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30 Aprile 2021
8:05

Thailandia: dove si fabbricano le protesi per gli elefanti

Nella Riserva Nazionale di MaeYao nell’area di Lampang, poco lontano da Chang Mai, l'ortopedico Therdchai Jivacate e l'associazione FAE Friends Asian Elephant, hanno realizzato una struttura unica al mondo dove si realizzano le protesi per elefanti vittime delle mine antiuomo. E Mosha e Motala, due elefantesse a cui sono state amputate le zampe, sono tornate a camminare.

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Giornalista
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(credits:@Friends of the Asian Elephant Foundation)

È un lavoro lungo e minuzioso, che non finisce mai. Perché quando a saltare in aria su una mina antiuomo è un cucciolo di elefante, se si riesce a salvarlo e a costruirgli un protesi, poi l’elefante crescerà e la protesi dovrà essere cambiata, e poi cambiata e infine cambiata di nuovo. Ed è proprio quello che continua a fare il dottor Therdchai Jivacate, l’ortopedico (per uomini, non veterinario) che da anni è impegnato a costruire protesi per i monconi di zampe di elefanti feriti dallo scoppio di una delle migliaia di mine ancora disseminate in tutto il territorio tra Thailandia, Cambogia e Myanmar. È nata così la prima fabbrica di protesi per elefanti del mondo, accanto al FAE Elephant Hospital, la prima struttura ospedaliera della Thailandia dedicata ai pachidermi. La fabbrica delle protesi è alloggiata in capannone accanto all’ospedale: nel 2016 si sono conclusi i lavori per allestirla. Da allora è diventata il punto di riferimento per il dottor Therdchai e il suo team, composto anche da molti volontari.

L’ospedale per gli elefanti, immerso nella giungla del nord della Thailandia

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Nella fabbrica un ortopedico realizza le protesi che permetteranno agli elefanti che hanno perso una zampa sulle mine antiuomo di tornare a camminare (credits:@Friends of the Asian Elephant Foundation)

Nato nel 1993 per volere di FAE Friends Asian Elephant, la struttura ospedaliera si trova nella Riserva Nazionale di MaeYao nell’area di Lampang, poco lontano da Chang Mai, una delle aree più popolose di elefanti dell’intera Thailandia. È qui che, a ridosso di una giungla selvaggia e avvolgente, sorgono decine di santuari dedicati alla salvaguardia di questi animali. Ma è anche qui che, spesso, si può incappare nei santuari che non hanno nulla di etico, luoghi dove gli animali sono allevati non per il loro benessere ma per essere utilizzati come attrazioni turistiche. Ma FAE Friends Asian Elephant, fondato da Soraida Salwala, ci tiene moltissimo all’etica dei suoi salvataggi e alla sua missione. Per chi arriva a visitare gli elefanti ospiti le regole sono chiare: niente cavalcate sulla loro groppa, né dipinti con la proboscide o ridicole partite di pallone, ma solo il racconto delle loro storie e l’emozione della loro conoscenza dal “vivo”.

Più di 5000 elefanti curati

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Mosha, uno degli elefanti a cui è stata applicata una protesi, con il dottor Therdchai Jivacate, l’ortopedico che per primo ha inventato le protesi

Accanto agli elefanti che oramai vivono stabilmente nella struttura ci sono poi i “malati”. Quelli accolti nell’Elephant Hospital fin dal ’93. «Dalla sua nascita abbiamo trattato oltre 5.000 casi di elefanti malati e feriti, precisamente 5.637» spiega Soraida. I pazienti dell’ospedale sono di ogni tipo: animali feriti, abbandonati, mutilati o semplicemente bisognosi di assistenza per mettere al mondo i loro cuccioli. Molti di loro provengono dalle strutture turistiche dove erano utilizzati per il trasporto dei visitatori. Altri provengono invece dalle aziende che tagliano e spediscono legna in tutto il mondo e che li usano come animali da fatica per spostare i pesanti tronchi. Vengono accolti e curati, quelli che non hanno più una casa, troveranno in questa struttura, la casa che li accoglierà per sempre. Di quest’area circa la metà dal 2016 è stata trasformata nella fabbrica delle protesi per elefanti ed è proprio qui che, non appena la pandemia da covid 19 lo permetterà, torneranno i tecnici e i volontari per ricominciare a costruire le nuove zampe per gli elefanti che ne hanno bisogno.

Mosha e Motala, sopravvissuti alle mine antiuomo

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I volontari e il dottor Therdchai Jivacate al lavoro con una protesi (credits:@Friends of the Asian Elephant Foundation)

Tra di loro ci sono Mosha e Motala. «Mosha è arrivata qui nel ‘99 e qui rimarrà per tutta la sua vita – spiega Soraida – Per lei, arrivata ferita e quasi morta dopo lo scoppio di una mina al confine con il Myanmar che gli ha troncato di netto una zampa, la fabbrica ha già realizzato dodici protesi. Per Motala invece le protesi fino ad oggi sono state otto». Il lavoro non è finito, perché le due elefantesse sono cresciute negli anni e le protesi hanno bisogno di continui aggiustamenti. «Per questo non appena la situazione pandemica migliorerà il team di volontari del dottor Therdchai Jivacate tornerà per continuare con la progettazione e la produzione di nuove protesi per i due elefanti. Per gli altri elefanti che hanno avuto lesioni a causa delle mine, invece, non saranno necessarie protesi. È stato proprio Therdchai ad amputare Mosha, quando nel ’99 è arrivata qui ferita. Con lui abbiamo cominciato a progettare le protesi e la fabbrica per produrle e con lui continueremo a realizzarne».

Un ininterrotto lavoro quotidiano

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Nell’ospedale dal ’93 sono stati curati più di 5.000 elefanti (credits:@Friends of the Asian Elephant Foundation)

Prendersi cura di Mosha e Motala è un impegno gravoso e ininterrotto. Le due elefantesse, infatti, sono tornate a camminare e riescono a muoversi indipendentemente come gli altri elefanti presenti nel campo. «Ma ogni giorno dobbiamo continuare a prenderci cura di loro. Non dormono con le protesi e quindi, tutte le mattine un gruppo di volontari ci aiuta a posizionarle. L'arto amputato infatti viene pulito, coperto di borotalco e rivestito con in grosso calzino. Solo allora si può inserire la protesi che viene agganciata con delle speciali cerniere, che con gli anni sono state perfezionate e migliorate, adattandole alle dimensioni dell'elefante in continua crescita». Mosha e Motala, infatti, sono arrivate all'ospedale ancora cucciole. Ora, ormai adulte, non se ne andranno mai più.

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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