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17 Gennaio 2023
9:00

Come si forma il fossile di un dinosauro

I fossili sono l'oggetto di studio della paleontologia e ci permettono di comprendere varie nozioni sul mondo preistorico dei dinosauri e non solo. Non tutti sanno però cosa sono e come si formano.

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Da quando hanno cominciato ad arricchire le collezioni museali di mezzo mondo, di seguito al primo ritrovamento di William Buckland nel 1824 avvenuto nel Sussex, i fossili di dinosauri affascinano e generano curiosità in ogni tipologia pubblico, senza che il trascorrere degli anni intacchi il loro mito. Non tutti però sanno realmente cosa sono. Si definiscono fossili tutti i resti e le tracce appartenute ad organismi conservatisi nelle rocce, tramite processi di sedimentazione e alterazione chimico-fisica dei reperti indotte dalla sedimentazione stessa.

Essi ci permettono di avere idea della natura dell'antiche specie e di studiare l'evoluzione degli ecosistemi e della geologia del pianeta Terra, lungo il corso della sua lunga storia. Ed è anche grazie a loro, inoltre, se abbiamo sempre più chiaro il percorso che ha condotto antiche forme di vita unicellulari ad evolversi e a sviluppare – tramite la selezione naturale ben cara a Darwin – tutte le altre, da quelle estinte a quelle presenti fino ad oggi.

I processi di fossilizzazione

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Riguardo al processo che ha permesso agli organismi di sopravvivere alla quasi inevitabile decomposizione, gli studiosi hanno dovuto studiare per decenni i reperti e la geologia delle rocce circostanti i diversi luoghi di ritrovamento, prima di capire il meccanismo che ha portato alla conservazione dei fossili. In realtà i processi di fossilizzazione sono tanti e diversi, ma in linea generale la maggioranza dei reperti è il prodotto della conservazione dovuta ai sedimenti e di un processo noto come mineralizzazione.

Per capire la natura dei fossili, intanto bisogna comprendere che il processo di fossilizzazione di un organismo è un evento raro e molto lungo. Inoltre più si va indietro nel tempo, studiando rocce via via più antiche, meno frequenti ed appariscenti saranno i reperti, con un incremento della difficoltà nello studio. Infine bisogna anche ricordare che se l'organismo di cui abbiamo trovato i resti era dotato di apparati "duri", mineralizzati, come gli scheletri o le valve dei molluschi, più possibilità aveva l'esemplare di conservarsi di seguito alla morte.

Affinché la fossilizzazione  si verifichi devono essere però soddisfatte quattro condizioni. La prima vuole che la creatura – o la traccia che questa ha lasciato nell'ambiente – deve deporsi o venire ricoperta in un ambiente sedimentario favorevole. Questo perché i fini sedimenti derivanti, per esempio, da un'alluvione o da una frana proteggono meglio il fossile dalla prematura decomposizione indotta dai batteri aerobici  e dai funghi, per non parlare dalla predazione degli animali spazzini.

La seconda condizione prevede che il processo di seppellimento del fossile deve essere rapido, in quanto le probabilità di disarticolazione e di distruzione del reperto per fattori atmosferici aumentano con la durata dell'esposizione all'aria aperta. La terza condizione invece vuole che questi reperti, inglobati nelle rocce sedimentarie, scambino con il tempo i minerali presenti nell'organismo con i sedimenti e le soluzioni circostanti, tramite delle reazioni chimiche naturali che sostituiscono per esempio i minerali delle ossa, trasformandoli in vere e proprie rocce. Questo processo si definisce litificazione.

Per rispondere dunque alla domanda di prima, quando i paleontologi estraggono da un sito dei reperti fossili non è vero che estraggono direttamente le ossa di un dinosauro dal terreno. Quello su cui lavorano i paleontologi è invece la roccia che ha sostituito lo scheletro dell'animale, testimonianza che ne ha comunque conservato nei minimi particolari l'aspetto, tanto che oggi gli scienziati riescono a riconoscere dai fossili i punti di sutura delle fratture rimarginate degli antichi animali.

L'ultima condizione che deve verificarsi affinché oggi possiamo ottenere un fossile è che lo strato di roccia su cui si è fossilizzato l'organismo non sia andato incontro a processi geologici complessi che ne hanno alterato la struttura, come il vulcanismo o il metamorfismo. Qualora un fossile si trovasse in rocce metamorfiche o soggette al calore del magma, perderebbe difatti tutta la sua organizzazione anatomica, rendendolo irriconoscibile.

Come avviene la fossilizzazione di animali e vegetali

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Come abbiamo detto, oggi la scienza riconosce differenti tipologie di fossili, che a livello tecnico definisce come resti originali, resti sostituiti, calchi e tracce.

I resti originali sono dei casi particolari. Principalmente sono interi corpi o parti di animali perfettamente conservati, grazie alle rare condizioni ambientali che si sono verificate al tempo del decesso degli animali o delle piante. Esempi di resti originali sono gli antichi mammut siberiani, alcuni reperti ritrovati nelle paludi e gli animali catturati dal bitume. È del tutto impossibile inoltre ritrovare antichi resti originali che non si siano mineralizzati lontano da antichi pantani d'asfalto, come quello nei pressi di Ranch La Brea in California. Le restanti tipologie di fossili invece hanno subito il processo di fossilizzazione per mineralizzazione o si son conservati a seguito della copertura da parte di uno strato impermeabile di sedimenti.

In generale comunque il processo inizia con la morte dell'organismo o con un evento geo-atmosferico di grande entità che ricopre rapidamente e violentemente l'antica superficie esposta del terreno. Bisogna però distinguere le differenti tipologie di fossilizzazione che coinvolgono le piante dagli animali.

La carbonificazione è infatti un processo che riguarda in particolar modo i resti vegetali ed è dovuto soprattutto al lavoro dei batteri anaerobici, che svolgono principalmente il compito di eliminare l'ossigeno e l'azoto dalle molecole della pianta, arricchendo indirettamente il fossile di carbonio, tanto che in alcuni ambienti completamente liberi dall'ossigeno i resti di vegetali tendono a formare il carbon fossile. Qualora però i resti vengano sepolti in fango organico, questi producono fossili riconoscibili solo in caso in cui i processi diagenetici (trasformazioni chimico-fisiche che subiscono i sedimento dopo la loro deposizione iniziale) sono quasi del tutto assenti.

Anche gli animali ovviamente possono subire il processo di carbonificazione, ma a differenza delle piante la loro struttura ne risulta altamente modificata, tanto che spesso è impossibile ricavarne la morfologia pre-morte. E i loro grassi e le proteine, alterati dai processi chimici degli ambiente anaerobi, si trasformano prevalentemente in idrocarburi.

La silicizzazione è un'altra tipologia di fossilizzazione dei vegetali molto spettacolare, che porta alla formazione delle "foreste pietrificate". Qui la silice va a rivestire i canali e i tubuli presenti all'interno del legno delle antiche piante, fino a ricoprirli completamente come dei piccoli tubicini ricoperti di gel. Nel corso del tempo, la silice si fossilizza, mutando in quarzo microcristallino, dalle tonalità multicolori a secondo delle percentuali di silice ancora presente.

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Le antiche e spettacolari foreste pietrificate dell’Arizona

Oltre al processo di fossilizzazione classica per sostituzione minerale che abbiamo già visto, esistono altri processi che permettono ai resti degli animali di conservarsi. L'inglobamento in ambra fossile è forse uno dei processi più famosi, di seguito al successo ottenuto dal film di Jurassic Park, ma come è noto l'ambra non è stata capace nel catturare animali di medie e grandi dimensioni. L'animale attualmente più grande conservato nell'ambra è infatti un piccolo uccello del Cretaceo, che però all'inizio era stato considerato erroneamente un cucciolo appena nato di dinosauro. Riportiamo qui il video ufficiale della rivista Nature, che commenta la scoperta.

La Mummificazione è sicuramente invece il processo che permette di ottenere i reperti animali più spettacolari dell'epoca dei dinosauri, poiché permette di osservare la conservazione di parti molto delicate (quelle molli) dell'animale. Un esempio famoso di mummificazione di dinosauro è il caso di alcuni esemplari di Edmontosaurus, vissuti anch'essi durante il Cretaceo, che furono trovati completi della pelle e degli organi interni. Si pensa che tali ritrovamenti siano possibili poiché se gli animali vengono sepolti da sabbie particolarmente secche, come quelle di un deserto, la limitazione dei fluidi nei sedimenti successivi permettono la pietrificazione quasi completa della pelle e dell'organismo.

La Distillazione è infine un processo che permette di conservare l'impronta dell'animale, con tutti i particolari dovuti dalle penne o dalle squame, sulle rocce dei sedimenti. Questa imrponta si forma a seguito della formazione di una sottile pellicola di carbonio sopra la superficie del sedimento in cui si è depositato il fossile. I reperti più famosi conservati tramite questo processo sono l'Archaeopteryx bavarese e molti dei dinosauri piumati che sono stati scoperti recentemente, nel corso dell'ultimo decennio, in Cina.

Come si forma un'impronta fossile

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Le impronte di Altamura in Puglia

Uno studio molto sottovalutato da parte del pubblico è quello che coinvolge le orme fossili. Queste infatti, per quanto meno spettacolari degli altri ritrovamenti fossili, ci permettono di capire se una determinata specie camminava su due o su quattro zampe. Ci permettono di capire qual era la velocità dell'animale e se questo presentasse un comportamento sociale, che gli permettesse di formare gruppi e mandrie numerose. Infine ci aiutano a comprendere, qualora riconosciamo la specie che ha impresso i suoi passi sul suolo, quale era la dimensione e la taglia dei vari esemplari, a secondo anche dell'età e del sesso, tramite la distanza tra un’orma e l’altra. Come però si sono conservate le impronte?

In verità i fossili che oggi osserviamo e che riconosciamo come impronte non sono le vere tracce lasciate sulla superficie del terreno dagli animali, ma delle sotto-impronte, ovvero le depressioni degli strati non superficiali del suolo, che si sono andate a creare di seguito alla presenza vera e propria dell'impronta in superficie. Queste sotto impronte riuscirono a salvarsi di seguito al loro indurimento, indotto dalla comparsa di uno strato impermeabile sopra la superficie. Tale strato ovviamente limitava l'ingresso dei fluidi negli strati sottostanti e proteggeva anche meccanicamente le sotto-impronte dal logorio dei passi successivi.

A cosa servono i fossili?

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Come spesso sostenuto dai paleontologi, i fossili non ci permettono direttamente solo di capire come sia stata la vita delle antiche creature, ma presentano anche tantissimi indizi utili per comprendere come l'organismo abbia interagito con gli altri animali, le piante e in generale con gli ecosistemi del passato.

Dallo studio dei fossili possiamo comprendere le strategie di caccia, il tasso evolutivo di una famiglia di specie in un determinato periodo della scala geologica e le relazioni che sussistevano fra le diverse comunità animali, quando queste venivano messe a confronto.

Un uso invece molto diretto dei fossili da parte dei geologi è quello cronostratigrafico e stratigrafico, ovvero usano i reperti fossili per datare gli strati di roccia, scovare l'eventuale presenza di giacimenti petroliferi o minerari ed eventualmente per posizionare altre specie nella scala evolutiva della vita.  Inoltre i fossili donano sempre nuove prove a sostegno alla teoria dell'evoluzione darwiniana e ci permettono di comprendere lo sviluppo di fenomeni complessi, come l'evoluzione della sessualità, della coscienza all'interno dei vari taxa e i rapporti di parentela fra specie morfologicamente distanti.

Dove si trovano i fossili?

Fossili di dinosauro sono stati ritrovati in quasi tutte le regioni del mondo… o almeno in quelle aree che durante il Mesozoico erano emerse e permettevano la migliore conservazione dei reperti. Come detto nell'introduzione, il primo reperto di Dinosauro che sia mai stato scoperto è stato trovato in Sussex, nel 1824, ed apparteneva a un medio-piccolo predatore, simile ad una lucertola. All'epoca il primo fossile di Megalosaurus colpì pesantemente l'immaginario degli esperti, tanto che già allora gli scienziati capirono che si trovavano dinnanzi ad una nuova tipologia di animale, non più in vita, che ricordava un rettile, come disse Cuvier. Ironico il fatto che il primo dinosauro fu scoperto da un pastore e teologo anglicano, Buckland, che credeva fermamente nella possibilità di unire le conoscenze religiose con il proprio sapere scientifico, che andava contro ciò che impartiva la Chiesa.

Da allora sempre più specie di quelli che vennero poi definiti dinosauri sono stati scoperti. E se storicamente all'inizio sono stati l'Inghilterra, la Frannica e gli Stati Uniti le nazioni maggiormente coinvolte nel ritrovamento di fossili, oggi molto importanti sono anche le nazioni africane come l'Argentina e la Cina, che corrispettivamente sono la patria dei sauropodi più grandi che siano mai esistiti e di centinaia di specie di dinosauri piumati simili agli uccelli.

In Italia la presenza di fossili di dinosauri è stata in passato considerata ridotta poiché all'epoca dei giganti la nostra penisola era per buona parte sommersa dall'Oceano Tetide. Questo però non vuol dire che siano stati del tutto assenti i ritrovamenti. Oltre infatti alla scoperta di alcune specie di rettili marini (cugini dei dinosauri) nelle Alpi e negli Appennini, nel 1993 è stata riportata all'attenzione del pubblico mondiale la scoperta del primo dinosauro italiano, Scipionyx samniticustrovato a qualche chilometro ad est di Napoli, a Pietraroja.

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Lo Scipyonix samniticus abitava le isole che un tempo erano presenti nel territorio campano

Inoltre è abbastanza recente la scoperta di un intero gruppo di grossi erbivori vicino a Trieste, appartenenti alla specie Tethyshadros insularis, la cui identificazione e classificazione è stata pubblicata su Nature, nel 2021.

Nel 2000 invece era toccato al Saltriovenator essere scoperto, nella provincia di Varese. Questo teropode apparteneva al gruppo dei Ceratosauri e per ora rappresenta il predatore più grande che sia mai stato scoperto nella nostra penisola.

Un altro misterioso teropode invece è stato scoperto nel 2005 in Sicilia, con un osso recuperato dalla parete della Grotta Lunga nella zona di Capaci in provincia di Palermo. Di questo ritrovamento se ne sa ancora poco e la specie non ha ancora un nome. Si conosce difatti solo l'età, provenendo dall'Aptiano superiore (113-125 milioni di anni fa).

Sono invece davvero numerosi i ritrovamenti di orme fossili. Da quelle famose di Altamura in Puglia a quelle storiche di Agnano Pisano, tutti e tre i periodi mesozoici (Triassico, Giurassico e Cretaceo) sono rappresentati da almeno due siti, in cui è possibile trovare le impronte fossili degli antichi giganti che un tempo solcavano l'Italia.

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I luoghi in cui è possibile osservare orme fossili

Riguardo invece ad un po' di record, il ritrovamento fossile del dinosauro più antico risale a 230 milioni di anni fa ed appartiene alla specie Nyasasaurus parringtoni, scoperto nell'odierna Tanzania. Se vogliamo invece considerare non solo i dinosauri ma tutti gli esseri viventi, il ritrovamento più antico di un animale risale a 890 milioni di anni fa ed appartiene ad una spugna, mentre il più antico fossile in assoluto ha 3,7 miliardi di anni, è stato scoperto in Groenlandia e testimonia la formazione di una fra le prime comunità di batteri .

Non ha senso invece domandarsi qual è la specie animale più recente tra i fossili? Questa domanda giunge spesso nelle mostre paleontologiche e come riferito da molti scienziati non è un quesito che ha molto senso.

Un fossile propriamente detto è come abbiamo spiegato un qualsiasi reperto conservatisi precedentemente all'età del ferro, ma vengono considerati fossili da buona parte degli esperti anche i gatti o i cani mummificati dell'antico Egitto o del medioevo, perché presentano molte interessanti informazioni riguardanti il loro tempo e il rapporto fra gli esseri umani e la natura. Non si tratta però di certo di specie scoperte tramite i fossili, ovviamente. Neanche i ritrovamenti di antichi lupi italiani risalenti all'anno mille per quanto importanti possono vantarsi di essere così diversi rispetto agli attuali lupi che vivono nei nostri boschi.

Inoltre la datazione di qualsiasi fossile è di difficile interpretazione ed è impossibile dire con esattezza se una fra due specie è più o meno antica dell'altra. L'evento di speciazione infatti avviene in migliaia, se non in milioni di anni, in taluni casi. E durante questo periodo una stessa specie può mutare parecchio, restando morfologicamente comunque molto simile a sé stessa. E per comprendere le ragioni che spingono i ricercatori a non definire quale sia la specie fossile più recente, bisogna sapere che ancora oggi esistono specie che è possibile trovare nei ritrovamenti e la cui evoluzione è un fenomeno in corso. Gli stessi cani, che noi crediamo differenti dai lupi, in realtà biologicamente e a livello dei fossili possono considerarsi come una sottospecie particolare delle stesse creature che ritroviamo centomila anni fa. Questo rende i primi ritrovamenti di cani preistorici i fossili più recenti che è possibile ritrovare in natura? No, perché i ritrovamenti dei cani che gli antichi romani avevano addestrato come guardiani del limes sono più recenti ed anch'essi contemporaneamente abbastanza differenti e simili dai lupi e dai cani attuali.

Questo rende i ritrovamenti preistorici appartenenti agli ultimi millenni molto più sfumati e insieme alla loro abbondanza, dovuta alla più vicina età, ha spinto gli scienziati a considerarli tutti con la stessa dignità, anche per carpire meglio il processo evolutivo – paleontologicamente più rapido, a seguito del ritrovamento di più specie – delle forme di vita attuali.

Cosa fare se trovo un fossile?

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Ogni nazione ha la proprio legislazione che tutela il ritrovamento di fossili, qui però ci rifaremo alla legislazione italiana e al buon senso, che spesso ha permesso anche a coloro che hanno scoperto per primi un fossile, anche se non esperti, di ottenere dei riconoscimenti.

Per quanto in molti paese esteri, europei ed extraeuropei, ci si può improvvisare legittimamente come cercatore di fossili con il consenso dei proprietari del sito di scavo, nel nostro Paese la raccolta dei fossili è regolamentata dalla legge n. 1089 del 1939 e dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004. Queste norme disciplinano i ritrovamenti fossili e archeologici ed obbligano tutti i cittadini di denunciare il possesso o la scoperta di un reperto, in quanto ogni fossile trovato sul nostro territorio è di proprietà dello Stato.

Soprattutto, il commercio dei fossili è assolutamente vietato e qualora nei bagagli di qualche viaggiatore gli addetti scoprissero senza relativa certificazione qualche reperto proveniente dall'estero o da una delle regioni italiane, il soggetto verrebbe denunciato e si procederebbe al sequestro del bene.

Se avrete perciò l'occasione di scovare qualche fossile, contattate subito le Sovrintendenze, le Università, il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Storicamente la nostra nazione ha avuto un grande rispetto verso coloro che compivano per prima la scoperta, tanto che molte delle specie di cui abbiamo parlato sopra, come Scipionyx, sono venuti alla luce grazie al loro contributo, venendo riconosciuti anche a livello accademico. Scopo della paleontologia e dell'amministrazione italiana è quella difatti di studiare questi reperti, non di rivenderli, per poi farli confluire nelle sedi museali per salvarli dalla distruzione e dalla speculazione commerciale (come avviene in alcuni casi europei, vedasi in Germania).

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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