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16 Dicembre 2022
16:34

I nostri antenati hanno imparato a camminare a partire dagli alberi

Per quanto possa sembrare un controsenso, un nuovo studio della University College di Londra sembra trasformare radicalmente l'idea che ci siamo fatti dell'origine del bipedismo.

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Abbiamo imparato da decenni ad apprezzare l'iconografia classica dell'evoluzione umana che vede un grosso primate simile ad uno scimpanzé iniziare a camminare tenendo la posizione bipede, fino ad evolvere in "versioni" più complete e simili a noi, per aspetto e portamento. Questa immagine, molto nota, però era stata già diverse volte criticata in passato dagli antropologi, in quanto promuove una visione lineare e distorta della nostra evoluzione.

Da alcuni giorni esiste una ragione in più per aggiornare la nostra visione dell'origine del bipedismo umano e secondo un articolo pubblicato recentemente su Science sembra che i nostri antenati abbiano cominciato a disporre della posizione eretta già a partire dal tardo Miocene, circa 5 milioni di anni, quando essi vivevano ancora principalmente sugli alberi.

La vecchia teoria 

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La teoria principale che è stata insegnata per anni nei libri universitari e delle scuole vuole che il bipedismo sia nato a seguito di un necessario cambio di stile di vita, quando i nostri antenati più scimmieschi – come Orrorin tugenensis o Ardipithecus kadabba – furono selezionati per attraversare e sopravvivere alla savana, a seguito della perdita delle foreste dovuto a un dibattuto cambiamento climatico. Con le fronde degli alberi della giungla che retrocedevano e la comunità di predatori felidi sempre in agguato alla ricerca di piccoli primati, i nostri antenati più capaci di mantenere la posizione eretta così si adattarono ad una nuova tipologia di locomozione molto complessa, che raramente è stata "scelta" in natura dagli altri animali, in quanto energeticamente dispendiosa e difficile da mantenere.

A supporto di questa vecchia teoria sussistevano molti dati ambientali e reperti fossili, che testimoniavano come e quando i nostri antenati si evolsero in specie sempre più specializzate nello spostarsi in posizione eretta, come i noti australopiteci che fra tutte le specie nostre antenate rappresentano il punto di congiunzione fra i nostri antenati più scimmieschi e quelli con caratteristiche più umane.

Tale liberazione degli arti superiori dal compito locomotivo, come è noto, avrebbe poi comportato in primis secondo la teoria lo sviluppo delle capacità manualil'incremento della coordinazione occhio-orizzonte-mano, che avrebbe indotto l'umanità ad emanciparsi dai pericoli rappresentati dai predatori, ma anche ad inventare le prime armi da lancio e a sviluppare/incrementare la coscienza, con l'encefalizzazione, promuovendo l'evoluzione di nuove specie.

Questa teoria, nota anche gergalmente come "Modello della discesa dagli alberi", dalla fine dell'Ottocento è stata quella più seguita ed utilizzata dagli antropologi per spiegare anche ai meno esperti come possa essere avvenuta la nostra evoluzione a partire da animali simili a scimmie, ma già all'epoca veniva spesso bersagliata da alcune critiche, che spinsero persino illustri artisti satirici a diffondere delle vignette che la prendevano in giro, usando il volto di Darwin per screditare ancora di più la sua posizione. Ovviamente però il modello resse e l'evoluzionismo entrò all'interno dell'antropologia fisica, divenendo un argomento serio per tutto l'Occidente.

Il nuovo modello

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L'articolo dagli antropologi dell'University Collage di Londra tenta di aggiornare la vecchia teoria partendo dall'analisi comparativa del comportamento posizionale e la terrestrialità in una comunità di scimpanzé della savana (Pan troglodytes schweinfurthii) in Tanzania, come primo test su una scimmia vivente dell'ipotesi che gli habitat boscosi della savana fossero un catalizzatore del bipedismo terrestre.  Come descritto dall'articolo, tale comunità di scimpanzé studiata ha la peculiarità di essere in grado di spostarsi sia in territorio boschivo che in territorio aperto, in quanto a differenza di altre famiglie vive in un territorio in cui entrambi gli habitat sono quasi comparabilmente presenti nel territorio.

«Le ricostruzioni paleoambientali indicano che i primi omininidi non vivevano nelle foreste tropicali comuni alla maggior parte delle scimmie esistenti oggi – scrivono gli scienziati – Invece, i primi ominidi fossili, tra cui Orrorin e Ardipithecus, si sarebbero mossi e si sarebbero nutriti in habitat di savana a mosaico dominati da boschi con lembi di vegetazione forestale ripariale, spesso definiti “savana-bosco” o “savana-mosaico”. Rispetto alla foresta tropicale, questi habitat di savana-mosaico avrebbero suscitato diverse pressioni selettive associate a una ridotta densità degli alberi e una maggiore stagionalità».

«Nonostante il legame suggerito tra l'aumento della terrestrialità e la comparsa di adattamenti bipedi – continuano i ricercatori – varie linee di evidenza supportano una forte componente arborea nell'ecologia degli ominidi. Gli ominidi fossili mostrano infatti caratteristiche morfologiche considerate vantaggiose per la locomozione arborea, tra cui arti superiori lunghi, articolazioni mobili della spalla, del gomito e del polso e falangi ricurve. Alcuni o tutti questi adattamenti arboricoli si trovano non solo nei primi ominidi, ad esempio, Sahelanthropus, Orrorin, Ardipithecus e Australopithecus afarensis, ma anche negli ominini successivi del Plio-Pleistocene, tra cui i primi appartenenti al genere Homo

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Queste caratteristiche non ci devono far immaginare i nostri antenati come "solo" dei grossi scimpanzé, riferiscono gli esperti. Dal punto di vista delle ossa, i reperti che negli ultimi decenni si sono aggiunti alle testimonianze che gli antropologi usano per carpire il percorso evolutivo umano avevano già mostrato infatti segnali che puntavano verso questa riflessione. Già alla scoperta di Orrorin e di Ardipithecus, che si presume abitassero in contesti ambientali simili, gli scienziati avevano sottolineato in uno studio come tra le caratteristiche legate al bipedismo –  come i loro femori allungati e meno arcuati, perfetti per essere ospitati all'interno di un'articolazione dell'anca di un animale che presentava già comportamenti semibipedi – fossero comunque presente morfologie arcaiche, che riportavano ad un contesto strettamente più boschivo.

«Inoltre, altre analisi hanno rivelato diversità nelle diete dei primi ominidi in un habitat a mosaico della savana – aggiungono i ricercatori – Con alcuni taxa che conservano un'elevata componente C3, una proteina del sistema immunitario, simile ai moderni scimpanzé della savana, indicativi di una strategia di foraggiamento arboreo».

Lo studio è il primo del suo genere a esplorare se gli habitat della savana-mosaico spiegherebbero l'aumento del tempo trascorso a terra dagli scimpanzé e dai nostri antenati e confronta anche il loro comportamento con altri studi sui loro cugini che vivono esclusivamente nelle foreste in altre parti dell'Africa. E al termine della ricerca, gli scienziati hanno rilevato come gli scimpanzé trascorrano tanto tempo sugli alberi quanto altri scimpanzé che vivevano in fitte foreste, nonostante il loro habitat più aperto. In assenza di indizi fossili definitivi e a causa delle difficoltà nel ricostruire il legame che sussiste tra comportamento e habitat dalla sola morfologia, gli studi quantitativi sulla locomazione dei primati selvatici esistenti sono stati fondamentali per fornire dati che possano spiegare come e perché il bipedismo potrebbe essersi evoluto, all'origine dell'evoluzione umana.

Il bipedismo si sarebbe originato come modalità di locomozione secondaria per attraversare i grossi rami nella giungla, aiutandosi con le mani che tenevano strette fra le dita altri ramoscelli, per poi assumere rilevanza maggiore quando la savana prese il sopravvento del tutto. Nonostante però il loro studio, i ricercatori affermano che il motivo per cui solo gli esseri umani hanno iniziato a camminare su due piedi, perdendo la capacità di camminare sulle nocche, rimane ancora un mistero.

«Probabilmente deriviamo da qualche specie che fu l'unica ad optare esclusivamente un comportamento bipede, trascurando per sempre la capacità di arrampicarsi e camminare sulle fronde degli alberi. E questi studi possono essere utili a capire perché questo sia successo», concludono i ricercatori.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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