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24 Febbraio 2022
17:13

La pesca eccessiva sta per diventare una catastrofe per l’ecosistema

Il delicato equilibrio degli ecosistemi dei nostri oceani è stato sconvolto dalla pesca eccessiva che, da minaccia qual era, potrebbe diventare una vera e propria catastrofe.

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Il delicato equilibrio degli ecosistemi dei nostri oceani è stato ormai sconvolto dalla pesca eccessiva, nonostante gli allarmi lanciati dagli scienziati sul suo effetto di depauperamento della fauna marina. Adesso, però, da minaccia qual era, la sovrapesca potrebbe diventare una vera e propria catastrofe. Cosa che è chiara agli studiosi, ma molto meno a chi deve fare qualcosa per evitarla.

Un fenomeno cominciato addirittura nel 1800, quando ci fu la prima strage di balene intorno a Stellwagen Bank, a largo della costa di Cape Cod, il cui grasso serviva agli umani ad accendere le lampade ad olio. Ma che proseguì il secolo successivo negli Stati Uniti con una pesca talmente eccessiva di merluzzo nordico, aringhe e sardine, da portare queste specie quasi ad estinguersi.

E questo fu solo l’inizio. Perché il peggio doveva ancora venire e sarebbe arrivato intorno alla metà del XX secolo quando, politiche fatte di prestiti e sussidi, provocarono una rapida crescita delle flotte commerciali il cui fine, a differenza dei pescatori locali, era di generare il maggior profitto possibile.

E l’unico modo possibile per ottenerlo era organizzare grandi operazioni di pesca industriale aggressiva, sviluppando tecnologie sofisticate per prelevare e lavorare le diverse specie, offrendo così e abituando i consumatori ad avere accesso a un’ampia scelta di pesce a prezzo conveniente.

Azioni di tale depauperamento chiaramente (nel 2003 un rapporto scientifico stimò che la pesca industriale aveva ridotto il numero dei grandi pesci oceanici al solo 10 per cento della popolazione presente prima dello sviluppo dell’industria ittica), non potevano non avere effetti. E, infatti, nel 1989, anno in cui venivano pescate negli oceani circa 90 milioni di tonnellate di pesce, la quantità di animali marini iniziò a diminuire e il commercio ittico delle specie più richieste crollò per mancanza di pesci.

La risposta delle flotte commerciali al problema fu peggio di quello che si potesse prevedere. Senza alcune presa di coscienza del reale effetto di tale fenomeno, iniziarono a pescare più in profondità, in cerca di nuove prede altrettanto redditizie, stravolgendo completamente il delicato equilibrio del sistema biologico marino.

Si è dovuti arrivare al disastro però, perché gli uomini iniziassero a rendersi conto che gli esseri appartenenti agli oceani non sono infiniti e che i mari sono estremamente vulnerabili. Disastro, peraltro annunciato da uno studio pubblicato sulla rivista Science nel 2006 che aveva avvertito che a tali ritmi di pesca insostenibile, tutti gli stock ittici del mondo (con cui si intende le popolazioni di una specie di pesce soggette a pesca commerciale) sarebbero collassati entro il 2048.

Detto questo, notizie più positive ci sarebbero, visto che molti scienziati affermano che, a determinate condizioni, la maggior parte delle popolazioni di pesci potrebbero riprendersi. Bisognerebbe però attivare una rigida gestione delle attività di pesca, applicare meglio e di più le leggi che regolamentano la pesca delle specie consentite, istituire limiti di pesca.

Tuttavia, sono molte le sfide ancora da affrontare. Circa un terzo degli stock ittici globali subiscono la pesca eccessiva e il loro depauperamento, come indica un report del 2020 della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, è particolarmente visibile nel Mediterraneo e nel Mar Nero che hanno la più alta percentuale di pescato ottenuto a livelli non sostenibili.

Per invertire questa tendenza davvero preoccupante, la prima cosa su cui si dovrebbe intervenire sarebbero i sussidi che i Governi elargiscono all’industria della pesce. Le nazioni nel 2018 hanno speso 22 miliardi di dollari di sussidi per alimentare la sovrapesca, con un aumento del 6% rispetto al 2009.

Sono anni che al WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, si discute di come tagliare questi fondi, ma nonostante l’impegno preso dai membri delle Nazioni Unite per raggiungere un accordo entro il 2020, quella scadenza è ampiamente passata. Evidentemente ai potenti del mondo non è chiaro quello che invece per gli scienziati è indiscutibilmente palese.

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Simona Sirianni
Giornalista
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