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8 Novembre 2023
18:15

Cosa significa riproduzione assistita degli orsi marsicani e perché difficilmente si farà

Il Parco nazionale del Gran Sasso ha approvato una convenzione che sta facendo molto discutere perché oltre a prevedere interventi volti a supportare la diffusione dell'orso bruno marsicano nell'Appennino centrale cita anche un dipartimento dell'università di Léon specializzato in "tecniche di riproduzione assistita"

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orso marsicano

Per incrementare la popolazione di orsi marsicani saranno usate pratiche di riproduzione assistita. È questa la notizia che si è diffusa dopo la pubblicazione del protocollo d'intesa stipulato tra l’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso, la Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”, la Cooperativa COGECSTRE, è alcune università straniere, tra le quali anche l’Università degli Studi di León, nota a livello internazionale proprio per le sue attività di ricerca nel campo della riproduzione assistita di animali selvatici.

Per fare chiarezza, Kodami ha parlato con Corradino Guacci, presidente della Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello” e fondatore con il presidente del Parco del Gran Sasso, Tommaso Navarra, della bozza di progetto che sulla carta ha il fine di realizzare di una serie di interventi volti a «supportare la formazione e il consolidamento di metapopolazioni di Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) e la loro diffusione nell’Appennino centrale».

Significa che tra poco gli orsi verranno catturati al fine di acquisirne il materiale genetico volto a realizzare interventi di riproduzione assistita? No. La vocazione principale, e realmente attuabile, della bozza di progetto approvata dal Consiglio direttivo del Parco del Gran Sasso è quella di ampliare l'areale di diffusione del marsicano favorendo e sviluppando i corridoi ecologici già frequentati dall'animale.

Cosa significa riproduzione assistita

All'interno del progetto, a destare l'attenzione del pubblico è stata la partecipazione dell’Università degli Studi di Léon che fornirà servizi di formazione veterinaria, in particolare attraverso il gruppo di ricerca ITRA ULE che si occupa in maniera specifica di tecniche di riproduzione assistita. «Il progetto prevede l'istituzione di una banca dati genetica dell'orso bruno marsicano – spiega Guacci a Kodami – Si tratta di uno strumento fondamentale per proteggere questa specie unica al mondo dalla scarsa variabilità genetica e dal rischio di estinzione. Ma la procreazione assistita resta un obiettivo sullo sfondo».

Il procedimento parte dall'acquisizione di materiale genetico finalizzato alla riproduzione assistita degli orsi bruni marsicani. Una ipotesi molto lontana e, al momento, non praticabile. Questo perché per attuarla non serve solo il know-how messo a disposizione dall'università, ma è necessario il via libera dell'Ispra e il supporto degli Enti Parco maggiormente interessati dalla presenza di orsi marsicani, tra questi in prima linea c'è il Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise (Pnalm). Si tratta di condizioni che al momento non ci sono.

Vuol dire che gli orsi non verranno presi dal loro habitat e sottoposti alle operazioni necessarie per estrarre il materiale genetico, come conferma Guacci: «A breve procederemo soltanto con la formazione degli operatori dei parchi appenninici sulle tecniche per realizzare gli interventi finalizzati all'acquisizione del materiale genetico. Per queste giornate di formazione non c’è bisogno dell'ok da parte degli enti, partiremo da queste».

Il riferimento alle tecniche di riproduzione ha un valore simbolico per Guacci, volto a iniziare un confronto sul tema con le istituzioni: «Vogliamo sensibilizzare rispetto alla creazione di un database genetico che possa garantire un futuro ai marsicani, tutelandone l'unicità, un po' come se fosse il "panda italiano"».

Come si acquisisce il materiale genetico

La procedura per acquisire il materiale genetico utile ai fini della creazione di una banca dati e successivamente della riproduzione assistita non è semplice. Per le orse femmine si tratta di una operazione particolarmente invasiva dato che prevede un vero intervento in sala operatoria, una procedura non priva di rischi. Per i maschi invece il discorso è più semplice perché la raccolta del seme può essere attuata dopo la cattura e la sedazione, direttamente sul posto.

«Non è possibile procedere con le femmine di una specie fragile come quella marsciana – ammette Guacci – ma il discorso cambia per i maschi». Il riferimento al panda da parte del presidente della Società Italiana per la Storia della Fauna non è quindi casuale. In Cina vengono usate da oltre 10 anni tecniche di inseminazione artificiale per salvare dall'estinzione i panda. A questo scopo sono stai raccolti nei laboratori della provincia dello Sichuan milioni di campioni di sperma di questo animale, si tratta infatti dell'unica regione in cui è ancora presente in natura. La fecondazione assistita è infatti una procedura che viene utilizzata negli zoo di tutto il mondo, dove il panda si trova in cattività.

Il panda non riesce a sopravvivere in natura, mentre il marsicano è attualmente in una fase di espansione del proprio areale. Tuttavia, già nel 2013 la Società di Guacci aveva diffuso un appello in cui chiedeva di «elaborare una strategia di conservazione ancora più incisiva di quella fino ad ora messa in atto […]. Avvalendosi anche della rete internazionale dei giardini zoologici, e delle specifiche competenze lì esistenti, si potrà costituire uno stock genetico utile sia per favorire la diffusione della specie che per interventi di reintroduzione nel caso si verificasse un crollo della attuale popolazione».

Una prospettiva alla quale l'Ispra quello stesso anno aveva però risposto negativamente poiché riteneva sufficiente il Piano d'azione già elaborato per l'orso marsicano, e, in estrema ratio, l'introduzione di popolazioni geograficamente vicine. Quest'ultima prospettiva però da sempre viene rifiutata dall'Ente Parco d'Abruzzo e oggi, a vent'anni di distanza, osteggiata anche dalla comunità scientifica contemporanea.

Esemplari di orso marsicano liberi in natura stanno cercando di riappropriarsi dell'Appennino con risultati che danno speranza. E l'Ente Parco del Gran Sasso attraverso il progetto, in realtà, punta proprio a cercare di aumentare la propria «appetibilità per il marsicano», spiega Guacci.

Il Gran Sasso infatti aderisce già al progetto europeo Life Bear-Smart Corridors che mira proprio a favorire l'espansione della popolazione di orso bruno marsicano nell'Italia centrale sviluppando "corridoi di coesistenza", dove le comunità locali potranno imparare a vivere con questa specie unica e ancora vitale in natura, benché fortemente minacciata. È questo l'obiettivo immediatamente realizzabile del progetto siglato dal Parco e dalla Società Italiana per la Storia della Fauna.

Chi è l'orso marsicano

L'orso marsicano è una sottospecie geneticamente differenziata di orso bruno europeo, diffuso in tutta Europa. La popolazione di marsicano al contrario conta appena 60 individui ed è presente solo in particolari zone dell'Appennino centrale italiano, un'area compresa principalmente tra Abruzzo, Lazio e Molise.

Per Guacci la soluzione è nella banca dati, prima che la specie arrivi al punto di non ritorno, magari salvaguardando individui ritenuti particolarmente prolifici e competenti, come era Amarena, l'ora uccisa questa estate con un colpo di fucile mentre era in compagnia dei suoi due cuccioli all'interno di un pollaio di San Benedetto dei Marsi. Una vicenda che Kodami ha ricostruito andando con le sue telecamere in Abruzzo e parlando con i cittadini che vivono nei territori abitati dai marsicani.

«La vicenda di Amarena è stata una vera tragedia, perché era una femmina molto prolifica e soprattutto una "brava mamma", per semplificare usando una immagine un po' antropocentrici – ricorda Guacci – Vuol dire che era riuscita a portare allo svezzamento tutti i suoi 4 cuccioli della prima cucciolata, un fenomeno estremamente raro, perché la mortalità dei piccoli è molto alta».

Il rischio connesso però è quello di portare l'orso marsicano nel pericoloso circuito dei giardini zoologici, trasformando un animale che sta lottando strenuamente per sopravvivere in natura. Condizione che ad oggi siamo proprio noi a rendere impossibile, come dimostra proprio il caso di Amarena.

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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