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8 Settembre 2023
10:07

Troppi cinghiali in Sardegna, ma la colpa è dell’uomo. Il professor Scandura: «Importati per la caccia»

Sempre più grandi e prolifici a causa delle importazioni a scopo venatorio dei decenni passati, i cinghiali dell’isola sono in sovrannumero. Lo zoologo: «La soluzione del problema richiede un concorso di azioni, non puo’ certo essere affidata a chi ne è stato la causa».

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Intervista a Prof. Massimo Scandura
Zoologo - Professore associato di Medicina Veterinaria all'Università di Sassari
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Sono stati anche i cacciatori a importare cinghiali di altre varietà più grandi sull’isola per favorire gli incroci e incrementare numero e dimensioni di quelli sardi, più piccoli. Non solo, studi scientifici dimostrano che l’attività della caccia influisce sulla prolificità delle femmine che iniziano a partorire, in età sempre più giovane, molti più cuccioli. Tuttavia, oggi in Sardegna si chiede proprio a chi pratica l’attività venatoria di risolvere, abbattendo gli animali, il problema dei danni alle coltivazioni e delle incursioni quotidiane dei cinghiali nei centri abitati.

La questione tuttavia arriva da lontano. Massimo Scandura, zoologo, professore associato di medicina veterinaria dell’Università di Sassari, spiega a Kodami che sin dal neolitico il cinghiale è stato importato in Sardegna dall’uomo: «Si è trattata di una importazione per così dire “artificiale” – racconta lo zoologo – Infatti non ci sono nell’isola predatori naturali per questo animale. Il maggiore sarebbe il lupo, assente in Sardegna, e questo è un grosso problema per le grandi specie, come anche per i mufloni e i daini. Il gruppo di mammiferi sardi nasce già con una grande anomalia e non può quindi rappresentare un sistema equilibrato, bensì alterato e dipendente dall’uomo, che è diventato inevitabilmente un fattore di regolazione».

Si parla di almeno 100 mila cinghiali presenti in Sardegna, ma non ci sono stime esatte della sua presenza, anche perché si tratta di un animale che, ricorda Scandura, «non viene gestito dal punto di vista venatorio», con registrazioni e dati riportati sui tesserini degli abbattimenti, come avviene in altre regioni, cosa che permette poi di risalire a un censimento.

cinghiale

I cinghiali originari della Sardegna, Sus scrofa meridionalis, sono considerati una diversa sottospecie rispetto a quelli che ci sono nella penisola. Hanno una forma più piccola, con una diversa conformazione della testa, «un po' più allungata, e il muso un po' più schiacciato».

«Il cinghiale originario sardo, nel tempo, è stato contaminato sia da incroci con i maiali, legati alla pratica dell’allevamento brado, sia con cinghiali portati da fuori, dalla penisola. Ci sono aree della Sardegna, come per esempio la Gallura, dove ci sono cinghiali più grossi, e ci sono isole sarde come Caprera, La Maddalena dove sono presenti ibridi tra cinghiali e maiali, che non sono il vero cinghiale sardo».

Lo scopo di questi incroci, sottolinea Scandura, è legato proprio alla caccia. «Il cacciatore voleva animali grossi: più carne hanno, meglio è per loro. Quindi hanno portato i cinghiali da fuori regione per farli incrociare e quindi aumentarne la dimensione, e la presenza dei maiali sul posto ha favorito questi nuovi ibridi». I cinghiali di Sant’Antioco, invece, sono arrivati intorno agli anni 80 dalla Toscana e dal centro Italia: «Avevamo segnalato la questione alla regione perché l’isola è collegata alla terraferma – ricorda lo zoologo – e la popolazione di cinghiali sardi del Sulcis, dell’Inglesiente, del Sud della Sardegna, ne poteva essere contaminata. Purtroppo non è stato fatto nulla».

Oggi questa pratica di importazione è illegale, anche come conseguenza delle limitazioni dovute alla peste suina africana. E «tutte le azioni di immissioni di cinghiali a scopo venatorio dell’ultimo mezzo secolo sono state attività clandestine». I cacciatori, sottolinea Scandura, «hanno contribuito sicuramente a incrementare il problema. Se il cinghiale sardo fosse rimasto quello originario, pure incrociandosi con i maiali, poiché in natura il tasso di incrocio non è così elevato, ci sarebbero stati ugualmente casi di ibridazione, ma non sarebbero avvenuti in maniera così frequente. Se i cinghiali fossero rimasti quelli originali, sarebbero stati di più piccole dimensioni, un po’ più rustici,  probabilmente sarebbero stati anche meno problematici, avrebbero fatto meno danni e sarebbero stati anche meno prolifici, perché c’è anche da considerare il fatto che la produttività del cinghiale è legata alla mole della femmina: più è grossa la femmina, più figli partorisce». Questo comporta che il cinghiale di mole maggiore, proveniente da fuori regione, è più prolifico di quello sardo, cosa che ovviamente contribuisce ad aumentare la popolazione.

cinghiali ordinanza roma

La loro abbondante presenza sul territorio si avverte in maniera tangibile, per i continui danni nei campi coltivati e nei giardini e le loro scorribande serali e notturne nei centri abitati. «Il cinghiale – spiega Scandura – è un animale che si ciba prevalentemente di prodotti di origine vegetale, ma ha uno spettro alimentare molto ampio. Mangia bulbi, radici, ghiande, frutta secca, castagne e cereali. Fa danni alle coltivazioni cerealicole, al mais e può fare danni ai vigneti, alle coltivazioni di meloni e di frutta in genere. Può cibarsi di invertebrati che si trovano nella terra, ma può predare anche piccoli mammiferi, roditori, e nutrirsi di carcasse di animali morti. Non è una minaccia per i pollai – sottolinea – ma è stato segnalato anche qualche attacco ad agnelli e capretti. Ovviamente si nutre anche di tutti gli alimenti di origine antropica, come gli scarti alimentari che trovano nella spazzatura, cosa che lo induce ad entrare nei centri urbani delle grande città, come Roma, dove manca un sistema efficace di smaltimento dei rifiuti».

Ma quale potrebbe essere a questo punto una possibile soluzione del problema? Non ce ne è «una sola», per Scandura. «Ci sono un concorso di azioni che possono contribuire a limitare il problema. Non possiamo eliminarlo del tutto – avverte il docente di veterinaria – perché in ogni caso dobbiamo entrare nell’ottica che dobbiamo convivere con tutte le specie che ci circondano e tra queste ce ne sono alcune più problematiche di altre, come il cinghiale. Dobbiamo anche abituarci a tenere in piedi una serie di azioni che limitino il fattore di rischio e arginino i possibili danni che possono causare».

Una tra quelle indicate dallo zoologo è di evitare i comportamenti che fanno avvicinare gli animali, come dare loro cibo. «Sbagliato – sottolinea – instaurare confidenza con la fauna selvatica. L’animale selvatico, quando diventa troppo confidente – spiega-  può costituire un pericolo. All’avvicinamento dell’animale selvatico all’uomo sono legati inevitabilmente dei rischi, anche quando non è un animale feroce. Questi sono sia di tipo sanitario per le persone, sia per gli animali da compagnia che stanno vicino all’uomo. Quindi bisogna evitare comportamenti che inducano l’avvicinamento, l’abitudine al contatto e alla vicinanza con l’uomo. Dovrebbero esserci cartelli dappertutto che vietano di dare cibo ai cinghiali e stare attenti a non lasciare rifiuti in giro».

cinghiali peste suina

Ci sono poi altri interventi di prevenzione, che tuttavia funzionano solo sino a un certo punto: «I cinghiali sono animali molto intelligenti che si abituano facilmente a tutto – evidenzia lo zoologo – Per esempio vengono usati cannoncini, deterrenti acustici e visivi, che però hanno un’efficacia molto ridotta nel tempo, gli animali si abituano e dopo un po’ non funzionano più».

Ciò che funziona un po’ di più come mezzo di prevenzione sono le reti elettrificate che però hanno un costo di istallazione e manutenzione elevato: «Vanno istallate per proteggere colture pregiate, vigneti, per esempio vengono usati in maniera estensiva nelle Cinque Terre, sui terrazzamenti coltivati, dove creavano danni ingenti». Poi ci sono le reti metalliche non elettrificate, ma, sottolinea Scandura, «un paesaggio tutto di recinzioni certo non è gradevole, anche perché per essere efficaci devono essere molto alte e affondare molto nel terreno».

Anche la sterilizzazione è un filone studiato, ma non ci sono al momento metodi efficaci applicati: «Quello che è oggetto di studio – fa presente il docente di veterinaria – è una somministrazione di esche per via orale che contengono una sostanza che sopprime la fecondazione sterilizzando la femmina. Tuttavia, la popolazione di femmine che assume questo farmaco deve essere molto elevata per funzionare, e non ci devono essere controindicazioni per la loro salute».

L’ipotesi al momento più realistica è il controllo della popolazione che, per essere efficace «non dovrebbe essere lasciato alla caccia. Questa – ribadisce Scandura – alimenta l’interesse dei cacciatori a mantenere i cinghiali. L’interesse loro è che i cinghiali ci siano, non che spariscano dalla zona. Servirebbe invece una strategia di controllo affidata a professionisti che vadano a intervenire selettivamente, studiando un piano di prelievo preciso tra maschi e femmine. Purtroppo in Sardegna non esiste ancora una gestione faunistica adeguata che sarebbe la soluzione ideale al problema».

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Daniela Scamuzzi
Giornalista
Sono giornalista professionista, vivo e lavoro tra Roma e la Sardegna, terra delle mie origini. Mi occupo da anni di salute, ecologia e welfare per agenzie di stampa, televisione, periodici. Amo la natura, sono vegetariana, credo e mi impegno per un mondo che finalmente impari a rispettare realmente la vita degli animali e la loro libertà.
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