episodio 3

Il segreto della longevità dell’eterocefalo glabro

L’eterocefalo glabro non può ammalarsi di tumore grazie alla grande quantità di acido ialuronico che si accumula nei suoi tessuti formando una “gabbia” protettiva.

15 Dicembre 2023
15:02
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In molti lo conoscono come “il ratto-talpa senza pelo”, visto il suo aspetto alquanto curioso, ma il nostro protagonista possiede davvero tante caratteristiche uniche. L’eterocefalo glabro fa parte dei Bathyergidae, una famiglia di roditori, ed è l’unico rappresentante del genere Heterocephalus, da cui prende appunto il nome. Il primo che si è occupato della sua catalogazione fu il naturalista Eduard Rüppell nel 1842 che gli ha dato il nome di eterocefalo glabro per via della sua strana testa e per via della mancanza di peli lungo tutto il corpo. Il nome, infatti, deriva da “etero”, cioè diverso e “cefalo”, testa, e dal latino “glaber”, che vuol dire appunto liscio, pelato.

Nel corso della sua storia evolutiva sulla Terra, l’eterocefalo ha perso completamente la pelliccia e, come per tutti i cambiamenti derivanti dall’evoluzione, anche in questo caso esistono motivi ben specifici. Infatti, vivendo sottoterra, in gallerie buie e strette, non gli serve il pelo per ripararsi dai raggi solari. Non solo, la vita sottoterra lo ha reso quasi del tutto cieco: i suoi occhi sono come delle fessurine che non si aprono quasi mai.

Non è per niente semplice incontrare un eterocefalo glabro, poiché lui vive esclusivamente nel Corno d’Africa, cioè nelle zone desertiche di Etiopia, Kenya e Somalia. E nonostante lui sia un roditore, il suo stile di vita somiglia a quello sorprendentemente a quello di un insetto. Infatti, vive in colonie formate da 70/90 individui, raramente anche da 300 individui, dove a capo di tutto c’è la regina, cioè l’unica femmina che dà vita a tutta la prole accoppiandosi soltanto con al massimo tre maschi. Questo tipo di tipo di organizzazione sociale prende il nome di eusocialità e, all'interno di questa collettività, tutti i membri svolgono differenti lavori: ci sono gli scavatori, i raccoglitori di cibo, le balie che accudiscono i piccoli, gli spazzini che puliscono le gallerie e i soldati che difendono la colonia.

Il vivere in colonie eusociali non è una caratteristica comune ai mammiferi: l’eterocefalo glabro rappresenta una vera e propria eccezione essendo uno degli unici due mammiferi al mondo, assieme al ratto talpa di Damara, che vive in colonie. Tra i diversi gruppi però possono esserci delle rivalità e spesso accade che alcuni di loro invadano le altre tane per “rapire” i cuccioli e integrarli nella loro colonia.

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L’eterocefalo è in grado di vivere molto a lungo, superando addirittura i 30 anni. Anche in questo caso rappresenta un’eccezione, in quanto, mentre di solito in natura l’aspettativa di vita di un animale aumenta in relazione alla sua grandezza, nel caso del dragone foglia questo principio si annulla. Le sue dimensioni, infatti, si aggirano tra i 12 e i 15 cm di lunghezza e gli 80 g di peso e la sua aspettativa di vita è 10 volte maggiore rispetto a quella di un qualsiasi topo in cattività.

Ma non solo, perché è anche in grado di non provare alcun dolore: vivendo in gallerie molto strette dove si accumula tanta CO2, causa di forti bruciori alla pelle, l’eterocefalo si è evoluto “spegnendo” i recettori del dolore così da riuscire a sopravvivere in questi ambienti così inospitali. E come se non bastasse, in questo animale la probabilità di morire si mantiene costante per tutta la sua vita, cioè i “giovani” hanno la stessa probabilità di morire dei “vecchi”, e viceversa. Insomma, potremmo quasi definirlo un Matusalemme resistente a tutto.

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Le incredibili capacità di questo animale potrebbero essere utili anche per noi umani ed è per questo motivo che gli scienziati continuano a studiare tutti gli aspetti che lo riguardano, soffermandosi in particolar modo sulla sua sorprendente resistenza ai tumori. Gli studiosi, infatti, hanno scoperto che l’eteroencefalo glabro secerne grandi quantità di acido ialuronico che si accumulano nei tessuti formando una sorta di “gabbia” che impedisce alle cellule tumorali di replicarsi. Ecco così svelata la motivazione per cui non potrebbe mai ammalarsi di tumore.

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