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30 Settembre 2022
15:51

Fossili di antichi anfibi rivelano un sistema di galleggiamento simile a quello dei lamantini

Il Metoposaurus krasiejowensis era un antico anfibio vissuto più di 200 milioni di anni fa e una recente scoperta racconta come grazie alle ossa del cinto scapolare particolarmente dense riuscisse a rimanere per lungo tempo sul fondo di ecosistemi acquosi.

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La cintura zavorrata di un sub è un dispositivo semplice ed efficace, una idea brillante insomma, tanto da essere presente anche nell'anatomia di animali di milioni di anni fa. Un nuovo studio, infatti, rivela che una grande specie anfibia, il Metoposaurus krasiejowensis che visse più di 200 milioni di anni fa, compensava la galleggiabilità con un pesante cinto scapolare che gli permetteva di camminare su fondali di laghi e fiumi, una struttura anatomica molto simile a quella degli odierni lamantini.

Senza dubbio Augustus Siebe, ingegnere tedesco al quale si deve la creazione del primo scafandro da palombaro nel 1837, avrebbe giovato di questa conoscenza per prendere uno spunto interessante e rendere la propria invenzione ancora più efficace. Con una semplice cintura come zavorra sarebbe riuscito a far muovere più agilmente i poveri palombari che, invece, erano costretti a indossare pesanti scarpe ed elmi in ottone.

La scoperta è stata fatta da un team di ricercatori delle Università di Bonn e Opole, in Polonia, che ha esaminato le ossa dell'antico cinto scapolare al microscopio e i risultati sono stati pubblicati su Journal of Anatomy.

Metoposauridi, antiche salamandre di 3 metri

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Ricostruzione dello scheletro di Eryops megacephalus, anfibio appartenente alla famiglia dei metoposauridi, immagine di Camelops via Wikimedia Commons

Tra 225 e 215 milioni di anni fa, a sud-ovest dell'attuale Polonia esistevano delle grandi pianure alluvionali. Lì, fra le nere acque salmastre e i torbidi fanghi, un grande anfibio predatore passava le sue giornate immergendosi per lungo tempo sul fondale in attesa di una preda: era il Metoposaurus krasiejowensis.

Questo animale faceva parte della famiglia dei metoposauridi, anfibi i cui reperti più antichi risalgono a 300 milioni di anni fa, quasi alla fine dell'era Paleozoica, in concomitanza con la formazione del super-continente chiamato Pangea. I metoposauridi erano sorprendentemente diversi dalle altre specie di antichi anfibi a causa del loro grande cranio arrotondato, di ossa massicce e di un piccolo cinto pelvico dal quale si dipartivano piccole zampe. L'importanza filogenetica di questi anfibi è ancora discussa fra gli scienziati, ma alcuni ricercatori ritengono che le moderne rane, rospi e salamandre potrebbero essere i discendenti proprio di questi animali.

Nei primi anni del 1900, il paleontologo tedesco Eberhard Fraas fu il primo a ipotizzare che i metoposauridi vivessero la maggior parte della loro vita sul fondo di ecosistemi acquatici poco profondi. La sua ipotesi era basata sul fatto che le ossa della spalla fossero molto grandi e pesanti e immaginava potessero avere la funzione di far affondare l'animale. Una strategia simile è visibile anche nei lamantini moderni che spinti dal peso delle loro ossa pettorali si immergono in profondità in habitat costieri per pascolare piante sottomarine. Quella di Eberhard Fraas, però, era solo una congettura ed è qui che entrano in gioco i ricercatori dell'Istituto di Geoscienze dell'Università di Bonn e di Opole.

Come i metoposauridi si immergevano in acqua

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Calco del cranio di Eryops megacephalus, foto di Gunnar Creutz via Wikimedia Commons

Per testare queste ipotesi, i ricercatori hanno dovuto estrarre dei frammenti ossei dal cinto scapolare di Metoposaurus krasiejowensis. Le sezioni ossee esaminate erano molto sottili per poter permettere un'analisi il più accurata possibile al microscopio. Una volta terminata la procedura di estrazione si è passati con la scansione delle sezioni e le immagini così ottenute sono state analizzate da un software che ha calcolato la percentuale di compattezza dell'osso.

Così facendo i ricercatori hanno scoperto che queste ossa dell'antico anfibio erano molto dense perché i pori attraverso i quali erano soliti passare i vasi sanguigni erano molto piccoli. Dunque la scoperta è un elemento a favore della supposizione del paleontologo tedesco: Metoposaurus krasiejowensis era quasi sicuramente un predatore sottomarino. Attendeva la propria preda sul fondo e al minimo movimento si scagliava contro di essa con le fauci spalancate.

Rimanere sul fondale ha molto senso anche da un punto di vista ecologico. Infatti, sono molti i predatori acquatici e per questo c'è bisogno di una netta separazione di nicchia spaziale per non entrare in conflitto: alcuni animali perlustrano quindi le acque superficiali a caccia di qualche sventurato organismo che si avvicina per abbeverarsi, altri nuotano nelle acque intermedie e altri ancora, come il Metoposaurus krasiejowensis, attendono placidi sul fondo pronti a scattare verso l'alto come molle.

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