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Kodami Call

Scoperto sull’Everest il Gatto di Pallas, uno dei felini più rari del mondo

Un nuovo report presenta alcuni individui del gatto di Pallas, presenti quasi sulla cima del monte Everest. Le difficili condizioni ambientali e la presenza sempre più massiccia di turisti mettono però a rischio la loro sopravvivenza.

27 Gennaio 2023
16:11
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I risultati di un nuovo report, pubblicato su Cat news, rivista scientifica specializzata nello studio dei felini selvatici, hanno presentato per la prima volta la presenza e lo status di salute del gatto di Pallas (Otocolobus manul) sul Monte Everest. Il gatto di Pallas è una delle specie di felini la cui minaccia sta aumentando a causa della distruzione generalizzata del suo habitat naturale e dalla povertà di prede che affligge il suo territorio, ma ora gli scienziati hanno scoperto alcuni individui presso il Parco Nazionale di Sagarmatha in Nepal.

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La pubblicazione è il risultato della spedizione affrontata sull'Everest nel 2019 da parte di un gruppo di ricercatori finanziati dalla Wildlife Conservation Society, da National Geographic e da Rolex Perpetual Planet. A co-dirigere la spedizione è stata la dottoressa Tracie Seimon, dello zoo del Bronx, che insieme a altri scienziati ha raccolto dal 7 aprile al 2 maggio 2019 centinaia di campioni biologici ed ambientali in due località della grande catena montuosa, esattamente a 5.110 e 5.190 metri di altitudine.

Per quanto il lavoro svolto dai ricercatori è stato arduo, a seguito delle difficili condizioni climatiche in situ e della lunga fase di studio dei campioni prelevati, oggi la dottoressa Seimon afferma che i risultati del loro lavoro sono da considerarsi straordinari. «È fenomenale scoprire prove dell'esistenza di questa specie rara in cima al mondo. Il viaggio di quasi quattro settimane è stato estremamente gratificante non solo per il nostro team ma anche per la comunità scientifica. La scoperta del gatto di Pallas sull'Everest illumina la ricca biodiversità di questo remoto ecosistema di alta montagna ed estende l'areale conosciuto di questa specie fino al Nepal orientale».

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Le indagini biologiche effettuate sui campioni di feci raccolti da entrambi i siti non hanno fatto altro che confermare questa affermazione. I ricercatori hanno però anche trovato tracce di DNA appartenute ad alcune prede del gatto di Pallas, tra cui alcuni lagomorfi del sottogenere Pika e alcune donnole di montagna. E in generale sembra che lo stato di salute degli esemplari presenti nel 2019 fosse buona. Non hanno infatti trovato nessuna traccia di malattia o soggetti morti durante il loro campionamento.

«La produzione di questo report è importante non solo in termini di conoscenza scientifica ma anche di conservazione poiché questa popolazione di gatto di Pallas è legalmente protetta dalla CITES – ha affermato l'altro capo della spedizione, il dottore Anton Seimon – Speriamo che la conferma della presenza di questa nuova specie aumenti la consapevolezza e l'educazione sulla diversità delle specie in questo iconico sito del patrimonio mondiale».

Visto che il gatto di Pallas non era stato mai rilevato nelle due località del Parco Nazionale di Sagarmatha fino al 2019, gli esperti ritengono che questa scoperta avrà ovviamente delle ripercussioni sulle considerazioni relative alla presenza delle migliaia di turisti che ogni anno affollano le pendici della montagna più alta del mondo. Infatti se fino agli anni 70 erano solo poche centinaia le persone provenienti dall'Americhe e dall'Europa che giungevano in Nepal per raggiungere la vetta, oggi sono oltre cinquantamila le presenze estere a raggiungere effettivamente la vetta ogni anno. Questo comporta un disturbo antropico notevole, che può destabilizzare nel medio termine la popolazione di una specie già fragile in quei luoghi.

Per questa ragione i ricercatori affermano che per salvaguardare questa specie è necessario dare il via ad una politica di contingentazione del numero di visitatori e al divieto assoluto di entrare in alcune aree. L'Otocolobus manul è difatti già abbastanza a rischio per colpa del surriscaldamento climatico, che sta sciogliendo sempre più velocemente i ghiacci secolari dell'Everest e le tane delle sue prede preferite. L'eccesiva presenza umana, che comporta tra l'altro il rilascio di veleni e di rifiuti sulle pendici della montagna, può provocare il definitivo crollo della biodiversità locale.

La cosa curiosa è che in passato l'animale era cacciato per la sua pelliccia, ma dal momento che da sempre il gatto di Pallas si ciba di erbivori considerati dannosi per la magra agricoltura delle regioni in cui abita, da tempo è ritenuto un animale benefico da parte delle popolazioni locali. Ora questo felino deve però affrontare la più difficile delle sfide: sopravvivere ai selfie in alta quota dei turisti occidentali.

Una specie difficile da studiare

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Abbiamo chiesto a Claudio Augugliaro, fondatore della Wildlife Initiative e membro del Comitato direttivo del Pallas's Cat Working Group, che coordina gli studi a livello internazionale, di commentare la notizia della pubblicazione di questo report ed ne è uscita una chiacchierata interessante, ricca di informazioni. Abbiamo già parlato con Augugliaro su Kodami riguardo la sua esperienza in Mongolia nel 2013 proprio per studiare intensivamente il gatto di Pallas e il leopardo delle nevi (Panthera uncia).

«In verità, esistevano già delle segnalazioni di gatto di Pallas presso l'Himalaya» dichiara Augugliaro, cercando di dare il giusto peso a questo nuovo report. «La cosa notevole però di questi nuovi dati è che grazie ad essi abbiamo la conferma che esistono delle popolazioni di questa specie ad un'altitudine così elevata. Prima infatti esistevano solo delle supposizioni legate alla nostra conoscenza sulla possibilità che potesse essere distribuito anche in Nepal a quelle quote. Ora invece sappiamo che lì effettivamente la specie c'è ed aver effettuato dei monitoraggi sul tetto del mondo alla sua ricerca sarà stato davvero notevole.»

Augugliaro afferma ciò anche perché lui, insieme a Stefano Anile, conosce bene la difficoltà di studiare questi animali, essendo stato fra i primi ricercatori a stimare la dimensione dell'intera popolazione del gatto di Pallas in Mongolia tramite il metodo dello spatial catch-recapture, molto simile al metodo "contrassegna e ricattura", per centinaia di esemplari in un anno, anche se il documento ufficiale della IUCN affermava che stime rigorose su questa specie non potessero essere ottenute. Un successo che a permesso ad Augugliaro e ad Anile di scrivere il manuale con le linee guida per effettuare ricerche sul gatto di Pallas, appena pubblicato, per il Pallas's Cat International Alliance.

«Bisogna inoltre anche chiarire che spesso i rilevamenti svolti nel passato» continua Augugliaro « che permettevano di scovare le popolazioni di gatto di Pallas, invero venivano svolti per studiare i leopardi delle nevi, in quanto sovrappongono spesso le regioni del loro areale. E questo comportava che erano pochi gli esemplari che era possibile osservare durante una stagione. Nuovi sistemi di campionamento, invece, eseguiti proprio con questo scopo, stanno cominciando a dare maggiori frutti e i nostri report, insieme a quelli effettuati dalla Wildlife Conservation Society in Nepal, confermano che è possibile ottenere maggiori dati su questa specie e che in alcune aree la popolazione è più numerosa di quanto si credesse in precedenza».

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Augugliaro in una delle sue missioni

Questo ovviamente non deve indurre a credere che la specie sia da considerarsi al sicuro. Per quanto infatti relativamente alla dieta, cibandosi di roditori, la specie dovrebbe essere autosufficiente ancora per molti anni a venire, Augugliaro conferma che i complessi stravolgimenti ecologici degli ecosistemi in cui vive legati al climate change potrebbero in futuro destabilizzare la specie. In questo momento non è possibile però prevedere gli effetti di tali eventi, poiché statisticamente è impossibile creare dei modelli.

«Con l'eccessiva presenza umana dovuta ai turisti, il gatto di Pallas si comporta invece diversamente rispetto ai grandi felini» chiarisce Augugliaro, riferendosi alla sempre più crescente minaccia connessa alle scalate sul monte Everest. «Abbiamo infatti visto che per quanto sopporti la specie umana, di solito l'animale modifica le proprie abitudini a livello temporale, cercando di sfuggire dai bivacchi e dalle colonne di scalatori, e che teme i cani pastore che accompagnano i turisti. E per rispondere a questo stress, pur rimanendo nello stesso areale, per esempio è più attivo di notte. Inoltre si può anche dire che da una parte la presenza umana gli comporta un certo vantaggio, perché allontana tutti i grandi predatori come i leopardi. Dall'altra però, nei momenti di maggiore afflusso, gli umani possono recargli abbastanza disturbo. Per questo concordo con la proposta di regolare le presenze dei turisti, soprattutto nelle zone come quelle himalayane in cui lo spazio per questi animali scarseggia».

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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