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14 Gennaio 2024
19:00

Risolto l’enigma dell’estinzione del gigantopiteco, il più grande primate mai esistito

Gli scienziati hanno finalmente spiegato le ragioni che hanno portato il gigantopiteco, il primate più grande ad essere mai comparso sulla Terra, ad estinguersi velocemente.

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Una nuova ricerca pubblicata recentemente su Nature ha tentato di risolvere uno dei più grandi enigmi irrisolti della paleo-antropologia moderna, andando ad analizzare i pochi elementi disponibili di un'antico primate piuttosto misterioso. In Cina, 2 milioni di anni fa, viveva un antico parente della nostra specie, poi estintosi velocemente circa 295-215.ooo anni fa. Era un grosso primate alto fino a 3 metri, pesante oltre 250 kg e capace di convivere per diverso tempo insieme ai nostri antenati Homo erectus. Questa creatura era prettamente vegetariana ed è stata la più grande scimmia ad essersi evoluta nel corso della storia, finché non si estinse poco prima dell'arrivo dei Sapiens in estremo oriente.

Il suo nome scientifico è Gigantopithecus blacki e il grande mistero che avvolge la sua estinzione è relativo alla sua precipitosa ed improvvisa scomparsa, non legata agli effetti classici del cambiamento climatico del periodo o all'eventuale caccia perpetrata dall'uomo. Per decenni i paleontologi hanno tentato di capire cosa spinse questa specie a svanire nell'arco di pochi millenni, andando alla ricerca di nuovi reperti nelle regioni della Cina meridionale. Tuttavia, gli unici reperti importanti ottenuti nell'arco di un secolo sono stati esclusivamente dei denti, più alcune mandibole che sono state trovate in 22 siti sparsi in un’ampia regione della provincia di Guangxi.

Questi reperti sono praticamente gli unici oggi disponibili dalla ricerca per comprendere la sua estinzione ed è per questo se un team di ricercatori cinesi, australiani e statunitensi ha deciso per la prima volta di confrontarli, per capire se nascondevano o meno delle informazioni che gli autori precedenti avevano trascurato.

Gli scienziati hanno cominciato così a tentare di estrapolare nuove dati, usando 6 metodi di datazione differenti, utili per datare con una certa precisione ciascun singolo reperto a disposizione dei paleontologi. L'esito di questa datazione ha prodotto 157 età radiometriche, dei dati molto importanti per capire i trend che ha vissuto questa specie. Per completare tuttavia eventuali dati mancanti, gli scienziati hanno anche datato diversi sedimenti che ricoprivano i fossili, provenienti dalle grotte della provincia di Guangxi, così da ottenere dei dati ambientali relativi al mondo in cui vivevano.

Le tipologie di analisi più importanti sono stati però quelli che si sono concentrati sugli studi del polline, sulla ricostruzione della fauna e sull'analisi degli isotopi stabili dei denti. Ottenendo infatti i risultati da questi test, il team è riuscito a stabilire quali erano le condizioni ambientali presenti in Cina al momento dell'estinzione del G. blacki, come vivevano le sue popolazioni prima della crisi e quale è stata  la causa del suo definitivo declino.

Una questione di dieta

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Fino a 700-600.ooo anni fa, il gigantopiteco visse tranquillamente, all'interno delle foreste cinesi, senza soffrire di nessun problema in particolare. Era in perfetta armonia con le altre specie, non finiva vittima per via della stazza dei predatori e la foresta gli offriva ingenti quantità di frutta e di risorse con cui viveva bene. In questo periodo, le sue popolazione probabilmente erano anche molto numerose, per un primate delle sue dimensione, e non era nemmeno in conflitto con gli altri primati o con gli esseri umani. 

Questo punto è molto importante, perché in passato per spiegare la sua repentina estinzione alcune teorie, ora rivelatisi sbagliate, avevano persino proposto che il grosso primate fosse entrato in competizione con Homo erectus, subendo un conflitto che alla lunga l'avrebbe portato al declino.

Successivamente però a quest'epoca, l'ambiente divenne più variabile e il clima cominciò a far regredire le foreste e a far evolvere nuovi alberi da frutto. Ciò provocò un pesante cambiamento nella struttura delle comunità forestali, che cominciarono ad essere abitati da nuove specie di piante e animali. Inoltre, le piante preferite dal gigantopiteco cominciarono a scomparire dalle regioni meridionali della Cina e il grosso primate si ritrovò costretto a subire le conseguenze della sua straordinaria mole. «Il G. blacki, ricercando solo frutta dalle grandi dimensioni, era lo specialista per eccellenza – afferma uno degli autori dello studio,  il professor Zhang. – Questo tuttavia alla fine lo portò a soffrire».

Non potendo nutrirsi delle piante per cui la sua bocca si era adattata, il gigantopiteco cominciò a patire lentamente la fame, soprattutto quando giunsero altre specie come gli oranghi che, ampliando la propria dieta ed espandendosi in tutto il sud est asiatico, iniziarono a rubargli praticamente il cibo.

A condannare definitivamente il gigantesco primate fu poi la definitiva scomparsa, circa 295- 215.000 anni fa, degli alberi in cui riusciva ancora ad arrampicarsi. Pesando troppo, infatti, gli alberi oggi attualmente presenti nelle foreste cinesi o nelle altre giungle limitrofe non lo reggevano.

Questo fu il colpo di grazia che condusse la specie alla definitiva caduta, non potendo neppure evolversi assumendo minori dimensioni, essendosi completamente adattato – dal punto di vista fisiologico e metabolico – a essere molto grande e a mangiare alcune particolari tipologie di frutta. Tra l'altro questo studio ha dimostrato che il gigantopiteco si estinse molto prima di quanto precedentemente ipotizzato, fornendo nuove prove del fatto che la nostra specie non può essere considerata tra i colpevoli della sua scomparsa.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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