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9 Novembre 2021
16:11

Gorgona: l’ultima isola carcere d’Europa dove si costruisce un futuro senza crudeltà verso gli animali

L'isola di Gorgona, a 34 chilometri dalle coste livornesei, è l'ultima isola penitenziario d'Europa. Un luogo in cui un tempo i detenuti si dedicavano ad attività legate al macello, costruito appositamente in questo scoglio nel Mediterraneo. Oggi però, grazie al lavoro di molte persone, il macello è stato chiuso e durante la pena è possibile lavorare a contatto con gli animali, i quali non vengono più soppressi e sono diventati il fulcro di un progetto ambizioso: la creazione di un'azienda agricola.

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Gorgona é la più settentrionale delle isole dell'arcipelago toscano. Situata di fronte alle coste di Livorno, appare come un scoglio nell'azzurro del mar Mediterraneo. Quest'isola però, con il suo porticciolo privo di turisti e la sua natura selvaggia, è diversa da tutte le altre.

A Gorgona infatti l'accesso è limitato, perché proprio qui ha sede l'ultimo "carcere – isola" d'Europa, un luogo che fin dal 1869, occupa i detenuti con mansioni legate all'allevamento e all'agricoltura e dove fino a pochi anni fa, era attivo un macello in cui venivano soppressi gli animali destinati al mercato alimentare.

Un tempo anche altre isole ospitavano penitenziari, tra queste in particolare l'isola di Capraia, circa 40 chilometri a Sud di Gorgona, era sede della cosiddetta colonia penale agricola, un carcere di cui venne disposta la chiusura nel 1986 e dove oggi, la natura è tornata a conquistare i suoi spazi intorno alle mura ancora in piedi dei palazzi.

Gli animali di Gorgona: un tempo erano destinati al mercato alimentare, oggi sono il simbolo di un cambiamento

Gli animali di Gorgona, venivano un tempo considerati fonte di reddito e macellati direttamente sul posto. Oggi però grazie all'impegno del direttore della struttura e della Lav, supportati da un medico veterinario, gli stessi detenuti e l'ex sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi qualcosa è cambiato: il macello è stato chiuso e gli animali vengono curati e mantenuti in vita per dare un nuovo valore etico alla convivenza tra le specie, mantenendo l'importante obiettivo di  favorire la formazione dei detenuti e aiutarli nel loro reinserimento sociale attraverso mestieri legati alla cura e alla tutela degli animali e della terra.

«La metamorfosi ha avuto inizio nel 2014, grazie al dottor Marco Verdone, il veterinario che si prendeva cura degli animali di Gorgona basando il suo mestiere sul benessere – racconta Carlo Alberto Mazzerbo, che nel 1989 arrivò sull'isola per dirigere il carcere – Alcuni detenuti inoltre cominciarono a rifiutarsi di uccidere gli animali che avevano visto nascere e crescere e di cui si erano presi cura per tutta la vita. Questi fattori ci hanno spinti inevitabilmente a ragionare sull'incoerenza che stava alla base di queste mansioni: come potevamo continuare a lavorare per curare gli animali e migliorarne le condizioni di vita, se poi li avremmo comunque accompagnati al macello?».

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La storia del macello dal dopoguerra al 2014

La storia delle attività zootecniche sull'isola di Gorgona ha inizio a partire dal dopoguerra: «In quel periodo, la macellazione della carne permetteva al personale di sopravvivere e di migliorare il proprio tenore di vita – spiega il direttore – Oggi però non è più così e, anzi, la presenza di un numero eccessivo di animali non è sostenibile per un'isola di piccole dimensioni come la nostra».

La mucca Valentina è stata la prima a beneficiare di quello che sull'isola chiamano "il decreto di grazia", ovvero il passaggio da animale cosiddetto "da reddito" ad animale da compagnia: «Dopo di lei abbiamo salvato anche la mucca Carolina e poi due caprette che erano le mascotte del carcere. Poi è arrivato il momento della maialina Bruna, la quale divenne addirittura protagonista di una favola scritta da una classe di bambini la cui maestra veniva a prendersene cura – racconta Mazzerbo – Questo è stato solo l'inizio del cambiamento. Ormai avevo preso coscienza che non avrei potuto continuare il progetto da solo, quindi ho cominciato a parlare con i colleghi, spiegando loro che non vi era più alcuna utilità economica nella presenza del macello sull'isola: il ricavato era superiore alla spesa e inoltre l'attività inquinava e non era sostenibile».

Nel 2014 si interessò alla situazione di Gorgona anche l'allora sottosegretario alla giustizia Vittorio Ferraresi, il quale si dimostrò completamente d'accordo con l'opinione di Mazzerbo: «Grazie a lui venne finalmente chiuso il macello e firmammo una convenzione con la Lav, con il Comune di Livorno e con il Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano per riconvertire le nostre attività in un qualcosa di nuovo e più formativo».

L'isola di oggi: «Gli animali non vengono più soppressi ma vivono con noi e sono protagonisti di numerosi progetti»

L'isola di Gorgona, con i suoi 220 ettari di superficie, non dispone di molte risorse naturali. Lo spazio per la zootecnia non è molto, eppure il carcere è riuscito a ricavare tre ettari di terreno, a cui si aggiungono un vigneto e un uliveto: «Gli animali ora non vengono più soppressi ma vivono sull'isola – spiega Mazzerbo, che ci tiene anche a sottolineare che la metamorfosi è solo all'inizio – A partire dal prossimo gennaio molti animali verranno trasferiti nei rifugi della Lav, dove continueranno a vivere tutelati e curati. Un terzo degli animali però, ovvero quelli che l'isola può sostenere, resterà con noi e, grazie anche alla collaborazione con l'Università della Bicocca, inizieremo a lavorare sulle potenzialità della relazione tra gli uomini e gli animali».

I progetti a cui fa riferimento il direttore sono nati dopo aver notato che permettendo ai detenuti di prendersi cura di asini, capre, maiali e galline si è verificato un cambio nel comportamento delle persone: «Soprattutto chi aveva problemi relazionali oppure difficoltà nel gestire la rabbia, grazie al lavoro a contatto con gli animali che richiede rispetto ed empatia, ha mitigato i propri comportamenti – continua il direttore – Ora, la nostra scommessa è quella di creare un gruppo di detenuti che lavorino, insieme ai tecnici e a un'esperta di pet therapy, proprio per favorire questi comportamenti».

Il lavoro portato avanti in questo carcere non riguarda però solo il tempo passato a contatto con gli animali, ma vuole fare in modo di dare un senso alla relazione vera e propria con la figura dell'animale nella vita delle persone: «Abbiamo svolto un laboratorio di scrittura creativa in cui l'oggetto del racconto era l'esperienza che i detenuti avevano avuto con gli animali nel loro passato: le loro storie da bambini o anche solo i primi ricordi – racconta Mazzerbo – Il risultato è un libro di racconti che nei prossimi mesi verrà stampato e pubblicato in collaborazione con la Lav».

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Il futuro dei detenuti di Gorgona e l'azienda agricola che farà dimenticare le crudeltà

Un argomento che sta molto a cuore al direttore del carcere è quello legato al futuro dei detenuti: «Attraverso la conversione che abbiamo messo in atto, anche persone che non avevano mai visto un gregge in vita loro, oggi avranno la possibilità di raggiungere nuovi sbocchi professionali – racconta – Da questo mese, due ragazzi avranno la possibilità di lavorare presso uno dei rifugi della Lav dove trasferiremo gli animali. Questa è una grande occasione anche per loro, perché si sentiranno parte di un'associazione e riceveranno inoltre un contributo economico».

L'idea di Mazzerbo infatti è quella di riuscire ad aiutare le persone anche al termine della detenzione: «Il nostro compito non termina il giorno che finisce la pena, ma è anche quello di preoccuparci del loro futuro. Quando si esce dal carcere, chi non ha lavoro vive un periodo di forte fragilità si trova in un mondo in cui è importante creare una rete e stare in mezzo alle persone».

Il progetto di Gorgona, unico nel suo genere, non si ferma qui e infatti, le idee per il futuro sono molte: «Nei prossimi anni vorremmo trasformare la struttura del vecchio macello dismesso in un'azienda agricola – conclude il direttore – Trasformeremo i prodotti dell'orto in passate, zucchine trifolate e altri alimenti che venderemo per ricavarne proventi da destinare ai detenuti, i quali svolgono un mestiere etico, senza dover togliere la vita ad altri animali».

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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