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10 Gennaio 2024
12:41

Allarme per le risorse ittiche: fino al 75% dei pescherecci del mondo è invisibile al tracciamento

Un importante report dimostra quanto i nostri mari e gli oceani siano soggetti a livelli davvero intensivi di sovra-pesca, visto che la maggioranza delle imbarcazioni industriali non segnala la propria posizione durante le attività di pesca o di estrazione dell'energia.

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Uno studio recentemente pubblicato su Nature sta permettendo di comprendere meglio le vere dimensioni dei danni provocati dai pescherecci industriali alle popolazioni ittiche di tutto il mondo. Tramite la collaborazione di Bloomberg Philanthropies, della National Geographic Pristine Seas e Oceankind e di Google, i ricercatori statunitensi Fernando Paolo e David Kroodsma hanno infatti scoperto che buona parte delle imbarcazioni sfugge al tracciamento pubblico, potendo così pescare in acque internazionali e costiere senza alcun tipo di controllo.

Sono riusciti a fare ciò utilizzando l'intelligenza artificiale e immagini provenienti da diversi satelliti e sistemi di apprendimento automatico, dati e informazioni utilizzati per realizzare la prima mappa globale del traffico delle grandi navi e delle infrastrutture offshore. «Tale mappa è stata fondamentale per scoprire una notevole quantità di attività che in precedenza erano “oscure” per i sistemi di monitoraggio pubblici», hanno affermato i due scienziati, associati al Global Fishing Watch.

Per esempio, nel periodo 2017 – 2021  i ricercatori hanno rilevato navi e infrastrutture offshore nelle acque costiere di tutti i continenti e sintetizzando i loro dati GPS per tutti questi anni sono stati in grado di identificare quali erano i pescherecci che non trasmettevano la loro posizione. Visto che queste imbarcazione si trovavano tra l'altro nelle aree più pescose del pianeta, i ricercatori hanno poi associato la loro presenza in quei luoghi, mentre avevano il GPS spento, ad attività di pesca illegale, non approvate quindi dalle agenzie di controllo. I ricercatori, tuttavia, ci tengono a sottolineare come non tutti i paesi richiedono ai pescherecci obbligatoriamente di trasmettere la propria posizione durante le operazioni di pesca. Una situazione che risulta perciò molto pericolosa per quegli ecosistemi che subiscono già eccessivi livelli di sovra-pesca.

Queste imbarcazioni silenti spesso vengono chiamati in inglese “dark fleets" o "flotte oscure” e rappresentano una serie di sfide per la protezione non solo delle popolazioni ittiche, ma anche per la salvaguardia dei delfini, degli squali, delle tartarughe marine e tutte le altre vittime collaterali della pesca. I ricercatori hanno tra l'altro anche scoperto come per diversi pescatori sia abbastanza comune giungere all'interno delle aree marine protette per pescare nelle loro acque e contravvenendo alle leggi.

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In questa immagine è possibile vedere quali sono le imbarcazioni tracciate e quelle non tracciate che hanno solcato il Canale di Sicilia nel corso degli ultimi anni

In totale, i ricercatori affermano che circa il 75 % della flotta di pescherecci mondiale ha l'abitudine di pescare in aree vietate alla pesca spegnendo il proprio GPS, così da non segnalare la propria posizione e allertare le autorità competenti. Un dato estremamente sconfortante che permette maggiormente di capire perché i biologi della conservazione e i biologi marini sono particolarmente pessimisti riguardo questi temi. Il quantitativo di pescato illegale sta infatti aumentando negli ultimi anni e il semplice fatto che i governi nazionali non sappiano gestire o ignorino il comportamento dei propri pescatori è perciò allarmante.

«Gran parte della pesca si svolge nell’Asia meridionale, nel Sud-est asiatico e in Africa – hanno spiegato i due ricercatori all'interno del loro studio. – Scopriamo inoltre che il 21-30% dell’attività delle navi da trasporto non vengono considerati dai sistemi di tracciamento pubblici. A livello globale, la pesca è diminuita del 12% dall’inizio della pandemia di COVID-19 nel 2020 e non è tornata ai livelli pre-pandemia nel 2021. Al contrario, le attività delle navi da trasporto e legate alla produzione di energia off shore sono rimaste relativamente inalterate durante lo stesso periodo».

Oltre un miliardo di persone dipendono dall'oceano come fonte primaria di cibo. Nel caso in cui la sovra-pesca dovesse cominciare a provocare cali vertiginosi nelle popolazioni delle specie di pesci più consumate dall'uomo sarebbe un vero disastro. Per questa ragione quindi gli esperti chiedono a tutti i governi di cambiare i propri regolamenti e di favorire politiche che obblighino i pescherecci industriali a seguire le regole.

Per capire velocemente le dimensioni del problema, è possibile collegarsi direttamente al sito di Global Fishing Watch per osservare il numero d'imbarcazioni che non hanno seguito le regole e che non trasmettono la loro posizione alle autorità .

Patrick Halpin, professore di ecologia alla Duke University e altro importante autore dello studio, ha commentato questa notizia in modo lapidario. «L’impronta dell’Antropocene non è più limitata alla terraferma. Avere una visione più completa dell’industrializzazione degli oceani ci permette di vedere una nuova crescita dell’energia eolica offshore, dell’acquacoltura e dell’estrazione mineraria che si sta rapidamente aggiungendo alle attività consolidate di pesca industriale, navigazione marittima e petrolio e gas. Il nostro lavoro rivela quindi che l’oceano globale è uno spazio di lavoro industriale occupato, affollato e complesso della crescente blue economy».

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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