento fisico dell'ambiente possa ridurre minimamente questi effetti negativi per le femmine – ha chiarito la ricercatrice – ma non per i maschi, che sembrano invece essere maggiormente sensibili e risultano molto più colpiti dal vivere in condizioni controllate».

I ragni studiati in Francia hanno infatti cominciato a produrre ragnatele che non avevano forme equiparabili a quelli degli esemplari liberi in natura, a mangiare di più o di meno a secondo del livello di stress e ad avere comportamenti violenti seguiti da momenti di apatia per l'intero loro ciclo vitale, quando sono stati sottratti da condizioni di semi-libertà per vivere nei tipici "contenitori" da laboratorio. Comportamenti che non possono inoltre essere gestiti esclusivamente con l'arricchimento fisico dell'ambiente. Ciò ha spinto Trabalon a suggerire quindi un cambio di paradigma nel mantenimento di questi animali nei terrari.

In Italia e in Europa le leggi specifiche sul mantenimento di animali selvatici o ritenuti pericolosi in casa, come i ragni, stanno andati incontro a un processo di revisione che ha previsto l'eliminazione di diverse specie precedentemente considerate allevabili. Secondo infatti il Decreto Legislativo n. 135/2022 dello scorso settembre è vietato a chiunque di detenere, importare, commerciare o far riprodurre animali vivi, compresi gli ibridi, qualsiasi specie selvatica ed esotica che sia stata prelevata in natura, in Italia o all'estero, con piccole eccezioni legate al mondo dell'acquariofilia. E tra le specie pericolose, vengono considerate anche tutte quelle che mettono a rischio la biodiversità, come quelle aliene.

Il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica sta creando delle vere e proprio black list di specie che in futuro non potranno più essere commercializzate, anche se provenienti da allevamenti privati e certificati, per motivi connessi al rischio zoonosi, alla tutela della biodiversità, al potenziale rischio d'incidenti (molti serpenti e ragni esotici velenosi sono scappati nel corso degli ultimi anni dalle case dei loro proprietari) e – soprattutto – per il benessere fisico e psichico degli stessi animali. 

Questa legge vale anche per i circhi e le mostre itineranti, che dovranno sempre di più abbandonare il concetto dello show con gli animali selvatici, nel tentativo di arginare i maltrattamenti nei confronti di tutta la fauna, così che solo i centri autorizzati, come i bioparchi, i centri di recupero, le strutture approvate dal Ministero della Transizione Ecologica e i Reparti Carabinieri per la Biodiversità potranno in una qualche maniera gestire fauna "non considerata domestica". Questa è composta da tutte quelle creature che non sono né animali domestici (cani, gatti, in qualche rarissimo caso alcuni rettili come specifici gechi e tartarughe), né animali da fattoria.

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Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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