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4 Marzo 2023
19:00

Era glaciale: un’antica popolazione andalusa è rimasta isolata per oltre 6000 anni

Piccoli reperti stanno permettendo gli scienziati di riscrivere l'intera storia della colonizzazione umana dell'Europa.

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La Spagna ha rappresentato uno dei rifugi più importanti per la popolazione umana durante l'ultimo picco glaciale. Ed è anche per questa ragione se nel corso degli ultimi anni è stata capace di attrarre moltissime ricerche paleontologiche, condotte soprattutto nelle regioni più meridionali, come l'Andalusia. Un'ultima scoperta, pubblicata recentemente, sta fornendo nuovi e importanti indizi relativi all'espansione umana in Europa: è stata trovata la più antica traccia genetica mai trovata nel Sud Europa.

La notizia è stata pubblicata da Nature, tramite un articolo la cui stesura ha coinvolto scienziati spagnoli, tedeschi e italiani. Il team ha analizzato il genoma proveniente da alcuni reperti archeologici dalla Cueva del Malalmuerzo, che dista solo pochi chilometri dall'importante città di Granada. L'estrazione del DNA antico era ritenuto necessario soprattutto per riuscire a posizionare questi reperti all'interno del complicato albero evolutivo dell'evoluzione umana.

Il lavoro di sequenziamento, guidato da Vanessa Villalba-Mouco del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in Germania, è riuscito così a tracciare l'ascendenza di questa popolazione andalusa, che risale a 23.000 anni fa e che era stata inquadrata nella cultura paleolitica solutreana.

«Questo individuo andaluso ci ha aiutato a capire il ruolo della penisola iberica come rifugio per le popolazioni paleolitiche, in un momento in cui altre aree del continente europeo erano rimaste senza abitanti – ha sottolineato Vanessa Villalba-Mouco – Inoltre, grazie all'elevata qualità dei dati ricavati dal reperto, siamo riusciti a identificare le tracce di uno dei primi lignaggi genetici che ha colonizzato l’Eurasia. È importante infatti far notare che tramite lo studio del DNA antico abbiamo trovato somiglianze fra questo reperto andaluso e un individuo di 35.000 anni fa proveniente dal Belgio, la cui ascendenza può ora essere ricondotta alla popolazione proveniente dall’Iberia meridionale».

Il team di scienziati afferma ciò perché in realtà lo studio sul sequenziamento genetico del reperto di Malalmuerzo è solo una parte di una ricerca molto più grande, anch'essa pubblicata contemporaneamente su Nature, che ha coinvolto diversi reperti. Dopo aver infatti sequenziato il DNA dell'individuo spagnolo, gli scienziati hanno messo a confronto il suo genoma con quello di altri 356 individui, provenienti da 14 paesi diversi, europei ed extra europei. E i risultati sono stati molto importanti e potrebbero riscrivere, almeno in parte, la storia genetica dei nostri antenati.

La sorpresa più grande per i diversi scienziati coinvolti – tra cui l'italiana Sahra Talamo, dell'Università di Bologna, e Luca Sineo, dell'Università di Palermo – è stata scoprire infatti che diverse popolazioni europee associate al periodo Gravettiano, presenti in Europa tra 32.000 e 24.000 anni fa, non erano imparentate tra loro. E fra queste c'è proprio la popolazione andalusa, che all'epoca risaltava fra tutte come un gruppo a parte.

Le analisi del DNA dei reperti ritrovati in Spagna, Francia e Belgio, tra gli altri, hanno d'altronde mostrato come in quel periodo si differenziassero due gruppi principali di sapiens in Europa. Il primo ea composto dalle popolazione che avevano affrontato il ghiaccio durante il passato picco glaciale, gruppo che poi gli era sfuggito, rifugiandosi a Sud, raggiungendo la Spagna. Il secondo gruppo era invece quello che si era insidiato solo successivamente in Europa, giungendo da territori come l'Anatolia o l'est Europeo. «Seppur questi due gruppi utilizzavano la stessa tecnologia o condividessero la stessa cultura paleolitica, filogeneticamente avevano origini diverse», chiariscono i ricercatori.

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In sostanza, le popolazioni spagnole di 23.000 anni fa si sono rivelate essere figlie di quei gruppi di esseri umani che vivevano in Europa prima del picco glaciale. In quest'epoca infatti le condizioni estreme che avevano raggiunto il continente avevano spinto buona parte di queste popolazioni arcaiche centroeuropee a rifugiarsi in una delle "tre sacche geografiche" che consentivano di sopravvivere al gelo. Tali sacche erano la penisola iberica, italiana e balcanica. E dalla prima sacca, la più isolata geograficamente e la meno condizionata da eventuali nuovi arrivi dall'Est, nacque la popolazione spagnola – più isolata – rappresentata dal reperto andaluso.

Ciò ha comportato che quando nuove popolazioni umane sono sopraggiunte in Europa, dopo la fine del picco glaciale, queste popolazioni più antiche erano ormai ristrette in un unico territorio geografico, essendo di fatto circondati da sapiens culturalmente più avanzati che avevano preso il controllo del resto del continente.

Riferendosi al ruolo assunto in questa fase dall'Andalusia, Villalba-Mouco spiega che neppure l'Italia poteva risultare un rifugio migliore, per via degli ingressi provenienti dall'Est. «In Italia puoi effettivamente vedere una sostituzione delle popolazioni tra quelle c'erano prima e dopo l'era glaciale, mentre ciò in Andalusia questo non succede», riassume.

Alla fine, secondo i risultati di questa ricerca, bisogna comprendere che la sostituzione di alcuni gruppi umani non si tratta di un fenomeno isolato. Gli scienziati ne sono convinti,  perché l'ascendenza genetica delle popolazioni gravettiane tipiche dell'Europa centrale e meridionale che compaiono durante gli anni del disgelo scompaiono, a loro volta, per via di altri successivi ingressi, sempre verificatesi in Europa Orientale. «Abbiamo scoperto che gli individui associati a una cultura successiva, l'Epigraveziano, sono in pratica geneticamente diversi dagli antichi abitanti dell'Italia di epoca gravettiana – dichiara He Yu, un altro importante coautore dei due articoli. – Probabilmente questo ci permette di credere che ciclicamente migliaia di persone entravano in Europa, attraversando i Balcani, raggiungendo prima il nord Italia per poi diffondersi a sud fino alla Sicilia».

L'ultima nota importante da sottolineare è che gli autori dei due studi non hanno trovato nessun legame genetico tra le popolazioni che abitavano la penisola iberica meridionale, quella italiana e quelle che erano presenti in Nord Africa 23.000 anni fa. Un'altra testimonianza del fatto che queste antiche popolazioni europee non avessero intessuto scambi genetici con nessun'altra comunità, dal momento in cui avevano raggiunto l'Andalusia, neppure con gli abitanti distanti solo pochi chilometri, oltre lo Stretto di Gibilterra.

« A Malalmuerzo non abbiamo trovato alcuna prova di un contributo genetico da parte dei lignaggi nordafricani e non c’è alcuna prova di un contributo genetico dalla Spagna meridionale nei genomi degli individui di 14.000 anni fa della grotta di Taforalt, in Marocco – ha dichiarato Gerd-Christian Weniger che ha collaborato al secondo studio – Perché lo Stretto di Gibilterra fosse una barriera alla fine dell’ultima era glaciale è ancora una delle questioni irrisolte della ricerca archeologica nella regione del Mediterraneo occidentale. Però è indubbio che queste culture solutreane spagnole resistettero per millenni all'avanzata degli altri sapiens, provenienti da tutte le direzioni».

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L’arrivo del Neolitico portò dei grandi cambiamenti all’interno delle popolazioni europee e asiatiche

Questa affermazione è corroborata dal fatto che i risultati genetici mostrano che non vi è stato alcuno scambio genetico in Andalusia – tra queste popolazioni di cacciatori-raccoglitori e le altre più moderne – per più di 6.000 anni. Il primo incontro fruttuoso fra le popolazioni di cacciatori raccoglitori dell'Europa centrale con quelle andaluse avvenne infatti solo circa 8.000 anni fa, quando l'agricoltura e il sedentarismo raggiunsero il vecchio continente dall'Anatolia. Solo allora cacciatori-raccoglitori con origini e aspetti diversi iniziarono a mescolarsi tra loro.

Quanto erano però diverse queste popolazioni europee? «Molto. Erano diversi per stazza, per il colore della pelle, degli occhi e forse persino nel modo di cacciare», ha spiegato He Yu.

Di preciso, nella penisola iberica, conclude Vanessa Villalba-Mouco, la stirpe degli uomini che è rappresentata dall'uomo trovato nella cava di Malalmuerzo ha continuato ad essere quella predominante fino all'arrivo del Neolitico, 7.000 anni fa. «Entrambi gli studi concludono quindi che il successo delle popolazioni spagnole dipendeva direttamente dalle condizioni climatiche del momento e dalla capacità con cui gli esseri umani si sono adattati al loro specifico ambiente».

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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