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30 Marzo 2021
10:09

Pakistan, migliaia di cani uccisi ogni anno: una petizione per cambiare il loro destino

Ogni anno migliaia di cani liberi vengono avvelenati dal governo e lasciati morire lungo le strade del Pakistan,. A raccontarlo è la responsabile dell'associazione Creatures Comfort-Sascap che ha contattato il team italiano di Stray Dogs International Project, associazione che da anni si occupa di studiare il fenomeno del randagismo.

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L'associazione Creatures Comfort-Sascap ha lanciato da qualce giorno una petizione su Change.org per chiedere al primo ministro pakistano Imran Khan di interrompere la sanguinosa consuetudine di uccidere i cani randagi che vivono per le strade del paese. Secondo quanto pubblicato qualche settimana fa dal giornale pakistano Samaa, infatti i cani uccisi nel mese di marzo nella sola città di Hyderabad sarebbero addirittura 500. Nei prossimi mesi inoltre, secondo il testo della petizione, verrà attuata una nuova campagna di abbattimento: «Ogni anno a Karachi e Lahore, in Pakistan, oltre 20.000 cani vengono uccisi – spiegano nel testo – Vogliamo che venga scritta una nuova legge che tuteli i diritti degli animali e blocchi la crudeltà nei loro confronti». Il motivo che spinge il governo ad abbattere i cani randagi è il rischio di diffusione della rabbia, la malattia che il cane può trasmettere all'uomomnel caso lo morda.

Per fare in modo che la petizione raggiungesse il maggior numero di persone possibili, una responsabile dell'associazione pakistana ha contattato il team italiano di Stray Dogs International Project, da anni impegnato nello studio dei cani randagi, nel fenomeno del randagismo e nella tutela degli animali di strada.

La situazione in Pakistan: «Uccidere i randagi non è la soluzione»

A ricevere le prime notizie riguardo questi tragici avvenimenti in Pakistan è stata Clara Caspani, vice presidente di Stray Dogs, che racconta a Kodami cosa è emerso dalle comunicazioni con la referente dell'associazione pakistana promotrice della petizione: «L'associazione pakistana ha confermato che l'uccisione dei randagi è un'abitudine. Il governo mette in atto ciclicamente campagne di soppressione di massa dei cani randagi e il metodo utilizzato è quello dell'avvelenamento, come si vede chiaramente nel video che ci hanno inviato le attiviste del luogo. Le conseguenze negative dell'utilizzo del veleno però, non riguardano solo i cani randagi, ma rimangono sul terreno inquinando le falde acquifere, mettendo a rischio la salute degli animali e dei bambini inconsapevoli della presenza del veleno. I corpi dei cani morti inoltre vengono  lasciati lungo la strada, aumentando così ulteriormente i rischi sanitari per gli esseri umani».

La vice presidentessa di Stray Dogs International Project continua il suo resoconto sulla situazione in Pakistan, sottolineando che: «La diffusione della rabbia rappresenta un rischio reale e va indubbiamente contenuta abbattendo gli animali affetti dalla malattia, ma la soluzione non deve essere per questo motivo l'abbattimento di tutti i cani randagi». Clara Caspani conosce bene i benefici dati da una gestione diversa del randagismo grazie agli interventi svolti dall'associazione in Marocco: «Abbiamo condotto uno studio durato 5 anni, da cui è nato un progetto in collaborazione con le associazioni locali. Dopo anni di interventi l'80% dei cani della cittadina di Taghazout, nel Sud del Paese, sono stati sterilizzati e vaccinati, rendendo così stabile il numero di randagi presenti sul territorio. Nonostante le nostre azioni però, il governo è tornato ad uccidere ottenendo l'esatto contrario di quanto avrebbe voluto. Dopo circa un anno dalle uccisioni dei cani di Taghazout, infatti, il numero di randagi è tornato a salire a causa dell'ingresso sul territorio di nuovi cani non sterilizzati né vaccinati provenienti da luoghi limitrofi e abbiamo addirittura registrato nuovi casi di rabbia, che in quella zona era ormai scomparsa da anni».

La strategia da adottare: «Sterilizzazione e piani di vaccinazione mirati»

La petizione promossa dall'associazione pakistana sta ora dando i suoi frutti, superando in poco tempo l'obiettivo delle 1000 firme anche grazie al pubblico italiano: «Abbiamo contattato diverse associazioni in modo da dare visibilità alla drammatica situazione dei cani randagi in Pakistan e continueremo a seguire l'evolversi della questione», spiega Clara Caspani.

Ora la speranza degli attivisti  italiani e pakistani è che, anche grazie alla visibilità ottenuta con la petizione, si possano finalmente mettere le basi per un cambiamento che risulta indispensabile: «I dati riguardanti le nostre esperienze come quella in Marocco rendono evidente che l'uccisione degli animali non porterà ad una soluzione definitiva del fenomeno – spiega Clara Caspani – In questa situazione, il governo pakistano dovrebbe piuttosto intervenire nella gestione dei cani di strada tramite sterilizzazione e piani di vaccinazione mirati per evitare il diffondersi della rabbia. La gestione attiva del fenomeno da parte del governo scongiurerebbe inoltre il rischio di un intervento da parte di privati senza la necessaria preparazione. Gli attivisti sono infatti spesso convinti che spostando i cani dalla strada verso luoghi privati senza controlli da parte dello stato, il problema si risolva, ma non è così. Ammassare gli animali nei rifugi per salvarli a tutti i costi, con ottime intenzioni ovviamente e un grande lavoro da parte di chi è sul territorio purtroppo però spesso si traduce nel condannarli a una vita di segregazione: una morte diversa ma comunque non finalizzata al benessere dei cani. La gestione del fenomeno del randagismo è complessa e ricca di sfaccettature, per cui solo grazie allo studio e alla conoscenza dei dettagli delle realtà locali si potrà trovare la soluzione adatta al territorio e alla comunità».

A seguito del confronto con le associazioni pakistane, Stray Dogs International Project ha deciso di organizzare una diretta con l'associazione pakistana sulla pagina Facebook, in modo da permettere a chiunque sia interessato a conoscere i dettagli di questa drammatica vicenda, di fare domande direttamente alla responsabile dell'associazione Creatures Comfort-Sascap, promotrice della petizione.

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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