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29 Dicembre 2020
14:00

Gli animali fanno mobbing. A fin di bene

Il mobbing è un comportamento utilizzato da tantissime specie animali per difendere la propria prole da possibili predatori. Scoperto e studiato per la prima volta negli uccelli, oggi sappiamo che è molto diffuso anche tra i mammiferi, persino tra i nostri cani.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Nella specie umana il mobbing indica una forma di abuso che trova spazio anche nella giurisprudenza. In molti altri animali, invece, è una strategia difensiva sociale attiva e come tale è stata descritta per la prima volta da Konrad Lorenz nel 1963. Il mobbing è quell’insieme di comportamenti aggressivi che gli uccelli, ad esempio, mettono in atto contro un individuo di un’altra specie nel quale ravvisano un potenziale predatore e che invece noi umani, con metodo offensivo, siamo invece soliti perpetrare ai danni di individui della nostra stessa specie per motivi perlopiù personali.

Come e perché gli animali mettono in atto il mobbing

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Cinciallegra (Parus major)

Il mobbing è una strategia antipredatoria tipica, ma non esclusiva, degli animali che vivono in gruppo. Se un adulto genitore si accorge che un predatore si è avvicinato troppo alla propria nidiata inizia a emettere segnali uditivi molto specifici che servono sia a richiamare alle armi altri consimili che a confondere il “cacciatore”. Trovandosi, in un attimo, circondato e confuso il malcapitato non riesce più a localizzare le uova o i piccoli che stava cercando e demorde.

Tra fine autunno e inizio inverno le città come Milano, ad esempio, si riempiono di piccoli, petulanti passeriformi. Sono le cinciallegre: rotondette e con il becco da insettivoro, stretto alla base, si riconoscono per il tipico cinguettio che fa quel suono titutitutitutitu e perché nell’aria ondeggiano, svolazzando da un albero all’altro a piccoli tratti ascendenti e discendenti.

Orbene, questi deliziosi uccelli, piccoli ma dal grande temperamento, davanti a un potenziale predatore non le mandano a dire: se percepiscono l’avvicinarsi di un falco o di un gufo, appollaiatosi vicino a un loro nido, lanciano uno strillo facilmente riconoscibile dagli altri uccelli della stessa specie. Così, quelli che si trovano nei paraggi rispondono immediatamente unendosi al coro stridulo, e si precipitano a formare un nutrito gruppo in grado di dissuadere il comune nemico dai propositi alimentari infanticidi.

I gabbiani: la prima specie su cui è stato evidenziato il fenomeno del mobbing

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Gabbiani

In realtà, i primi uccelli in cui il mobbing è stato evidenziato sono i gabbiani, e chi abita in una città di mare, o vicina al mare, come Genova, Napoli o Roma, ne sa sicuramente qualcosa. Un paio d’anni fa, in primavera, ricordo che fui chiamata da una cara amica romana: era disperata, perché non riusciva più a rientrare a casa. Ogni volta che varcava la soglia dell’edificio, veniva attaccata con pervicacia da un gabbiano che urlava, la beccava e tentava persino di bombardarla con escrementi liquidi. Quello era sicuramente un genitore che aveva nidificato sul tetto dell'edificio e, riconoscendo nell’umana una potenziale predatrice, da lei tentava di proteggere i propri pulcini. Ma i gabbiani non se la prendono solo con le persone: ad esempio, è possibile osservarli mentre mobbizzano una cornacchia a caccia di uova. Costringendola a difendersi, le impediscono di esplorare il territorio e localizzare l’agognato pasto.

Quando le cornacchie fanno mobbing ai falchi

È anche vero che le cornacchie, a loro volta, sono capaci di fare mobbing, quando serve, e di questo, assieme ai miei studenti, sono stata testimone oculare in un tempo recente. Era ottobre inoltrato, di un anno fa, e stavamo svolgendo la consueta esercitazione in campo sullo sviluppo comportamentale del cane. A un tratto, il gracchiare acuto e concitato di una cornacchia ci indusse a spostare i nostri occhi dagli adorabili cuccioli al cielo, e questa fu la scena che ci si palesò davanti: le cornacchie, che in un lampo erano divenute quattro o cinque, strepitavano agitatissime circondando un piccolo falco, probabilmente un giovane gheppio. Gli impedivano di uscire dal loro cerchio e talvolta lo colpivano pure, il che è abbastanza anomalo e fa capire bene quanto il costo di quell’azione dovesse essere nettamente inferiore al suo beneficio. In altre parole, da qualche parte, nascosto là intorno, c’era un nido occupato da preziosissimi pulcini da difendere. Probabilmente gli ultimi per quella stagione. Il 2019, in effetti, è stato un anno di nidificazioni tardive in molte specie ornitiche, il che spiega come in ottobre ci fossero ancora piccoli in giro.

Il mobbing non è un’esclusiva degli uccelli: anche i mammiferi lo mettono in atto

Ad ogni modo, non si pensi che il mobbing sia esclusivo degli uccelli! Anche i mammiferi, specialmente quelli appartenenti alle specie sociali, ne sono capaci. Un esempio comune è rappresentato dalle megattere, che notoriamente mobbizzano le orche, e poi ci sono gli scoiattoli di terra della California, che scavano tane sotterranee in cui, però, amano insinuarsi i serpenti a sonagli affamati. E cosa fanno questi scoiattoli temerari? Accerchiano il crotalo di turno e iniziano ad agitare vigorosamente le code: in questo modo, emettono segnali infrarossi che per il serpente rappresentano un messaggio forte e chiaro. Il rettile sa, infatti, che quello è il momento di fuggire, se non vuole ritrovarsi con gli occhi pieni di sabbia, che gli scoiattoli da lì a poco cominceranno a lanciargli sul muso!

Quando l’abbaio è una forma di mobbing

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Infine, sorprenderà sapere che esiste una vocalizzazione, universalmente nota, che in molti animali, compreso il cane domestico, è associata al comportamento di mobbing: è l’abbaio. Ebbene sì: dalle analisi dei sonogrammi e dalle descrizioni acustiche presenti in letteratura, sappiamo che svariati mammiferi e uccelli, anche poco o per nulla imparentati, abbaiano, e la motivazione può essere proprio il mobbing. Tra le specie in cui l’abbaio di mobbing è stato identificato troviamo il cane domestico e alcuni canidi selvatici, come il coyote; i primati non umani, come i cebi cappuccini, ma anche i cervidi e gli scoiattoli; tra gli uccelli, i corvi americani e alcune specie della famiglia delle cince.

Pur provenendo da specie anche filogeneticamente molto lontane, questo abbaio ha caratteristiche tipiche comuni: è composto da vocalizzazioni ad ampi spettri di frequenza e con un inizio acuto, sono di breve durata e tendono a essere ripetute rapidamente e con persistenza. Tutte queste caratteristiche si sono evolute in quanto, evidentemente, hanno dato prova di essere quelle universalmente più adatte a favorire il reclutamento dei conspecifici in presenza di un intruso, e a essere fatte oggetto di particolare attenzione da parte di quest’ultimo.

Tirando le somme, il mobbing è un comportamento che si è diffuso nel regno animale in specie anche molto diverse tra loro, e non necessariamente imparentate, ma con la stessa funzione: difendere la prole dai possibili predatori.

A far eccezione siamo noi. L’auspicio è che anche gli esseri umani convergano verso le altre specie e magari smettano di mobbizzare i propri consimili, trattandoli alla stregua di nemici da scacciare.

Bibliografia

Kruuk, H. (1964). Predators and Anti-Predator Behaviour of the Black-Headed Gull (Larus Ridibundus L.). Behaviour. Supplement (11), III-129.

Marler, P. (1955). Characteristics of Some Animal Calls. Nature 176, 6–8.

Rundus A.S., et al. (2007). Ground squirrels use an infrared signal to deter rattlesnake predation. Proceedings of the National Academy of Sciences, 104(36): 14372-14376.

Lord, K., et al. (2009). Barking and mobbing. Behavioural Processes, 81(3), 358–368.

Nel 2003 mi laureo in Medicina Veterinaria. Dal 2008 sono ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, dove insegno Etologia Veterinaria e Benessere Animale. Studio il comportamento degli animali e la relazione uomo-animale.
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