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4 Maggio 2023
11:58

Scimmie e esseri umani vedono i colori nella stessa maniera?

Un nuovo studio ha permesso di comprendere le differenze tra la vista degli esseri umani e quella di alcune scimmie, ottenendo risultati molto interessanti anche per le future riflessioni evolutive.

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Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) ha permesso agli scienziati di studiare le differenze nella vista e nella percezione dei colori fra gli esseri umani e le altre specie di scimmie. In particolare, noi Homo sapiens sembriamo essere in grado di percepire una gamma maggiore di colori rispetto agli altri primati, soprattutto quelli legati al blu. Un fenomeno che non era mai stato approfondito e che ora ha una spiegazione fisiologica.

Yeon Jin Kim e Dennis M. Dacey, ricercatori della University of Washington School of Medicine di Seattle e tra i coautori dell'articolo, hanno infatti scoperto che questa differenza si osserva soprattutto nella retina, grazie a dei particolari circuiti delle cellule nervose umane che si sono specializzati esclusivamente per la visione dei colori. «Le differenze trovate nella nostra retina possono indicare recenti adattamenti evolutivi legati alla visione e alla trasmissione nervosa dell'informazione dall'occhio al nostro cervello», hanno spiegato gli ricercatori.

Per ottenere questo risultato e capire come gli occhi delle altre scimmie agiscono in maniera diversa dai nostri, gli scienziati hanno confrontato le connessioni tra le cellule nervose delle retine degli esseri umani con quelle di due specie di primati, il macaco giapponese (Macaca fuscata) e lo uistitì dai pennacchi neri (Callithrix penicillata). Gli scienziati hanno scelto queste due specie poiché erano interessati a conoscere la capacità di percezione dei colori nei due principali gruppi di scimmie, quelle del Vecchio Mondo, originarie di Africa ed Eurasia, e quelle del Nuovo Mondo, diffuse invece in Sud America.

Le scimmie di questi due raggruppamenti, infatti, si sono separate evolutivamente tra loro parecchi milioni di anni fa e gli antenati degli esseri umani moderni si sono ulteriormente discostati da questi due gruppi circa 25 milioni di anni fa. Ciò permette agli scienziati di studiare abbastanza efficacemente l'evoluzione della vista nel nostro ordine per capire se e quando sono comparse differenze tra questi gruppi.

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Un macaco giapponese, una cosiddetta scimmia del Vecchio Mondo

La tecnica principalmente utilizzata in questo studio è stata l'osservazione diretta della retina, anche tramite delle ricostruzioni microscopiche al computer. Ciò ha permesso agli scienziati di esaminare le cellule specializzate nella cattura dei colori, chiamati coni, come non si era mai riuscito a fare prima. In particolare, gli scienziati si sono concentrati sulla fovea, l'area dell'occhio dove sono presenti il maggior numero di queste cellule fotorecettrici.

«I coni sono stati importanti per l'evoluzione delle scimmie diurne, perché hanno permesso agli animali di identificare la frutta matura tra le chiome degli alberi e di distinguere meglio le tonalità delle pellicce dei predatori all'interno della foresta o della savana», hanno dichiarato gli esperti. Proprio per svolgere tali funzioni, queste cellule si sono dunque evolute per risultare sensibili a tre differenti tipologie di lunghezza d'onda (corte, medie e lunghe) che permettono la percezione di differenti colori.

Essere sensibili alle diverse lunghezze d'onda non basta però per "vedere" i colori, è necessario che queste informazioni vengano poi elaborate dal cervello. Ed è per questo che, a partire dai coni, le informazioni fisiche vengono poi convertite dai centri nervosi della vista, situati nella corteccia occipitale del cervello, che traducono il messaggio in una percezione visiva cosciente.

Quali sono però le principali differenze tra la retina umana e quella degli altri primati? In particolare, i ricercatori hanno scoperto che uno specifico circuito nervoso sensibile alla luce blu presente in H. sapiens è completamente assente in entrambe le specie di scimmie studiate. E le ragioni che spiegano questa assenza possono essere molteplici.

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Lo uistitì dai pennacchi neri è invece una scimmia del Nuovo Mondo

I ricercatori hanno per esempio menzionato la possibilità che questa differenza possa essere spiegata con il diverso stile di vita delle specie e con gli adattamenti specifici che ciascun animale ha sviluppato per vivere nel proprio ambiente. I macachi e gli esseri umani, per esempio, occupano ambienti diversi e questo ha portato la nostra vista a sviluppare maggiori capacità nella rivelazione del blu, non necessari all'altro primate. Ma perché il blu è così importante per la nostra specie?

Anche in questo caso gli scienziati non sono riusciti a fornire delle ipotesi certe, ma essere in grado di vedere il blu potrebbe aver permesso ai nostri antenati di osservare meglio il cielo notturno o la superficie dell'acqua. Queste, infatti, sono le principali sorgenti luminose per la luce blu in natura e per quanto possa sembrare poco funzionale, per una specie diurna che si è evoluta a partire dalle foreste, essere capaci di vedere meglio al buio o percepire l'acqua, poteva essere senz'altro utile durante le migrazioni e le esplorazioni di nuovi territori.

Probabilmente la mutazione casuale che ha permesso ai nostri progenitori di percepire meglio la luce blu è stata infatti fondamentale per gli umani che in seguito, diffondendosi in tutto il globo, hanno utilizzato anche le stelle per orientarsi negli spostamenti oppure hanno cominciato a pescare per variare la propria dieta. Chi era infatti in grado di distribuirsi meglio sul territorio e ottenere maggiori risorse, era avvantaggiato rispetto quelle popolazioni che invece non ne erano in grado di farlo. Nuove ricerche saranno però necessarie per verificare adeguatamente queste ipotesi, chiariscono i ricercatori.

Questo studio potrebbe tuttavia aiutare anche a rispondere ad alcune domande che sono rimaste in sospeso da tempo sulla nostra evoluzione. Tra queste ci sono lo sviluppo stesso dei circuiti neurali e il legame che esiste tra la percezione dei colori e alcuni comportamenti. Questo articolo, infine, potrebbe risultare altrettanto utile anche per gli studi focalizzati su alcune patologie che colpiscono la vista, come la cecità progressiva o il daltonismo, che nelle forme più gravi rende impossibile la percezione dei colori.

Il prossimo obiettivo dei ricercatori sarà allora quello di analizzare i dati ottenuti all'interno di un quadro evolutivo più ampio sulla nostra specie e sarà anche interessante capire se persino le specie a noi più vicine, come gli scimpanzé o i gorilla, sono in grado di percepire il blu come noi oppure no.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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