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22 Febbraio 2023
15:21

La storia di Valentino, una favola reale che racconta un’adozione reciproca

Valentino era un cane adottato da un nostro lettore, con cui ha condiviso una parte importante della sua vita. In sua memoria, l'uomo ha deciso di scrivere a Kodami per raccontare la storia del loro meraviglioso legame.

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Valentino è venuto a mancare lo scorso agosto e come racconta il suo compagno umano Gioacchino Andreani a Kodami: «ancora oggi non è facile parlare di lui senza trattenere le lacrime». Tuttavia Gioacchino ha voluto rendergli omaggio, raccontandoci la storia di un cane che ha allacciato un meraviglioso rapporto con lui.

«Questi atti di bontà devono essere sempre di più», ci ha scritto il nostro lettore spiegando quanto sia importante far conoscere a tutti quanto l'adozione consapevole di un cane non implichi solo una scelta da parte dell'essere umano ma è una volontà condivisa, un incontro a metà strada in cui l'animale decide di legare indissolubilmente la propria esistenza a un uomo.

Gioacchino ha deciso di raccontare su Kodami l'incontro e la convivenza con Valentino che ha vissuto tra febbraio del 2021 e agosto 2022: "un'adozione reciproca" avvenuta probabilmente quando il cane aveva già più di 10 anni.

Per ricordare il suo compagno di vita ha scritto una favola che qui riportiamo per intero:

La favola del lupacchiotto che mantenne la promessa

C’era una volta un cagnolone che in tanti ricordano come bulletto di quartiere, esuberante, diffidente e poco avvicinabile, qualcuno perfino aggressivo; tutto ciò riguardava la sua prima vita, vissuta per strada e quasi in solitudine.
Non ci fu una data in cui lo adottammo, perché tutto avvenne progressivamente sebbene con una certa rapidità. La vita fino a quel momento passava per lui in totale indipendenza: correre per catturare un gatto, inseguire una automobile, abbaiare ad altri cani; era spesso sotto casa nostra, a causa delle visite “di cortesia” a Bianca, la mia cagnolona che adottammo qualche anno prima e sua compagna di scorribande quando entrambi erano liberi.
Nonostante notasse il benessere di Bianca, lui preferiva rimanere sempre un po’ più defilato e poco avvicinabile. Ma arrivò il giorno in cui venne a chiedermi aiuto, perché quel fastidioso dolore alla zampa non guariva, e gli limitava le galoppate nel quartiere. Era un vicino di casa che non mi ha mai dato fastidio, leale e rispettoso dei propri spazi per cui decisi di aiutarlo: “Ti aiuto, ma mi devi promettere di fare il bravo!”, rimasi incredulo quando mi rivolse quell’espressione con cui accettò questa condizione; non riesco a descrivere come lo promise quel giorno, ma posso raccontare come mantenne fede alla promessa nei mesi successivi.

Era già abile nel salire e scendere dall’auto, probabilmente perché il destino un giorno lo fece cedere alla tentazione di giocare. Stavo cercando di addestrare Bianca a salire in macchina utilizzando dei bocconcini succulenti. Bianca non ne voleva sapere di salire in macchina e per un momento lasciai aperte le portiere e mi allontanai; lui riuscì a saltar su, prendere il boccone ed avvicinarsi a noi, quasi a voler sfottere la sua compagna, timorosa di salire in macchina. Sorrisi e lo premiai, perché in fondo era stato molto agile e coraggioso. Questa sua abilità mi permise di poterlo portare a visita dai veterinari per potergli dare le cure più appropriate.

Delle tante visite, ho diverse sue foto, tra le più belle perché lo ritraggono sereno. All’inizio, la cosa mi sembrava strana, ma con il senno di poi, probabilmente io ero accecato dall’angoscia e dallo sconforto delle diagnosi mentre lui forse intravedeva una nuova vita, piena di attenzioni e nuove scoperte. Non gli spiegai cosa fosse un veterinario, ma da cane di strada navigato quale era capì subito che in quegli ambulatori si prendevano cura di lui. Durante le visite mi sorprese per la sua pacatezza, mai un capriccio o una esitazione; aveva una promessa da mantenere e lo stava facendo nel migliore dei modi. Le tante chiacchiere su di lui narravano di morsi e aggressioni, i fatti dicono invece che nessun veterinario ha mai dovuto mettergli una museruola, “tanto si vede che è buono”.

Ma Valentino volle andare oltre e spiegarci di avere piena padronanza dei suoi gesti, in termini di potenza e di giudizio, e che il morso era una sua dote, non un pericolo: il modo fu a dir poco sui generis. Mio padre (Vincenzo Andreani) gli diede un pezzo di prosciutto, che Valentino fece cadere a terra; pensando che lui non ne volesse, si chinò per raccoglierlo e Valentino lo afferrò l’indice con tutti e quattro i canini, un gesto fulmineo che non lasciò scampo; ebbe un controllo tale della mascella che papà non poté liberare il dito, ma né senti dolore né furono lasciati segni; controllammo il suo dito anche dopo diversi giorni perché non riuscivamo a credere che non ci fosse nemmeno un graffio!

Tanto era preso da questa sua nuova vita che non dava a mostrare il suo dolore; me ne accorsi solo quel giorno che gli feci dare una spazzolata, il giorno precedente l’operazione. Il toelettatore cercò di tenergli ferma la zampa per spazzolarlo meglio, e guaì dal dolore come non lo avevo mai sentito. Capì solo in quel momento quanto avesse sofferto in silenzio, e tutto ciò mi diede speranza per l’intervento a cui andava incontro.

L’intervento andò bene; le rassicurazioni dei medici non tardarono ad essere confermate, perché Valentino dopo due giorni e con una trentina di punti addosso, sbuffava perché voleva uscire a fare una passeggiata. Appena operato mi chiesi se la decisione fosse stata quella giusta, ma dovevo stringere i denti e medicargli quella ferita (io che ho paura degli aghi), lui aveva solo me ed io non potevo esitare. Tolti i punti di sutura e vedendo Valentino saltellare con tre zampe, ogni dubbio mi venne fugato; d’altra parte, Valentino era nato per correre, una zampa in meno non poteva certo fermarlo.

Da emarginato quale era, Valentino diventò protagonista: in tanti, anche sconosciuti, si fermarono per accarezzarlo e per darci una parola di conforto; “Guardalo! E’ ringiovanito!”, era diventata oramai l’idea comune dei miei vicini di casa.

Ricordo in particolare due aneddoti, che si verificarono entrambi su Viale Trieste, a pochi metri l’uno dall’altro anche se a distanza di qualche settimana. Il primo quando un bimbo di 4-5 anni vide Valentino, e chiese alla madre di accarezzarlo, la madre mi guardò e la anticipai invitando il bimbo ad accarezzarlo. Il bimbo non lo accarezzò, ma si fiondò ad abbracciarlo (tutti e due avevano più o meno la stessa altezza), e secondo voi quale poteva essere stata la reazione di quel cane notoriamente pericoloso? Mi guardò sorpreso e iniziò a scodinzolare, forse quella è stata la prima coccola di Valentino ricevuta da un bambino; quelle coccole che gli erano state negate nella sua prima vita.

Il secondo episodio vide protagonisti sempre una mamma con il proprio figlio:
– “Mamma, ma perché quel cane ha tre zampe?”
– “Perché è super! Gli altri cani ne hanno 4, lui ne ha 3 perché è super e non ha bisogno della quarta!”
Una verità, che mi lasciò quasi spiazzato.

Il nostro "lupacchiotto" scoprì così la vanità, mettendosi in posa per ricevere carezze da chiunque, per farsi spazzolare, o anche per una semplice foto; scoprì la sana gelosia, perché voleva la stessa quantità di carezze che riceveva Bianca; scoprì YouTube, dove dentro c’erano piccoli cani che abbaiavano ma senza odore; scoprì i selfie; scoprì le palline da tennis, le scatole di cartone che amava minuzzare con il suo morso; e poi una toeletta, le passeggiate in centro, le gite in automobile. Queste ultime erano ormai un appuntamento fisso, tanto che anche con tre zampe era desideroso di saltare su e giù dal portellone del bagagliaio, alla scoperta di posti nuovi insieme alla sua compagna di una vita, Bianca.

Le pinete, il Santuario di Paola, Coreca o anche semplicemente alzarsi nel portabagagli e guardare la realtà in movimento dal lunotto posteriore; ormai aveva capito che le automobili che tanto aveva rincorso nella sua prima vita ora erano per lui occasione di divertimento.

Rimase esuberante ma con più autocontrollo, ci rimase impresso infatti come cambiò anche nel modo di abbaiare ad altri cani, pur avendo la forza per tirare al guinzaglio preferiva rimanere a stretto contatto con noi: la sua priorità non era più inseguirli ma difenderci. Rimase anche un po’ schizzinoso con il cibo e con un olfatto sopraffine, ricordo ancora quella scaglia di medicina spezzettata e camuffata nella mortadella che sputò fuori dalla ciotola; tuttavia, ci onorò sempre del piacere di mangiare dalle nostre mani, fino alla fine quando ormai i dolori lo stavano divorando.

La sua agilità ed imponenza gli consentirono di sopravvivere nella sua prima vita, ma fu condannato all’emarginazione a causa della troppa paura che incuteva. Seppe togliersi di dosso quella veste di cane imprevedibile e rissoso, forse perché in fondo non voleva essere nemmeno lui così. Il suo DNA era da cane da guardia (di razza), non da lupo selvatico.

Durante gli ultimi giorni ci mostrò il suo amore in tanti modi, uno in particolare, che rimarrà sempre nel mio cuore. Sfuggì a quel destino già segnato di solitudine e malvoluto da tanti, e visse la sua seconda vita felice e contento.

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