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27 Febbraio 2024
16:39

Aumentano i casi di “malattia del cervo zombie” in Nord America

Aumentano in Nord America gli animali colpiti dalla malattia del deperimento cronico (CWD), conosciuta anche come "malattia del cervo zombie". Al momento non ci sono però prove che la malattia possa colpire anche gli esseri umani e gli studi condotti finora non hanno fornito un quadro chiaro sul suo potenziale zoonotico.

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Nelle ultime settimane in Nord America si è tornati a parlare della cosiddetta "malattia del cervo zombie", ovvero la malattia del deperimento cronico – anche nota CWD dall'inglese Chronic Wasting Disease – che colpisce cervi, alci, renne e altri cervidi. Dopo il primo caso confermato all'interno del Parco di Yellowstone lo scorso novembre, altri animali infetti sono stati trovati in Wyoming, dove da tempo si stima che fino al 10-15% dei cervi muli siano infetti, e nella provincia canadese della British Columbia, che ha recentemente pubblicato un aggiornamento sulle restrizione e le strategie mitigative da adottare.

La CWD è una malattia altamente contagiosa e letale che colpisce i cervidi e fa parte delle encefalopatie spongiformi, come la più famosa encefalopatia spongiforme bovina, la cosiddetta malattia della "mucca pazza". Viene anche chiamata informalmente "malattia del cervo zombie", dall'inglese zombie deer disease, perché colpisce il cervello e gli animali malati mostrano sintomi come letargia, deperimento fisico, perdita di peso, sete continua, ipersalivazione e testa perennemente portata bassa.

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Si trasmette per contatto diretto tra gli animali o con feci, urina, suolo e vegetazione contaminata, è altamente contagiosa e purtroppo sempre mortale (gli animali muoiono nel giro di circa 8 mesi) e non esistono al momento cure o vaccini. La CWD non è causata né da un batterio né da un virus, ma da un prione, ovvero una molecola patogena di natura proteica che ha una elevata capacità di moltiplicazione. La molecola si accumula soprattutto nel cervello e in altri tessuti, causandone la degenerazione e provocando quindi cambiamenti fisiologici e comportamentali.

Quando un animale viene infettato, infatti, il cervello degenera ed è per questo che che mostra enormi difficoltà anche solo nel camminare e orientarsi. Questi sintomi peggiorano molto rapidamente nel tempo e proprio perché non esiste una cura portano sempre alla morte dell'animale. Come ha ribadito uno studio recente sullo stato dell'arte circa le conoscenze che abbiamo sulla CWD, la malattia è stata identificata per la prima volta alla fine degli anni 60 in Colorado e Wyoming, ma si è poi rapidamente diffusa in buona parte del Nord America e non solo.

Cervidi infetti sono stati segnalati, sia in cattività che in natura, in 32 stati degli Stati Uniti, 5 province canadesi, ma anche in Corea del Sud e in Scandinavia. La distribuzione geografica della CWD continua quindi ad espandersi e la sua diffusione all'interno di alcune popolazioni di cervidi in natura si avvicina anche all'85%, come riporta un recente report del CWD Surveillance Program Results. Ciò accade perché i prioni rimangono nell’ambiente anche per anni, facilitando la trasmissione indiretta tra cervidi e complicando parecchio le strategie di mitigazione.

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Distribuzione della CWD in Nord America aggiornata a febbraio 2024. Immagine del National Wildlife Health Center

Con il crescente aumento dei casi in diverse zone del Nord America, sale quindi anche la preoccupazione per il rischio che la malattia possa colpire gli esseri umani, come accaduto in passato con l'encefalopatia spongiforme bovina. È però fondamentale sottolineare che non ci sono attualmente prove che la CWD possa colpire anche gli esseri umani o gli animali domestici e non esiste al momento nessun caso confermato di contagio umano. Gli studi sperimentali condotti finora sulla trasmissione in altri animali non hanno fornito ancora un quadro chiaro sul potenziale zoonotico dei prioni della CWD.

Alcuni studi in laboratorio condotti su macachi e roditori suggeriscono che potrebbe infettare anche questi animali, tuttavia altri studi simili sono arrivati a conclusioni completamente opposte. Gli studi sulla potenziale trasmissione umana vanno quindi presi con cautela: al momento non sappiamo se e quanto questa malattia rappresenta un rischio anche per la salute umana. Nonostante ciò, le autorità raccomandano di evitare qualsiasi contatto con animali morti o infetti, di non consumare la loro carne e prendere tutte le possibili precauzioni per evitare di diffondere ulteriormente gli agenti patogeni nell'ambiente.

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Salvatore Ferraro
Redattore
Naturalista e ornitologo di formazione, sin da bambino, prima ancora di imparare a leggere e scrivere, il mio più grande sogno è sempre stato quello di conoscere tutto sugli animali e il loro comportamento. Col tempo mi sono specializzato nello studio degli uccelli sul campo e, parallelamente, nell'educazione ambientale. Alla base del mio interesse per le scienze naturali, oltre a una profonda e sincera vocazione, c'è la voglia di mettere a disposizione quello che ho imparato, provando a comunicare e a trasmettere i valori in cui credo e per i quali combatto ogni giorno: la conservazione della natura e la salvaguardia del nostro Pianeta e di chiunque vi abiti.
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