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2 Febbraio 2023
17:21

Il fossile di dinosauro meglio conservato è di un anchilosauro e ha persino la pelle

Appartiene a un anchilosauro il fossile di dinosauro meglio conservato dell'intero periodo cretacico. L'esemplare, scoperto nel 2011, possiede quasi l'intero corpo, le punte frastagliate della corazza, gli arti, il contenuto dello stomaco e persino un volto completo ancora rivestito della pelle.

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Recentemente si sta ricominciando a parlare attraverso la pubblicazione di diversi articoli del vecchio ritrovamento di un anchilosauro, scoperto nel 2011, che permetterebbe definitivamente di riconsiderare la morfologia e la dieta della specie. Questo animale è stato tra gli ultimi erbivori ad essere comparsi nel corso del periodo Cretaceo ed è anche fra i dinosauri più caratteristici e misteriosi, a causa della sua rarità e della complessità riscontrata nello studiare i suoi reperti. Dotato infatti di una corazza quasi impenetrabile dotata di spuntoni, noti come osteodermi, per lunghi decenni i paleontologi hanno tentato di ricostruire la morfologia dell'animale, proponendo alternative disposizioni delle sue strutture difensive sulla superficie del corpo.

Basta osservare infatti le prime primitive ricostruzioni per comprendere quante volte l'iconografia stessa della specie sia mutata, con il trascorrere anche delle "mode accademiche". Molti paleontologi del passato hanno infatti interpretato l'anchilosauro a secondo delle correnti principali che si diffondevano all'interno dell'accademie, ricostruendo la specie tal volta secondo una visione più corazzata e a volte secondo un'idea meno robusta e più "leggera".

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La ricostruzione dell’olotipo del 1908 immaginava l’anchilosauro più simile ad un armadillo rispetto ad oggi

Il riesame dell'esemplare scoperto nel 2011 permette però di sfoltire definitivamente alcuni dubbi, in quanto il fossile in questione è non solo il migliore mai scoperto di un anchilosauro, ma anche il fossile di dinosauro meglio conservato dell'intero periodo cretacico.

Questo esemplare infatti, di cui potete vedere una foto nell'immagine principale dell'articolo, possiede quasi l'intero corpo ed è completo di tutte le punte frastagliate della corazza che erano presenti al momento in cui era in vita. Possiede inoltre anche la maggior parte degli arti, il rivestimento che si presentava al di sotto degli osteodermi, il contenuto dello stomaco e persino un volto completo. Ed è proprio in questo punto che è possibile vedere la sua pelle straordinariamente preservata, che rappresenta forse la sorpresa più gradita che il tempo ha preservato.

Mark Mitchell, il tecnico del Royal Tyrell Museum che ha impiegato 7.000 ore di riesame e sei anni per far fuoruscire meticolosamente la forma dell'animale dalla pietra circostante, ha dichiarato che per raggiungere un risultato di pulizia del fossile così notevole ha iniziato a considerare i blocchi della corazza come se fossero tessere di un puzzle. Li ha quindi estratti e puliti singolarmente, millimetro dopo millimetro, facendo bene attenzione a non intaccare la superficie del fossile.

Gli scienziati hanno così deciso di premiare il suo contributo, intitolando a lui la specie e dandogli il nome di Borealopelta markmitchelli. E per comprendere la difficoltà del lavoro che Mitchell si era assunto di svolgere, basta considerare che dopo il 2011, si è dedicato anima e corpo a questa impresa, terminando la parte preliminare della ricostruzione solo durante il 2017.

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È infatti a partire dal 2018 che Mitchell e altri paleontologi, dopo aver finito di pulire e preparare l'esemplare, hanno potuto iniziare seriamente a studiare il ritrovamento, cominciando a pubblicare una sfilza molto lunga di studi che continua ancora oggi: è solo di poche ore fa infatti la pubblicazione su Science Direct di un articolo che approfondisce la dieta dell'animalestudiando il contenuto dello stomaco.

Grazie al lavoro di Mitchell sempre sullo stesso esemplare, oggi i paleontologi sanno con certezza che gli anchilosauri e i loro parenti più prossimi, ovvero i nodosauri, erano principalmente erbivori, per quanto non disdegnassero nutrirsi anche di qualcos'altro. Lo stomaco di questo animale in particolare era pieno di foglie preistoriche al momento della morte, il ché significa che aveva una dieta povera di proteine animali.

L'eccezionalità del ritrovamento però si spiega anche con la sua storia geologica. Questo anchilosauro ben conservato infatti non è stato trovato sotto i sedimenti, come solitamente accade quando si trovano dei reperti risalenti all'epoca. Se avessero d'altronde seguito questa strada molto probabilmente i paleontologi non avrebbero potuto ottenere così tante informazioni o osservare per la prima volta tracce di pelle direttamente connesse alla corazza di un animale. Invece l'animale è stato trovato in quello che un tempo era un oceano profondo che attualmente si trova in una miniera a cielo aperto in Canada.

Gli scienziati ritengono che l'animale sia morto nei pressi di un fiume o di un antico lago per cause naturali e che poi successivamente sia stato condotto in mare a causa di un'alluvione, salvaguardandosi dal finire vittima di spazzini e della decomposizione.

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Questo fatto avrebbe facilitato notevolmente la sua conservazione e sarebbe da considerarsi un evento raro. Pochi infatti sono gli erbivori così grossi – l'anchilosauro arrivava a misurare quanto un carro armato – che si sono conservati quasi completamente.

Il curatore del Royal Tyrell Museum Donald Henderson ha dichiarato che si trattera di una caso eccezionale, che capita «una volta su un miliardo». Inoltre ha suggerito che la tipica armatura del Borealopelta potrebbe aver impedito ai predatori marini di divorare i suoi resti e facilitato la fossilizzazione, nelle profonde tenebre degli abissi oceanici.

Per comprendere perché le parole degli esperti sono così entusiasmanti e entusiastiche bisognerebbe poter tornare indietro nel tempo e avvicinarsi all'animale. Ma basterebbe la sola possibilità di guardare da vicino il fossile che giace sul suo letto di roccia, come se l'animale fosse addormentato. Si vedono perfettamente tutti i particolari della testa, del collo e del tronco. Inoltre è possibile veder la differenza netta che sussiste fra il colore e la morfologia della corazza che protegge la testa da quella che protegge le spalle e il bacino dell'animale. Tra l'altro, relativamente alle placche che ricoprono l'animale, i paleontologi hanno proposto che queste strutture non avessero solo lo scopo di tenere lontani i predatori, ma che erano capaci anche di attrarre potenziali compagni. Per questa ragione in alcuni esemplari tali strutture risultano eccessivamente grandi e sproporzionate. Sarebbero il corrispettivo dinosauriano dei palchi dei cervi o della coda dei pavoni. 

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Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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