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Luigi e il suo rifugio dal volto umano: così a Napoli i cani vivono liberi in attesa di adozione

A Chiaiano, nel nord di Napoli, sorge "L'emozione non ha voce", il rifugio di Luigi Carrozzo, storico animalista partenopeo e esperto conoscitore dell'etologia canina. «I cani possono tranquillamente essere adottati nei canili, bisogna andare oltre dei preconcetti e dei pregiudizi» spiega a Kodami, mentre i suoi 60 amici gironzolano in libertà in un luogo in cui li accoglie in attesa di chi abbia intenzione di incontrarli e conoscerli per una vita insieme.

25 Marzo 2021
7:00
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Passeggiare nei vicoli e nelle strade di Napoli negli anni del Dopoguerra e scoprire che il cane di quartiere, da queste parti, è sempre esistito. Poi fare un volo spazio temporale e ritrovarsi nella periferia nord della città ai giorni nostri, a Chiaiano, e immergersi nel mondo di Luigi Carrozzo che attraverso i suoi racconti ti porta a passeggiare dentro la storia del randagismo in Campania. "L'emozione non ha voce" è il nome del suo rifugio ed è il mantra di quest'uomo che, sin da bambino si è appassionato agli animali e ha imparato il mondo della comunicazione tra i cani, capendo e venendo incontro alle esigenze di una specie con cui condivide ogni giorno della sua vita.

«Ho voluto chiamare questo posto così per una canzone di Adriano Celentano di cui sono fan e anche perché abbiamo la stessa età… ah no, io sono più giovane!», sorride Luigi, circondato dai 60 cani che ospita mentre è pronto di fronte alle nostre telecamere per raccontare la sua storia e quella dei suoi amici. C'è Jack, un cane da caccia affettuoso e sempre in cerca del calore umano. Accanto Achille, un Pastore tedesco, che controlla serafico la situazione pronto a intervenire con la giusta dose di autorevolezza se gli altri fanno troppo casino. Le tre muse, Fiammetta, Laura e Beatrice («Le ho chiamate così in onore di Boccaccio, Petrarca e Dante», precisa Luigi) corrono felici nel prato intorno ai recinti scatenando la protesta di Bayer, un mix molosso giovane e dalla personalità già definita: un soggetto ideale con cui condividere giornate piene di emozioni e poi riposare su un divano insieme. Ma ecco che Luigi richiama tutti all'ordine: è pronto ad aprire il suo mondo ai lettori di Kodami e tutti i cani sono pronti a farsi cullare nel sonno dalla sua voce, al caldo di un sole di marzo che scalda le ossa e la pelle. Si mettono giù tranquilli: 60 anime felici di partecipare anche loro a una giornata diversa dal solito, con questi ospiti umani che sono venuti a trovarli proprio perché vogliono ascoltare le loro storie.

Luigi, gli anni per le strade di Napoli e il rifugio a misura di cane

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«Sono nato nell'ormai lontano 1953 da una famiglia vocata alla missione animalista e protezionista. Sono figlio e nipote di stirpe contadina: diciamo che sono portato naturalmente al contatto con gli animali e con la natura», racconta Luigi, fissando l'obiettivo e allungando una mano verso Bambino, un cane nero che si è seduto sulla sedia accanto a lui come se volesse partecipare in prima persona all'intervista. «E' il mio alter ego, penso che sia convinto di essere me», scherza il responsabile e fondatore di un luogo in cui i cani vivono in libertà e i recinti servono solo per i cani che hanno problemi di salute.

«Napoli è stata sempre all'avanguardia nella tutela del benessere dei cani liberi – sottolinea subito Luigi – Oggi si parla tanto di cani di quartiere ma qui da noi ci sono sempre stati. Prima ce ne erano di più, sicuramente, ed è un bene che oggi si porti avanti l'idea di reimmettere animali tranquilli e che vivono serenamente con gli uomini: è un approccio importante per la convivenza responsabile. Mi ricordo, però, quando andavo in giro con mia mamma a dare una mano a chiunque ci chiamasse per qualche cane di cui non si sapeva che destino avrebbe avuto o solo per dirimere delle "controversie" magari tra cani o tra persone e cani. I bambini della mia zona, ma anche di tante altre città, avevano un rapporto diretto in strada con gli animali. Non dimenticherò mai Lola, una dei nostri cani di quartiere. Io ero piccolo e lei veniva con me a scuola: mi accompagnava, poi ritornava nel suo vicolo e quando tornavo mi faceva un sacco di feste. Siamo andati avanti così per una decina d'anni e dopo Lola ci sono stati i suoi figli, Bobby e Bock».

Il tempo, attraverso le parole di Luigi, si trasforma in un andare avanti e indietro e rivalutare così la storia dei randagi in questa parte di Paese che spesso, invece, viene additata solo in maniera negativa per la continua emergenza in cui operano i volontari sul territorio. «Ci sono alcune città e diverse zone nel Sud dove ancora le autorità e le istituzioni sono restie a riconoscere quello che io definisco un "bene di quartiere" e a dargli tutta la sua ufficialità. Ma bisogna dare un messaggio positivo anche rispetto a quegli anni di cui parlavo prima: noi oggi abbiamo un servizio veterinario a Napoli che funziona abbastanza egregiamente. Negli anni 60 e 70 non esisteva niente e i randagi in cui ci imbattiamo io e la mia famiglia non erano sempre voluti bene e concetti come "benessere e "tutela" legati al mondo degli animali non avevano proprio significato».

Ci sono pro e contro, come in ogni storia che si rispetti, anche nel raccontare le evoluzioni e le involuzioni del rapporto tra uomini e cani in questo spaccato d'Italia rappresentativo delle condizioni in cui si trova gran parte del Meridione e dove, ancora, i canili non sono dei luoghi di passaggio in attesa di adozioni ma spesso dei veri e propri lager per cani. «La parola canile per me dovrebbe proprio scomparire dal vocabolario. Oggi è cambiato completamente il quadro istituzionale dell'assistenza agli animali: sono nati i primi centri di aggregazione per i randagi, ci sono scuole di istruzione cinofile che collaborano con i volontari fino a posti come questo dove ci troviamo adesso: un rifugio a misura di cane».

Come cambia la vita in libertà dei cani e quanto serve per le adozioni

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«Dobbiamo cominciare ad eliminare le gabbie ovunque. Qui ci sono solo dei recinti e con le reti abbiamo creato degli spazi di libertà soprattutto. Ho poi deciso di non appesantire numericamente la struttura: oggi ci sono 60 cani ma ho avuto punte di oltre cento. Il vero problema è che accogliere tanti animali può trasformarsi in un assecondare il fenomeno dell'abbandono. Ipoteticamente tutti potremmo prendere animali dalla strada e tutti possiamo rispondere alla chiamata di un  privato che non vuole tenere più il proprio cane. Oggi eufemisticamente non si chiama più "abbandono" ma è di moda la dicitura: "rinuncia di proprietà". Un rifugio o un canile non devono essere l'alibi per queste persone e sono gli enti pubblici che devono fare in modo che ciò non avvenga: è tempo di punire severamente, davvero, applicando del resto una legge che esiste già, chi commette quello che per me è un abominio».

"L'emozione non ha voce" è un luogo a sua immagine e somiglianza che racchiude i valori di Luigi. Rappresenta la vita di un uomo che vive in mezzo agli animali: «Ognuno ha il suo modo diciamo "di parlare" e con i cani non c'è bisogno di spiegarsi a parole. Basta osservarli, ci dicono tantissimo: con la postura, uno sguardo e una scodinzolata un cane ci ha raccontato già tantissimo. Permettergli di essere se stessi, vivere in compagnia dei loro simili li rende più sereni e ne trae vantaggio anche la relazione con gli uomini. Non vale per tutti, sia chiaro: ognuno è un soggetto a sé e ognuno ha le sue preferenze. Ma i cani tra di loro si aiutano tanto e ho visto individui arrivare in condizioni disperate dal punto di vista comportamentale e poi andare felicemente in adozione».

La gestione, il mondo del volontariato e le sfide di ogni giorno

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E poi c'è il mondo del volontariato, dal quale Luigi viene e che, nonostante anni in cui ha visto di tutto, continua ad amare. Non senza, però, sollevare una questione fondamentale quando gli chiedi se viene aiutato nella gestione del rifugio: «La mia giornata inizia all'alba e alle otto e mezza, nove ho finito tutte le cose più onerose. Alle sei i primi soggetti, quei pochi che sono ancora costretti a vivere nelle "loro stanze" perché anziani o malati, hanno bisogno subito di assistenza. Verifico così come è passata la notte, se è tutto in ordine e via con le pulizie. Poi c'è la distribuzione della pappa e nel giro di un paio d'ore il più è fatto. Ecco allora che puntualmente si presenta il problema più grande per chi ha un rifugio quando deve aprire le porte al volontario: fargli capire che non può venire quando vuole. Spesso il volontario animalista pensa di essere indenne da quelli che sono gli impegni da prendere dettati dalle richieste da dare agli animali stessi. Ecco, io credo che ci siano molti modi di fare i volontari ma se penso a chi, ad esempio, lo fa in ospedale di certo deve sottostare a delle regole ben precise sia di orari che di attività da compiere».

La vita con Luigi non è stata sempre gentile come lui è con umani e cani. «Ho deciso di dividere la mia esistenza con loro ed è stata una scelta di vita. Divido anche la stanza da letto con loro nel mio chalet di legno qui nel rifugio. La notte sono almeno una decina di che decidono di farmi compagnia e mi fanno anche da guardia: mi sento molto sicuro e molto tranquillo: sono molto più protetto di una banca», conclude Luigi con quella sua capacità di saper sdrammatizzare e mettendo puntualmente in rilievo il lato della relazione che c'è tra lui e i suoi amici. «Nessuno mi ha obbligato a vivere così e fino al 2006 avevo una casa normale al centro di Napoli e il rifugio l'ho messo su con alcuni amici. Poi gli amici hanno preso un'altra strada, come succede spesso, e io sono rimasto solo anche dal punto di vista familiare. Ho perso la mia casa natia agli inizi degli anni 2000 ma non mi sono abbattuto e sono andato avanti con la mia idea di un luogo in cui ridare dignità a individui a cui era stata lesa dalla nostra specie. Non ricevo alcun finanziamento pubblico, vado avanti solo con le donazioni e pago ogni mese l'affitto di questo terreno su cui, se potessi, farei interventi migliorativi: aree di verde più grandi e possibilità per le persone di venire a conoscere i cani anche insieme a quelli che magari già fanno parte della loro famiglia. Dare spazio e possibilità anche agli educatori, che qualche volta si sono visti ma che poi non sono più tornati, per migliorare nella loro professione e dare davvero una mano ai cani che sono qui».

Bayer, il giovane e allegro mix molosso abbandonato e recuperato

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Uno degli ultimi arrivati è Bayer, un mix molosso di circa due anni: una forza della natura che non nasconde però giù una grande consapevolezza e capacità di integrarsi bene con cani e umani. «E' un cagnolone di circa 30 chili di peso che è stato costretto a separarsi dalla sua sua compagna umana. Lei ha perso il lavoro e non poteva più garantirgli né assistenza né compagnia per cui a malincuore Bayer è finito prima in un canile tradizionale. E' stato tragico: un cane abituato a vivere con la sua amica umana si è ritrovato chiuso in un box, costretto ad uscire solo una, due volte al giorno massimo.  Bayer aveva così cominciato ad avere problemi comportamentali: era difficile da gestire ma una brava istruttrice cinofila è riuscita a recuperarlo e poi è arrivato qui. In una prima fase adattarsi non è stato semplice, lui giovane e impetuoso in mezzo a cani già integrati. Poi, piano piano, abbiamo visto che grazie alla presenza di alcuni d loro, come Achille e Flash, si è completamente ripreso e integrato. Achille e Flash, due miti: cani che vengono chiamati "regolatori", ovvero quei soggetti che insegnano agli altri come dividere la giornata con i propri simili. Ora Bayer è un cane come tutti gli altri ha a disposizione un box di 30 metri quadri quando è necessario separare le uscite nell'area libera e quando sta con gli altri gioca e sa comportarsi. Bayer è uno di quei cani che nonostante quello che ha passato apprezza la vita sociale e potrebbe essere adottato subito grazie al suo carattere buono e dolce che è stato tirato fuori proprio grazie al modo di vivere che i cani hanno qui al rifugio».

Jack, da un fosso alla vita

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Per tutto il tempo in cui Luigi ci ha concesso di entrare nella sua vita e in quella dei suoi compagni a quattrozampe, uno di loro non ha fatto altro che seguire tutta l'intervista dall'altro lato dell'obiettivo, ovvero dove eravamo noi. Interrompere le carezze, del resto, significava solo una cosa: Jack si sarebbe messo sotto al cavalletto pur di ricordarci di lui. «Il nostro Jack è un mix Pointer, un cane da caccia a cui, però, non è mai interessato molto cacciare. Viene dalla provincia di Benevento e aveva un proprietario, ovviamente un cacciatore che era frustrato dal fatto che Jack non aveva tanta voglia di uccidere di uccidere gli altri animali e, soprattutto, di rispondere allo sparo in modo "adeguato" dal suo punto di vista. Così non gli dava da mangiare, lo teneva relegato e abbandonato a se stesso finché un giorno Jack è stato però investito in malo modo da un'auto. Sembrava morto e quel cacciatore per scaricarsi completamente di ogni preoccupazione scavò un fosso e ce lo buttò dentro. pure un fosso l'avevo quasi seppellito. La fortuna di Jack sono stati dei volontari del posto che si resero conto di quello che stava succedendo, con il cane ancora vivo sotto il terreno in cui era stato buttato. Chiamarono i Carabinieri, Jack fu tirato fuori dalla sua tomba, soccorso, portato di corsa dal veterinario. E' finito poi prima nel canile sanitario di Napoli, dove è stato curato per le fratture che aveva agli arti anteriori e posteriori. Poi è arrivato da me: non poteva ritornare in strada. Oggi è un cane felicissimo, allegro, di grande compagnia e cerca tanto il contatto umano: l'abbiamo ripreso del tutto dal punto di vista di vista caratteriale ed emotivo e ancora una volta, anche con lui, sono stati fondamentali i cani regolatori del rifugio».

Sfatare i luoghi comuni e adottare dai canili e dai rifugi

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«I cani possono tranquillamente essere adottati nei canili, bisogna andare oltre dei preconcetti e dei pregiudizi», è il messaggio con il quale ci lascia Luigi, mentre ci accompagna insieme a Masaniello, Gnappa, Twist, Luna e tutti gli altri all'uscita. «Certo, non tutti i centri possono essere "rifugi dal volto umano": a volte sono solo posti dove i cani non se la passano bene ma sono proprio questi ultimi, spesso provenienti da abbandoni e quindi già abituati a stare in famiglia, che meritano di ritrovare la serenità e possono entrare tranquillamente in casa. A volte basta solo un piccolo percorso educativo e oggi, a differenza degli anni in cui ho iniziato e di cui vi ho raccontato, per fortuna abbiamo tanti educatori e tante di quelle scuole di cinofilia che quasi tutti i canili  hanno un loro esperto di riferimento. E' tempo, però, che anche le amministrazioni pubbliche cambino: aprano le porte dei canili e aiutino le persone a capire che proprio quelli sono i posti dove andare a cercare un compagno per la vita».

Kodami sostiene queste realtà. Se hai un rifugio dedicato agli animali, ti riconosci nei valori del nostro Manifesto e condividi la nostra idea di relazione con gli animali domestici e in generale di rispetto dei selvatici, segnala la tua storia a redazione@kodami.it

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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