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11 Ottobre 2023
12:20

Il massacro dei gatti di Abu Dhabi: condannati a morire nel deserto perché considerati specie invasiva

Centinaia di gatti morti o agonizzanti sono stati trovati nel deserto di Abu Dhabi. Secondo Oipa, si tratterebbe del risultato di una lotta al randagismo. Ma l'avversione verso questi animali, considerati specie invasiva, è una piaga difficile da sradicare nel Paese.

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Giornalista
Intervista a Valentina Bagnato
Responsabile dell’ufficio relazioni internazionali di Oipa
Immagine
Fonte: Oipa

Nè cibo, né acqua, né riparo. Condannati a morire di stenti nel deserto che circonda Abu Dhabi negli Emirati Arabi. È stata questa la sorte di centinaia di gatti ritrovati morti o agonizzanti dai volontari, che hanno tentato di raccoglierli e metterli in salvo e che, ancora adesso, stanno perlustrando la zona seguendo le orme di quelli che potrebbero non essere ancora morti.

A raccontarlo a Kodami è Valentina Bagnato, la responsabile dell’ufficio relazioni internazionali di Oipa, l’associazione internazionale per protezione animale da giorni in contatto con i volontari locali che hanno segnalato la strage nel territorio deserto a ridosso della capitale Abu Dhabi, poco lontano dall’ospedale veterinario governativo Falcon Hospital, nelle zone desertiche di Al Falah. «Si tratta di un numero di animali che si aggira fra i 140 e i 200, quasi tutti gatti, a parte due cani, un Golden Retriever, recuperato, e un Husky ritrovato giù morto. Stiamo ancora cercando perché dalle foto abbiamo ritrovato orme di zampette fresche quindi pensiamo ce ne siano ancora», ci racconta.

Ma cosa sta succedendo negli Emirati Arabi? Si tratta di una di quelle operazioni di “pulizia” alla quale ci hanno oramai abituato molti paesi in vista di appuntamenti internazionali oppure di politiche di contenimento dei randagi che non ne vogliono sapere di sterilizzazione e vaccinazioni? «Non si tratta di randagi. A parte pochissimi, quasi tutti gli animali sono stati ritrovati con il microchip, e quindi si sta cercando di capire quale è la clinica che li ha microcippati. Alcuni sono gatti di che vengono accuditi da famiglie e spesso succede che le pest companies, vere e proprie  “società di disinfestazione”, quando setacciano il territorio in cerca di randagi raccolgano anche gatti domestici che vagano sul territorio e spesso i loro umani pur cercandoli non li ritrovano più. Stiamo cercando di verificare gli annunci di coloro che hanno perso gli animali per ricongiungerli alle loro famiglie».

La diffusione della notizia su molti media internazionali, anche la CCN americana ha dato ampio spazio ai ritrovamenti, ha costretto il Department of Municipalities and Transport (Dmt) emiratino ad annunciare di aver «immediatamente avviato le indagini dopo aver ricevuto la segnalazione – specificando in particolare – di aver adottato tutte le misure necessarie per stabilire le ragioni di questo atto, rilevando che le indagini sono ancora in corso in coordinamento con le autorità competenti per identificare gli autori di questo atto disumano, che contraddice la morale e i valori civili». Anche Oipa è in attesa di una risposta ufficiale dalle istituzioni che però, al momento non è ancora arrivata. «Abbiamo chiesto a Mohamed bin Zayed Al Nahyan di supervisionare e rivedere radicalmente la legislazione riguardante il benessere animale negli Emirati Arabi Uniti nell’ottica di una gestione etica del randagismo», spiega Valentina Bagnato. «In passato ci è stato più volte ribadito che due leggi riguardanti il benessere degli animali non sono state ancora promulgate, quindi non possono essere utilizzate dalla magistratura o dalle forze dell’ordine. Ma ad oggi non ci sono novità. noi come Oipa continueremo a seguire gli sviluppi e a farci dare aggiornamenti e informazioni a riguardo». Tutto però fa pensare che quanto accaduto potrebbe ripetersi. Già nel 2020 infatti, la cattura massiccia di randagi voluta dalle istituzioni emiratine per combattere il randagismo, aveva portato ad azioni simili proprio nell’area intorno ad Abu Dhabi.

«Sappiamo che ad Abu Dhabi ci sono anche altre aree dove gli animali vengono buttati senza acqua né cibo, nè riparo. Una pratica che viene utilizzata anche Dubai e in altre parti degli Emirati Arabi e va avanti da anni». Secondo la responsabile di Oipa – invece di applicare i programmi di cattura, sterilizzazione e rilascio sul territorio, le pest companies catturano i gatti che però non vengono mai sterilizzati e reintrodotti nei luoghi dove erano stati recuperati. Molto più spesso vengono abbandonati nel deserto a morire di stenti: né acqua, né cibo né riparo. Il nulla intorno a loro. Purtroppo è una pratica usuale per contenere il randagismo e ripulire le strade». Un metodo crudele di liberarsene, dunque. Eppure i programmi di sterilizzazione esistono e sarebbero attivi anche negli Emirati. «Ad esempio ad Abu Dhabi proprio il Falcon Hospital, l’ospedale veterinario governativo vicino al sito dove hanno ritrovato tutto questo orrore, è una delle strutture indicate per le sterilizzazioni».

Una tremenda pratica di contenimento del randagismo, dunque, sarebbe alla base di questo macabro massacro di felini condannati ad una morte atroce, con le temperature di questi giorni che negli Emirati non scendono sotto i 30 gradi anche di notte e superano i 40 sotto il sole del giorno. Una pratica che, però, va a braccetto con una mentalità largamente radicata. «I randagi, né gatti né cani, culturalmente non sono ben visti perché vengono considerati specie invasiva che porta malattie e problemi per la salute pubblica. A Dubai addirittura spesso la municipalità espone dei cartelli in cui si vieta di dare acqua e cibo ai randagi». Malgrado un atteggiamento culturale avverso, però, anche negli Emirati c’è chi si prende cura di loro. «Ci sono tanti volontari che li hanno a cuore – conferma Bagnato – e se ne prendono cura portandogli cibo e acqua malgrado i divieti. E  per chi li contraddice non solo sono previste multe ma conseguenze ben peggiori se il reato è reiterato e si viene ripescati a fornire cibo agli animali».

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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