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29 Dicembre 2022
9:00

Pteranodonte, l’antico rettile volante dominatore dei cieli

Gli Pteranodonti sono i rettili volanti più famosi mai esistiti, anche grazie alla loro rappresentazione in Jurassic World. Spesso chiamati "dinosauri volanti", questi predatori carnivori non appartenevano in realtà allo stesso ordine, ma a quello degli Pterosauri.

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Fonte: Wikimedia Commons

Gli Pteranodonti sono forse i rettili volanti e i parenti dei dinosauri più famosi che siano mai esistiti. Appartenenti all'ordine degli Pterosauri, facevano anche parte del gruppo degli pterodattiloidi, che ne includevano le specie più evolute. Sprovvisti per il maggior numero di una vera e propria coda e con i metacarpi che sostenevano le ali allungate, questo sottordine aveva soppiantato le forme più arcaiche di rettili volanti, i Ranforinchi, a partire dal Giurassico superiore, per poi ottenere il quasi controllo totale dei cieli durante il Cretaceo, fino alla grande estinzione di 65 milioni di anni fa.

Abitava principalmente nell'attuale America settentrionale, visto che il primo ritrovamento di questi grandi animali  avvenne negli Stati Uniti, nei depositi di calcare delle Smoky Hill nel Kansas occidentale. Questi fossili si depositarono sul fondo di quello che un tempo era il Mare Interno Occidentale, un grande mare poco profondo che si estendeva in quella che oggi è la parte centrale del continente nordamericano e che separava gli Appalachi ad est dalle Montagne rocciose dell'ovest.

Il nome latino del genere Pteranodonte significa "ala senza denti", vista proprio l'assenza di denti nel becco, rispetto ai suoi più antichi antenati pterodattili giurassici e ai ranforinchi. Differentemente però a quanto crede la gente, la specie non appartiene allo stesso ordine dei dinosauri. Dunque il termine gergale con cui i meno esperti identificano la specie – "dinosauri volanti" – è sbagliato. Tutti gli pterosauri appartengono al gruppo degli Pterosauromorpha, che insieme ai Dinosauri e ad altri piccoli gruppi di animali si distaccano dai comuni arcosauri, formando il clade dei rettili Avemetatarsalia , che sono "più vicini agli uccelli che ai coccodrilli".

La specie più famosa e più grande di Pteranodonte è lo Pteranodon longiceps, descritto dal famoso paleontologo Marsh nel 1876, proprio in Kansas. Di esso son stati identificati oltre 1.000 reperti, per quanto poco più della metà non risultano sufficientemente completi per trarne delle informazioni anatomiche scientificamente valide. Di solto però questa specie viene presa come riferimento per tutte le altre specie conosciute di pteranodonti, in quanto il numero di esemplari raccolti di questa specie dai paleontologi è comunque superiore a qualsiasi altra, e comprende sia esemplari maschili che femminili di diverse fasce d'età.

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Com'erano fatti gli pteranodonti

Gli Pteranodonti sono una delle creature più imponenti che abbiano mai solcato i cieli del globo. Vissero fra i 110 e i 65 milioni di anni fa, durante l'ultima fase del Mesozoico.

Avevano il globo allungato e aereodinamico, che si era adattato perfettamente per fendere l'aria, anche tramite l'evoluzione della cresta ossea cava. Da sola questa struttura poteva essere lunga metà della lunghezza dell'animale. Il collo era invece molto corto, formate da poche vertebre di ridotte dimensioni, che impediva alla specie di girare molto la testa. Era però forse dotato di un gozzo, simile a quello di un pellicano. Negli anni successivi infatti allo studio dell'olotipo, i paleontologi notarono sotto la mandibola di altri reperti appartenenti alla stessa specie delle piccole infossature. Questi segni vennero interpretati come le zone di inserzione di legamenti e della cartilagine, utili nel sostenere una tasca molto utile per la pesca.

Con ali che complessivamente potevano raggiungere gli 8 metri negli animali più grossi e capace di garantire una velocità di oltre 50 chilometri all'ora, lo pteranodonte presentava un cinto pettorale necessariamente molto sviluppato, che aveva all'altezza dello sterno persino una cresta ossea che garantiva un punto di appoggio per i muscoli destinati al controllo del volo. La caratteristica però più notevole delle ali dello pteranodonte, come di tutti gli pterosauri, era la struttura stessa dell'ala e del patagio, completamente diversa rispetto a quella dei moderni uccelli o dei mammiferi volatori come i pipistrelli.

La "mano" dello pteranodonte era infatti l'elemento che portava il maggior peso nella delicata struttura dell'ala. Omero, radio, ulna e il quarto dito sostenevano infatti la membrana alare, resistendo da soli all'attrito dell'aria e allo sforzo compiuto nella planata. Quando invece gli animali erano a terra, poggiavano le nocche al suolo, ripiegando il quarto dito all'indietro e trascinando goffamente il corpo in avanti per avanzare.

Caratteristica distintiva che distingue lo Pteranodonte dagli altri pterodattili a lui contemporanei sono le sottili spine neurali delle vertebre, la presenza di un abbozzo di coda e i canali pelvici. La coda in particolare – lunga fino ad un massimo di 25 centimetri nei maschi più grandi – era formata da 11 vertebre caudali sacralizzate (ovvero fuse), molto particolari anche a causa della presenza di elementi distali allungati, che formavano delle aste parallele. L'origine di queste strutture e della funzione di questa coda è ancora misteriosa e fonte di dibattito fra gli studiosi.

Secondo le ricostruzioni paleogeografiche e dei modelli ingegneristici che negli ultimi anni hanno tentato di valutare la resistenza dell'animale in condizioni proibitive, gli Pteranodonti potevano spingersi anche 200 chilometri oltre le zone costiere, rendendolo di fatto uno dei più grandi volatori della sua epoca. Per quanto però resistente e dotato di grandi dimensioni, lo Pteranodonte non era un animale molto pesante. Le sue ossa erano infatti principalmente cave e gli studiosi ritengono che pesasse non molto di più rispetto ad un bambino. Questo anche perché un animale con un'apertura alare come il suo, non sarebbe riuscito a planare o a prendere il volo, sfruttando le correnti, se fosse pesato oltre i trentacinque chili.  Gli stessi grandi uccelli migratori oggi esistenti, come l'Albatros, seguono la stessa logica. Hanno ossa cave e si mantengono leggeri, per sfruttare le colonne d'aria e rimanere in volo.

Per quanto riguarda i sensi dello pteranodonte, i paleontologi stanno discutendo da molto tempo se presentasse o meno una vista e un olfatto sviluppato. Le tracce fossili non sono chiare. Alcuni reperti però riportano tracce di squame fossili e di una sorta piumaggio di varia complessità, oltre a coperture cornee che proteggevano varie parti del loro corpo. Queste tracce di piume – note come picnofibre – non devono far credere che gli uccelli derivino direttamente dagli pterosauri. In effetti la struttura anatomica di queste piume è molto differente rispetto a quelle delle piume attuali, tanto che ricordano molto di più un pelo, rispetto che ad una piuma vera e propria. Gli scienziati pensano che tali peli potessero essere usati per l'accoppiamento o per far comprendere meglio all'animale dove girasse la corrente d'aria.

Abitudini e comportamento

Dai reperti che disponiamo, gli scienziati credono che come buona parte degli pterosauri lo Pteranodonte fosse principalmente un animale carnivoro ed ittiofago. Sorvolava i fiumi ma soprattutto i tratti di costa attorno al grande Mare Interno dell'America preistorica, alla ricerca di piccoli dinosauri, mammiferi e pesci, con cui si cibava. E anche molto probabile che praticassero la saprofagia e il cannibalismo,per quanto sia sempre più crescente all'interno dell'università la corrente che li reputa simili agli odierni avvoltoi, ovvero capace di svolgere efficientemente il ruolo di spazzini della natura.

pteranodonte

Per quanto riguarda la loro riproduzione, sappiamo che i maschi erano più grandi delle femmine e che probabilmente usavano la loro cresta anche per comunicare il proprio status. Difatti la cresta è soprattutto presente negli esemplari adulti di sesso maschile e sembra che la sua dimensione sia direttamente correlata al benessere dell'animale, come avviene annualmente per i palchi di molti cervi. Tra l'altro in un fossile è stato preservato un bandeggio del colore della cresta, suggerendo il suo utilizzo come display nelle lotte per il controllo delle femmine e dei siti di nidificazione.

Questo dato ha permesso agli scienziati di riflettere sulla socialità di questi animali, che non erano solitari, ma bensì vivevano in gruppi – almeno per alcuni mesi dell'anno – in cui avere una cresta grande portava un vantaggio selettivo dal punto di vista sessuale.

Per quanto riguarda invece la loro locomozione sulla terra ferma, destarono molto sorpresa alcuni ritrovamenti che testimoniavano come gli Pteranodonti avessero inventato un modo alternativo di correre, per quanto costretti dalla difficoltà di ripiegare costantemente lo pterigio. Essi muovevano infatti prima gli arti di un lato e poi quelli dell’altro lato, saltellando come dei canguri e sfruttando la potenza delle loro dita dei piedi e delle mani per proiettarsi in avanti e prendere velocità. Durante la corsa tenevano inoltre gli arti anteriori in una postura semi-eretta.

Durante il volo invece avevano molteplici opzioni. Potevano infatti battere le ali, in modo simile agli uccelli moderni, o lasciarsi trascinare dalla corrente, mantenendo un moto delle ali stazionario. Per atterrare sfruttavano invece i piedi, che portavano in avanti e con cui compivano poi un piccolo balzo di frenata, mentre il decollo avveniva a partire da una postura quadrupede, portando la testa in avanti e sfruttando quando possibile le altezze, per lanciarsi nel vuoto.

Evoluzione e storia della scoperta

L'evoluzione degli Pteranodonti, come quella di tutti gli Pterosauri, è molto complessa. Recentemente sono state però riconosciute come valide solo due specie di Pteranodon: la specie tipo Pteranodon longiceps e la specie P. sternbergi, la cui differenza maggiore è osservabile nella stazza e nella forma della cresta nei maschi adulti.

In verità però fino al 1994, anno in cui il noto paleontologo Christopher Bennett concluse il suo studio di analisi di tutti i ritrovamenti di Pteranodonte fino ad allora scoperti,  le specie identificate e definite scientificamente erano ben 38.  La scomparsa di ben 36 specie di Pteranodonte dalla lista ufficiale delle specie deriva dal fatto che Bennett e altri paleontologi dimostrarono che molte degli esemplari studiati precedentemente erano in realtà appartenenti alle due principali.

La confusione scaturì dal fatto che molti dei fossili che oggi disponiamo di Pteranodonte sono disponibili in frammenti e mancano delle parti più importanti, utili per la classificazione e identificazione corretta di una nuova specie. Inoltre tutte le specie precedentemente descritte da Marsh che si basavano esclusivamente sul materiale incompleto dal cranio sono state considerate invalide e il loro nome è stato messo al bando come nomina dubia.

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La classificazione degli Pteranodonti di Bennett – che cancellava buona parte delle specie fino ad allora descritte – ha creato un grande dibattito a livello accademico. Ed è forse per questo se è stata ampiamente accettata dalla comunità di paleontologi solo a partire dal 2010, quando nuovi fossili hanno dato ragione allo scienziato americano.

Bisogna anche dire che Bennett ha studiato l'olotipo YPM 1160, quello che permise a Marsh di descrivere l'intero gruppo, e per quanto riguarda l'analisi storica che Marsh produsse di questo fossile, Bennett ha dichiarato che era la migliore descrizione che il paleontologo americano avesse mai svolto, confermando di certo l'alta qualità della ricerca effettuata nella seconda metà dell'Ottocento.

L'olotipo consisteva principalmente in ossa parziali delle ali e di alcuni denti che poi furono successivamente attribuiti al pesce preistorico Xiphactinus, che Marsh assegnò per errore allo pterosauro, Bisogna anche dire che tutti gli pterosauri noti nell'ottocento fino a quel momento avevano i denti. L'errore di Marsh perciò non fu considerato dai posteri tanto grave da attribuirgli una colpa.

Marsh nominò la specie "Pterodactylus oweni", assegnandolo al noto genere europeo Pterodactylus e facendo un tributo al famoso paleontologo inglese Owen. Contemporaneamente però  il rivale di Marsh, Edward Drinker Cope, aveva portato alla luce altri esemplari del grande pterosauro nordamericano, attribuendogli al genere Ornithocherius.

Quando le prime pubblicazioni che mettevano in luce la struttura delle ossa delle ali di Pteranodon uscirono con la firma di Marsh e Cope nei primi del 1870, il primo cranio di Pteranodon venne invece ritrovato il 2 maggio 1876, lungo il fiume Smoky Hill, nella Contea di Wallace sempre in Kansas. La scoperta appartenne a Samuel Wendell Williston, che lavorava comunque per lo stesso Marsh. Insieme al suo collaboratore, Marsh riconobbe che l'animale era lo stesso che anni prima aveva trovato e notando la peculiarità dell'assenza di denti, coniò così definitivamente il nome Pteranodon nel 1876. Presto riclassificò tutte le specie nordamericane che aveva precedentemente definito come Pterodactylus in Pteranodon e cominciò a riflettere sulla storia evolutiva del genere, credendo che derivasse dalle antiche forme di pterosauri giurassici che presentavano invece un becco dotato di denti.

Nel corso del Novecento e sul finire dell'Ottocento, moltissime specie di pteranodonti furono ritrovati, ma come detto la maggioranza di essi presentavano caratteristiche troppo simili alle due specie principali o i loro scheletri non presentavano i crani, necessari per distinguerli da essi. La rarità nel ritrovamento di esemplari completi ovviamente deriva dalla fragilità delle loro ossa, che per quanto è risultato un adattamento molto utile per il volo, ha indotto i loro resti a disperdersi e rompersi facilmente. Solo gli esemplari immediatamente sepolti sono stati sufficientemente preservati e hanno permesso di chiarire agli scienziati il numero reale delle specie.

Lo Pteranodonte nella cultura di massa

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Lo Pteranodonte ha pesantemente influenzato la cultura di massa, presentandosi in molteplici prodotti audio visivi.

I più piccoli infatti lo ricorderanno come uno dei personaggi di "Fantasia" e per essere uno degli amici di Piedino, ne "La ricerca della valle incantata". Uno Pteranodon però viene anche assalito e ucciso in volo da un Tyrannosaurus nel film tratto dal romando di Sir Arthur Conan Doyle "Il mondo perduto" del 1925.

Nel film del 1933 "King Kong" è sempre uno Pteranodon l'animale che rapisce Ann Darrow e che viene affrontato da Kong.

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Lo Pteranodonte appare inoltre anche nella celebre saga cinematografica "Jurassic Park", sia nella saga originale che parte nel 1993 che nella saga sequel di "Jurassic World".

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Lo Pteranodonte tra l'altro compare anche all'interno di alcuni fumetti manga giapponesi, essendo l'animale da cui è tratta l'ispirazione della trasformazione di molti personaggi, tra tutti King di One Piece,e in molti videogiochi che presentano creature preistoriche, come Jurassic World Evolution 2 e Dino Crisis.

Gli Pteranodonti inoltre compaiono in decine di documentari che trattano di dinosauri e hanno colpito l'immaginario collettivo di milioni di bambini, a partire dalla prima riproduzione di giocattoli e modellini delle creature preistoriche, risalente agli anni Trenta del Novecento.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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