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13 Dicembre 2022
15:33

Il racconto della scutigera che salvò la vita del suo miglior amico

Un racconto surreale per provare a vedere il mondo con le nostre emozioni ma dalla prospettiva di un artropode.

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E anche quella mattina, dal basso, la scutigera guardò il suo amico: aveva un aspetto più trasandato del solito, la barba arruffata sottolineava le profonde occhiaie e il viso smunto sembrava molto pallido sotto la gelida luce del neon.

Il ragazzo aveva vent’anni. Abitava in quella casa da quando era nato, con la madre che era l'unica persona che gli era rimasta dopo la morte del padre. Queste cose la scutigera le sapeva perché proprio lui gliele aveva raccontate,  arricchendo ogni volta la sua storia di particolari.

Il suo amico, infatti, ogni giorno la guardava, le sorrideva e, senza parlare, le raccontava anche le ultime novità della sua vita.

«Questa mattina non deve avere buone nuove», pensò la scutigera e poi si ricordò che in realtà era più di un mese che si diceva la stessa cosa. Ma per essere un centopiedi aveva pensato anche già troppo come fanno gli umani e cercò di tornare su cose più interessanti per un artropode su cui riflettere.

Il ragazzo, intanto, continuava a guardare l’immagine restituita dallo specchio dei suoi occhi cerchiati.

La scutigera non sapeva come si chiamasse il suo amico ed era una cosa che lo faceva sentire… “un verme”, come la definivano quelli a due piedi che provavano sempre ad ammazzarla, mentre quel giovane era invece la persona che ogni giorno le salvava la vita!

E poi, come se non bastasse, era da più di una settimana che il ragazzo non si calava più nella vasca per avvertirla di tornare dentro al buco di scarico perché sua madre stava per arrivare con l'insetticida. Decisamente qualcosa non andava e la scutigera  all'improvviso, capì: fu solo una sensazione, ma si propagò su tutto il corpo, fino alle punte di tutte le sue zampette.

«No… Non é possibile…», pensò e cercò di lasciar perdere quelle emozioni che all'improvviso le trasmettevano un profondo stato d’ansia.

Ma dal basso, all'improvviso, si rese conto che il ragazzo era sparito, non c'era più. Eppure non era nemmeno uscito dal bagno: la porta era ancora chiusa. Persa nei suoi pensieri, la scutigera non si era resa conto del tonfo. Fece capolino dalla vasca e la sua vista incontrò di nuovo il suo amico: era steso per terra, in un lago di sangue.

«E' tutto così rosso», si disse la scutigera e iniziò ad andare avanti ed indietro senza sapere cosa fare.

L'odore acre della morte che circondava il suo amico la fece rabbrividire.

Scese dal bordo della vasca, si accostò al corpo, tenendosi lontano dal sangue per non rimanervi incollata, e vide che gli occhi – gli occhi del suo salvatore – erano ancora aperti.  Ansimava e continuava a stringere forte nelle mani un oggetto metallico appuntito, proprio quello che usava per radersi nei tempi felici in cui alla scutigera piaceva tanto sentirlo fischiettare uno dei suoi motivi preferiti.

La testa del suo amico si voltò lentamente verso di lei.

L'artropode pensò che non sarebbe mai riuscita a farsi vedere ma il ragazzo, quasi sorridendo con gli occhi, rivolgendosi a lei sospirò: «L'ho fatto perché non ne potevo più di vivere ma ora non voglio morire… Le persone che mi amano non meritano questo. Vedo la morte, ma non le appartengo ancora… Ti prego aiutami».

La scutigera in un primo momento si convinse che il giovane stesse parlando da solo. Ma la sua ultima frase, quella preghiera così accorata, ad altri non poteva essere rivolta che a lei.  «Ma io sono un insetto… Come posso soccorrerti? Ho anche paura di aiutarti».

Il ragazzo non rispose. Del resto, si chiese l'artropode, come avrebbe mai potuto ascoltare con le sue orecchie da uomo?

Ma la disperazione del giovane evidentemente doveva avergli aperto nuovi canali di comunicazione. Dal profondo della sua vitalità disse, sebbene lui non se ne sarebbe mai ricordato: «La porta non è chiusa a chiave… Se ti fai vedere da mia madre, lei ti inseguirà fin qui per ucciderti e vedrà cosa ho fatto… Forse siamo ancora in tempo perché io non muoia».

La scutigera non voleva più ascoltare. Voltò il corpo minuscolo e lungo e iniziò a dirigersi verso la vasca. Meglio sparire, cambiare zona. Mettere a repentaglio la sua vita per quell'essere a due zampe? No, non era proprio il caso. La sola idea della paura che avrebbe provato nell'essere visto dalla madre del suo amico la faceva tremare.

Finse di non capire, rientrò nella vasca e disse, più a se stessa che all'altro: «Vedrai, non fa poi così male morire».

Si nascose nel tubo di scarico e udì quel suono per lei inconfondibile e che apparteneva a tutte le specie del mondo quando arrivava la fine: i violini del buio che avvisavano che un altro era pronto a raggiungere la fine. L'artropode ne aveva visti di esseri morire e ogni volta aveva sentito la stessa musica.

Ferma nel buio dello scarico, cercò di convincersi, ancora ed ancora, che almeno così il giovane uomo non sarebbe stato più infelice.

All’improvviso, però, capì che avrebbe perso per sempre il suo miglior amico. La scutigera, semplicemente, ritenne inutile la sua stessa vita senza avere accanto la persona con cui aveva compreso il senso della amicizia.

Provò per l’ultima volta a convincersi: «Potrei trasferirmi in un’altra vasca. Non sono mai rimasto per lungo tempo nello stesso posto». Ma la scutigera realizzò che, almeno una volta in vita sua, non voleva essere più considerata "un verme" come malamente gli umani spesso la definiscono quando in realtà lei era tutt'altro: un predatore coraggioso e eccezionale.

Corse fuori dalla vasca, passò accanto al corpo del giovane e sperò che fosse ancora vivo.  Si infilò sotto la porta e cercò la mamma del suo amico nelle altre stanze.

La trovò: era in cucina.  «Perfetto!», si disse, considerando che un soggetto come lei in un luogo come quello non avrebbe di certo fatto piacere alla donna e si arrampicò sul tavolo dove stava preparando un dolce.

La mamma del giovane, di spalle, si girò e la scutigera impresse tutti i suoi sforzi nelle sue cento zampe per alzarsi in posizione eretta.  Doveva vederla. Sì che doveva! E infatti la donna la vide, urlò e con uno straccio cercò di colpirla.

L'artropode non riuscì a spostarsi in tempo, gran parte delle sue zampe rimasero nell'impasto del dolce e il dolore si propagò per tutto il corpo.  Offuscata dalla sofferenza si comandò razionalità, mentre una parte di sé continuava a ripetere:"NON SONO AFFARI TUOI! VATTENE! VATTENE!".

«No. Non lo lascio lì», si rispose e trascinando il corpo, elevandosi ancora una volta sulle ultime zampe posteriori che le erano rimaste si fece vedere dalla donna, buttandosi subito a capofitto per terra.

Sperò che la mamma del suo migliore amico non avesse perso l’intenzione di eliminarla, ma quando la vide dietro di sé con una scopa capì che tutte le attenzioni della donna ormai erano rivolte a lei.

Infilò il corpo maciullato nello stipite della porta del bagno e finalmente la donna la spalancò.

Nel momento esatto in cui la madre urlò il nome di suo figlio: «Oh Dio mio! Guido!», la mazza calò, schiacciandola, sulla scutigera mentre si stava domandando se il suo unico amico, unico salvatore, fratello si chiamasse Dio o Guido.

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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