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1 Agosto 2023
10:20

Ora possiamo studiare gli animali aspirando il loro DNA nell’aria

Aspirando e analizzando il DNA lasciato dagli animali nell'aria è possibile capire quali specie sono presenti in un'area e studiarle senza nemmeno doverle cercare o avvistare.

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Studiare la fauna selvatica non è mai stato così semplice. Per quanto resti sempre abbastanza complicato effettuare gli studi che permettono di identificare le specie all'interno di un'area selvatica, i progressi scientifici hanno infatti contribuito a rendere sempre più veloci e meno costosi le attività necessarie per svolgere i monitoraggi. Le moderne tecniche che sfruttano per esempio l'analisi del DNA ambientale (eDNA), ovvero il DNA disperso dalle specie in natura, proprio per la loro semplicità d'uso sono divenuti fra tutti i nuovi sistemi quelli più utilizzati, visto che necessitano solo di poche ore di lavoro sul campo per ottenere grandi risultati. E fra coloro che hanno compiuto i maggiori progressi in questo campo ci sono i ricercatori dell'Università di Copenaghen, che qualche mese fa hanno deciso di mettere alla prova una nuova tecnica.

Questa permette tramite dei semplici campionatori di determinare anche la più elusiva delle specie presenti in un bosco, aspirando l'aria della foresta, che è ricca di eDNA. Un metodo che è stato testato anche all'interno degli zoo e che prevede l'uso di strumenti simili a dei semplici aspirapolvere, i cui risultati hanno permesso agli scienziati di pubblicare un nuovo studio su Molecular Ecology Resources, una rivista che ospita spesso fra le sue news ricerche inerenti il DNA ambientale.

Il nuovo metodo è abbastanza semplice, chiariscono i ricercatori da Copenaghen, e può essere sfruttato sia per gli studi che coinvolgono aree naturali che per quelle urbane. «Basta infatti munirsi di un po' di esercizio fisico e di pazienza e in pochi giorni si ottengono migliaia di dati», affermano i ricercatori danesi nel loro studio.

Nei loro test infatti hanno deciso di spingersi nel cuore di una foresta, con i campionatori in spalla, su un'isola poco lontana dalle coste dello Jutland. Giunti nei pressi della località prestabilita, hanno poi collocato la strumentazione sulla superficie degli alberi, stando bene attenti a scegliere gli esemplari più grossi, il cui tronco potesse sostenere il peso dell'attrezzatura. Infine hanno dato il via all'aspirazione dei campionatori, solo dopo però aver posto dei filtri particolari in grado di catturare l'eDNA disperso nell'aria.

È bastato solo questo per permettere ai ricercatori, dopo tre giorni, di raccogliere dati a sufficienza per determinare quali fossero le specie presenti nella comunità. «In quei giorni abbiamo visto relativamente pochi animali nel tratto di  foresta che abbiano attraversato per cambiare i filtri dell'aria. Nel giorno più fortunato, tuttavia abbiamo visto uno scoiattolo e abbiamo ascoltato il verso di un picchio, di un fagiano e di un'aquila dalla coda bianca che volava sopra di noi – ha commentato Christina Lynggaard, postdoc che collabora con Kristine Bohmann, principale autrice dell'articolo. – Gli animali però che erano passati vicino alle finestre di aspirazione del campionatore non si sono limitate a queste specie, dimostrando che il nostro nuovo metodo era sensibile anche agli animali che sono più difficili da individuare con i vecchi sistemi».

Gli animali infatti che avevano rilasciato il loro DNA all'aria aperta della foresta erano molti di più e in circa 3 giorni di test la strumentazione ha riscontrato la presenza di circa 64 specie, di cui 50 selvatiche.

Ovviamente, per ottenere questo dato i ricercatori hanno dovuto analizzare il DNA catturato dai filtri in laboratorio e inserire le sequenze all'interno dei database di ricerca, che permettono di ottenere subito dei riscontri con i genomi già sequenziati. Tale esito però ha chiarito come sia ormai possibile accorciare notevolmente le fasi di monitoraggio, che di solito necessitano settimane, quando si opta per metodi più classici. Ma quali sono state le specie osservate in questo tratto di foresta?

Tra le specie scoperte tramite studio dell'eDNA c'erano il cervo rosso, il capriolo, il tasso, l'aquila dalla coda bianca e la volpe rossa. Ma anche alcuni esemplari di pettirosso, di scoiattolo rosso, di rospo comune, e due specie di tritoni sono stati identificati con tale metodo, così come le gru, il picchio rosso maggiore, l'airone cenerino e la cinciallegra, che sono state invece tra le specie che riscontrate più volte (almeno dieci volte al giorno) nei siti di campionamento dell'aria.

«Nel breve tempo abbiamo trovato quindi quasi un quarto di tutti gli animali terrestri precedentemente registrati nell'area e nei dintorni – ha affermato la professoressa Bohmann, che da tempo cercava un metodo alternativo, semplice ed efficiente per studiare la fauna – Ed è assolutamente pazzesco, poiché questo test ci permette di immaginare le potenzialità di tale metodo all'interno di un'area vergine non ancora battuta dai ricercatori. Non osavamo sperare in risultati così buoni, né pensavamo che saremmo riusciti ad ottenerli già nel primissimo tentativo in natura». Eppure sembra che sia stato proprio così.

È pur vero, ci tengono a sottolineare i ricercatori, che hanno dovuto lavorare molto in laboratorio per estrarre il DNA ambientale dai filtri dei campionatori che avevano posizionato sul campo, ma il tempo impiegato e l'energie spese per conoscere la fauna di quest'area si sono rivelati comunque minori rispetto ai tempi necessari per svolgere la stessa tipologia di lavoro in maniera classica.

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L’area coinvolta dallo studio

«Gli animali perdono continuamente DNA nell'ambiente che li circonda e la nostra macchina cattura queste molecole, in delle sostanze simili a spugne», chiarisce Christina Lynggaard, che spiega anche come al loro nuovo strumento aspiri esclusivamente aria dall'ambiente. Sono poi i ricercatori in laboratorio a prelevare dai filtri le sequenze più integre, per valutare il numero corretto di specie che si sono avvicinati allo strumento nel corso delle giornate precedenti.

Esiste però una grande differenza fra zoo e ambienti naturali, afferma Kristine Bohmann. «In uno zoo, gli animali sono presenti in gran numero in un'area relativamente piccola, mentre in natura sono molto meno concentrati. Pertanto, non eravamo sicuri se il nostro nuovo metodo potesse essere valido sia in città come in natura». I primi risultati dell'aspirazione in campo hanno tuttavia mostrato che l'analisi del DNA ambientale presente nell'aria è un buon metodo sia in natura che nelle aree urbane, in particolar modo per mappare la presenza di animali selvatici nei territori geograficamente molto complessi.

Inoltre, nello studio le due ricercatrici affermano che hanno lavorato su minime quantità di aria e DNA ambientale, dando modo così agli scienziati di valutare se questa ricerca, con tutti i suoi risultati, può considerarsi efficiente. Lynggaard e Bohmann sono però del tutto convinte della bontà del loro metodo.

«Per esempio, quando abbiamo rilevato per la prima volta il DNA dei pavoni all'interno del bosco, temevamo che potesse trattarsi di un errore. Ho quindi chiamato in giro per scoprire se qualcuno allevasse questi animali vicino al sito di raccolta e fortunatamente ci hanno tranquillizzato, chiarendo che qualcuno aveva trovato poche settimane prima un pavone durante una passeggiata – commenta Bohmann, che in questo modo ha potuto verificare il ritrovamento di DNA altrimenti alquanto insolito – Il nostro metodo quindi sembra funzionare ed è talmente sensibile che seppur abbiamo effettuato il primo test per pochi giorni, era già in grado d'intercettare una specie aliena con pochi litri di aria raccolti».

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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