episodio 6

Telmo Pievani, l’evoluzione e quell’animale chiamato uomo: «Ognuno di noi è fatto di tante diversità diverse»

Intervista all'evoluzionista Telmo Pievani, professore di Filosofia delle Scienze biologiche all'Università di Padova, per analizzare una specie davvero molto particolare: gli esseri umani. L’incontro durante la quinta puntata di MeetKodami, la serie di video in cui protagonisti sono persone che attraverso la loro esperienza racchiudono l’essenza del nostro Manifesto.

26 Maggio 2021
14:56
42 condivisioni
Immagine
Stai guardando MeetKodami non perderti altri contenuti di Kodami
Immagine

Cammina su due zampe e usa un linguaggio particolare che si ritiene sia l'elemento più importante della sua evoluzione, tanto da avergli concesso di attraversare il tempo e arrivare ai giorni nostri. E' arrivato ad essere l'unica specie vivente del suo genere, sebbene abbia "ammesso" di far parte di una famiglia più grande. E' l'homo sapiens: ovvero siamo noi, appartenenti all'ordine dei primati e auto proclamatici unici nel mondo animale. Questa volta, insieme all'evoluzionista Telmo Pievani, per la quinta puntata di MeetKodami, parliamo proprio di noi e di come, animali tra gli altri animali, siamo arrivati ad essere quelli che siamo oggi.

Quanto ci è rimasto di animale, davvero?

Siamo una specie molto giovane ed è una cosa che non ricordiamo. Pensiamo infatti di esserci sempre stati, che siamo su questo mondo da sempre. In realtà noi siamo sul Pianeta da circa 200mila anni, che sembrano tanti ma se facciamo due conti rispetto alle generazioni umane vuol dire che ci siamo avvicendati in solo 8000 generazioni una dopo l'altra. Semplificando significa che abbiamo avuto soltanto 8.000 tra papà, nonni, bisnonni e poi… basta. Nel senso che si arriva "subito" all'inizio della specie umana e quindi ecco che riusciamo a comprendere che siamo sulla Terra da poco: siamo proprio piccoli d'età in termini di evoluzione. Altro esempio per comprenderlo è proprio il periodo che stiamo vivendo: siamo così vulnerabili alle pandemie proprio perché siamo una specie di mammifero giovane, mentre i virus loro sì che sono sul Pianeta da miliardi di anni.

Un breve tempo dunque in cui abbiamo però fatto molte cose…

Esattamente. Visto che siamo sbocciati, diciamo così, dall'albero della diversità terrestre da poco tempo, il legame, il cordone ombelicale con la natura animale è ancora molto stretto e molto forte. Ma viviamo un paradosso: gli esseri umani hanno allo stesso tempo una parte animale grande e una molto piccola. E ciò perché abbiamo avuto una tumultuosa evoluzione culturale e tecnologica che ci ha staccato dal nostro retaggio naturale. Quindi ben presto ci siamo trovati immersi in ambienti che erano pieni dei nostri aggeggi, dei nostri strumenti e delle nostre tecnologie e di una nostra cultura di specie. Siamo così diventati un animale molto particolare nel panorama terrestre. Un animale comunque sempre e comunque legato alla natura ma sicuramente unico nel suo genere.

Quanto questo aspetto culturale ha modificato il nostro modo di evolverci?

Lo ha modificato tanto. Al punto che ormai, e queste sono scoperte molto recenti, addirittura la nostra cultura può cambiare la nostra biologia. Può sembrare strano, come se il mondo fosse alla rovescia: di solito pensiamo: “La biologia c'è da sempre e ci dà quei vincoli a partire dai quali poi noi diventiamo culturali”. Del resto quando veniamo al mondo il nostro cervello si sviluppa per due terzi dopo la nascita. Quindi abbiamo un retaggio biologico ma in realtà poi da lì in poi è soprattutto cultura, educazione, gioco, apprendimento e così via. E la cultura è diventata così importante al punto che ci cambia.

Un esempio nella vita di tutti i giorni della commistione tra biologia e cultura nell'evoluzione degli esseri umani?

Il fatto che noi abbiamo imparato a digerire il latte anche in età adulta: è un fatto dovuto all'agricoltura. Quindi a un'innovazione culturale e tecnologica avvenuta 8-9 mila anni fa. Quel cambiamento ha fatto sì che digerire il latte in età adulta diventasse molto vantaggioso. Ci siamo trovati quindi in un ambiente da noi modificato e questo ci ha cambiato la biologia con un vero e proprio cambiamento genetico. Un altro esempio recente, che mi ha colpito tantissimo, è un esperimento. Psicologi e neuroscienziati hanno visto quello che succede nel nostro cervello quando vediamo il volto di una persona diversa da noi. Per esempio un bianco che osserva un afroamericano o viceversa e così via. Risulta evidente che nel cervello scatta all'inizio una considerazione del tutto istintivo: è la parte proprio animale, una reazione di difesa che ci dice: "Attenzione questo soggetto non è come me. Chi è? Potrebbe essere un nemico”. Poi però scattano subito le parti corticali, le parti più recenti evolutivamente che interagiscono con l'amigdala che invece ci dicono: "No calma. Aspetta cerca di capire la situazione". Quindi proprio nel nostro cervello avviene una sorta di conflitto tra le parti più antiche radicate nella natura e le parti più moderne. La cosa bella dell'esperimento è che se, però, ad esempio, a un bianco fai vedere un afro americano ma è un famoso giocatore di basket o un famoso cantante, non scatta neanche l’amigdala. Cosa vuol dire? Vuol dire che la cultura modula. Quindi è la dimostrazione che la cultura è diventata più importante della nostra reazione naturale.

Donne e uomini, mondi diversi ma che vengono da un percorso evolutivo comune…

Certamente. Noi veniamo da una storia evolutiva in cui questa differenza si è assottigliata dal punto di vista biologico. Nel senso che molti nostri parenti e cugini hanno molte più differenze tra i maschi e le femmine. Pensiamo agli scimpanzè e ai gorilla: i maschi sono molto più grossi e massicci rispetto alle femmine. Nel genere Homo questo si è un po' diluito perché noi abbiamo avuto la tendenza ad avere accoppiamenti più stabili, più lunghi, con monogamia mescolata a promiscuità. Insomma, la nostra è davvero una storia particolare. Alla fine così donne e uomini si sono pareggiati molto anche come quantità: nella specie umana ci sono un pochino più donne che uomini, però siamo sostanzialmente 50 e 50. E anche le differenze fisiche si sono avvicinate sempre di più. Ma questo non significa ovviamente che siamo uguali dal punto vista biologico. C'è una diversità sessuale che è una ricchezza. Non deve mai essere usata ovviamente come etichettatura o quant'altro, ma sarebbe assurdo negarla: ovviamente c'è. E' una diversità che parte già fortissima nella fase di crescita, nel sistema endocrino e negli ormoni.

Differenze dunque tra uomo e donna che non sono solo biologiche ma, di nuovo, culturali?

Sì, queste differenze biologiche non sono scritte sulla pietra una volta per tutte e in questo caso stiamo parlando essenzialmente di ciò che noi chiamiamo "sesso", quindi la parte biologica. Poi ci sono invece le differenze culturali che noi chiamiamo "genere" e che invece sono molto più sfumate. Ed è una sorta di continuità: a me piace molto questa cosa che in fondo tra essere maschi o essere femmine dal punto di vista del genere e della cultura c'è una continua gradazione. Così ciò che è importante sapere è che ognuno di noi è fatto di tante diversità diverse. Quindi io sono maschio biologicamente ma ognuno di noi poi ha tante altre diversità e per esempio i maschi, lo sappiamo da molte ricerche, hanno gradi diversi di femminilità. E le donne hanno gradi diversi di mascolinità. Quindi quello che io sottolineo sempre molto è che la cosa importante è la diversità individuale poi al di là delle diversità sessuali e di genere.

Per cultura, dunque, si intende anche il comportamento nelle relazioni intraspecifiche che spesso però non è sinonimo di condivisione e rispetto

Assolutamente. Noi pensiamo sempre che la cultura abbia sempre e solo un valore positivo, che sia qualcosa che mette in luce la diversità e invita alla tolleranza rispetto alla biologia. In realtà si può essere razzisti anche per via culturale. E la cultura imprigiona perché appunto ci sono queste strutture, come il patriarcato, che hanno limitato i comportamenti umani e li hanno cristallizzati per tanto tempo e che adesso stiamo, purtroppo non ancora del tutto con successo, smantellando. Il patriarcato, così è un esempio, in effetti, di quanto sia resistente una struttura culturale che è intrinsecamente discriminatoria. La tendenza al dominio del maschio vuol dire qualcosa che è comunque da sempre presente e così, facendo leva su questo retaggio naturale, ecco che riesce a sopravvivere. Un mix molto molto pericoloso che vale anche e soprattutto per il razzismo.

Ripensando allora all'esempio della reazione alla vista di un essere umano diverso dai propri riferimenti, qual è il motivo di tanta diffidenza?

C'è anche un lato brutto di quella ricerca, infatti. Siccome è l'amigdala a processare una prima reazione, vuol dire che se io mi ritrovo immerso in una cultura che vede il diverso come un nemico, una cultura dell'odio e della pulizia etnica ad esempio, la diversità per me ha solo un senso negativo. Noi sappiamo dalla scienza che una cultura di quel tipo può attecchire su parti molto profonde del nostro cervello e avere successo. E questo spiega anche degli episodi drammatici che continuano ad avvenire "motivati" dal razzismo. Ecco allora che si comprende che andando a stuzzicare quella parte profonda del cervello con l'intenzione di voler proprio stimolare a una reazione negativa nei confronti dell'altro, purtroppo si rischia di avere successo. E il razzismo per questo non muore mai: perché è come una brace che cova sotto la cenere.

La nostra specie è sorprendente per le grandi capacità che ha e allo stesso tempo per questo continuo far del male ai propri simili, alle altre specie e al Pianeta stesso. A differenza degli altri animali. Perché?

Noi lo chiamiamo il gap evoluzionistico: siamo partiti appunto come un ramoscello del grande albero della famiglia dei primati e poi, soprattutto a partire da 60 mila anni fa, tutto a un tratto è successo qualcosa che ci ha cambiato radicalmente rispetto agli altri animali. Ancora non riusciamo a capire bene cosa: è stata una sorta di rivoluzione comportamentale molto veloce e questo è strano. Quindi probabilmente non è stato qualcosa di biologico ma di cognitivo o di culturale. Molti, e io sono d'accordo, sospettano che ci sia di mezzo il linguaggio. Ed è il linguaggio articolato ciò che ha creato quella differenza che poi a cascata ha generato organizzazione sociale, cooperazione, capacità di muoversi nello spazio, immaginazione, la possibilità di condividere anche delle idee astratte. Per esempio gli animali questa cosa apparentemente non la fanno. E così, forse, quel passaggio ha determinato una valanga. Nel senso che da lì in poi siamo cresciuti demograficamente, abbiamo cominciato a sfruttare il territorio, le risorse. E ci ritroviamo con questa grande accelerazione fino a oggi. E oggi, però, tantissimi dati ci dicono che qualcosa si è rotto.

Quanto abbiamo contribuito alla scomparsa di altri esseri viventi?

Riflettiamo su un dato che è stato confermato di recente: se calcoliamo la distruzione degli ecosistemi e della vita animale negli ultimi cinque secoli noi abbiamo ormai estinto quasi il 35% di tutte altre forme di vita. È un numero mostruoso perché noi, da soli, abbiamo fatto fuori più di un terzo di tutte le altre forme di vita sul Pianeta e questo è inaccettabile, ovviamente. E tra l'altro è anche controproducente: dalla biodiversità dipende la nostra vita e la nostra salute.

Perché gli esseri umani sono da sempre, nel bene e nel male, così interessati agli animali?

Un po' perché ci immedesimiamo e ciò questo può essere giusto: negli altri animali vediamo parti di noi. Ma può essere anche pericoloso, nel senso di fuorviante quando invece proiettiamo sugli animali noi stessi e questo succede a tutti. Io lo faccio sui miei cani e sui miei gatti: è inevitabile soprattutto sugli animali da compagnia. Tendiamo a farlo perché guardiamo con le lenti nostre la diversità dell'animale. Ciò che suggerisco sempre è di essere consapevoli di questi "occhiali" e di provare a toglierseli perché se si guarda la natura dal punto di vista dell'animale si fanno delle scoperte meravigliose: non c'è cosa più bella che riuscire a capire come la sua intelligenza è diversa dalla nostra e non migliore o peggiore.

Recentemente si parla tanto dell'intelligenza del polpo, soprattutto dopo la vittoria dell'Oscar del documentario "Il mio amico in fondo al mare"

Sì, stanno uscendo tanti lavori divertentissimi sull'intelligenza dei cefalopodi, li leggi e ti viene da pensare: "Ma è impossibile!". Noi il polpo ce lo mangiamo con le patate e ora si sta scoprendo che hanno un'intelligenza letteralmente aliena: cioè proprio non l'avevamo vista! I cefalopodi ci stanno mostrando proprio una storia alternativa: hanno un'intelligenza distribuita lungo tutto il corpo e io ci metterei la firma per averla! Immaginiamo cosa vorrebbe dire avere un cervello, nel caso umano, distribuito sulle braccia e sulle gambe, ovvero riuscire a pensare con tutto il corpo. Sembra impossibile, vero? Certo, perché noi non ne siamo capaci: gli esseri umani sono centralizzati e i polpi, inoltre, hanno una quantità di neuroni che è pressoché equivalente alla nostra se in proporzione al corpo. Fanno cose strepitose, ad esempio fanno gli scherzi e riescono a risolvere dei problemi facendo una rappresentazione del problema stesso.

Il mondo nel quale viviamo è dunque abitato da tante diversità? Ed esiste davvero la perfezione?

Quando guardiamo la natura pensiamo che siccome è lì da tanto tempo allora è perfetta, armoniosa, in equilibrio o addirittura buona. Ma non è così che stanno le cose: la natura è piena di contraddizioni e non ha intenzioni. E' buona, cattiva, bella, brutta. Quando un virus ci colpisce, come è successo, non è un "castigo della natura". No: è un virus che ha fatto il salto di specie e sono successe certe cose.  Tendiamo ad antropomorfizzare molto tutto ciò che ci circonda e in questo anche la perfezione ha un ruolo. Ma la natura è piena di imperfezioni ed è bene così: come già diceva Darwin, sono le strutture imperfette quelle più creative e quelle dove sta succedendo qualcosa. Perché, sempre come diceva Darwin, se tu guardi una struttura perfetta è già successo tutto, non ci trovi l'evoluzione. Invece dentro l'imperfezione c'è cambiamento, c'è storia. Noi umani siamo imperfetti da tutti i punti di vista, pensiamo al nostro corpo: è un'enciclopedia di imperfezione e basta pure solo riflettere semplicemente su dolori come mal di schiena, sciatalgia o lombalgia… sono tutti difetti biomeccanici. Ci possiamo fare poco perché è proprio un difetto strutturale che abbiamo tutti. Se l'evoluzione fosse un ingegnere non avrebbe mai fatto la schiena che abbiamo noi. Abbiamo gli organi più importanti da proteggere tutti indifesi davanti, no? Non avrebbe senso se fossimo perfetti. Ma ha un senso evoluzionistico allo stesso tempo: perché l'essere bipedi ci ha dato tanti vantaggi da altri punti di vista. A me piace questa metafora che trovo semplice da comprendere: l'evoluzione è un bricolage, nel senso che è più artigianale che non ingegneristica. Si fa di necessità virtù, si utilizza il materiale a disposizione e ogni volta in modo ingegnoso lo si riutilizza per qualcosa di nuovo.

Avatar utente
Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
Sfondo autopromo
Segui Kodami sui canali social
api url views