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29 Dicembre 2020
11:00

«Non vogliamo più mangiare carne di cane». La svolta dei sudcoreani

La Repubblica di Corea è l’unico paese al mondo dove i cani destinati a diventare cibo sono allevati in apposite fattorie. Ne esistono migliaia e uccidono circa 2 milioni di animali ogni anno. Ma le cose stanno cambiando. Un sondaggio racconta come i sudcoreani iniziano a preferire trasformare gli allevamenti in altre attività. Il commercio di carne di cane non piace più.

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Giornalista
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Credits: Meredith Lee/The HSUS

Lo spiraglio ormai è aperto: nella Repubblica di Corea la chiusura di migliaia di orrendi allevamenti di cani destinati a diventare cibo per banchetti sta lentamente diventando realtà. L’84% dei sudcoreani infatti, rispondendo ad un sondaggio d’opinione, ha dichiarato che non ha più intenzione di consumare carne di cane. Il 59% ha anche deciso di voler sostenere i divieti imposti dal governo contro questo lugubre commercio che riguarda, nella sola Corea del Sud, circa 2 milioni di cani allevati ogni anni in migliaia di allevamenti.

La notizia di questa disaffezione ad una pratica ancora ben salda soprattutto fra gli anziani, arriva nel giorno in cui HSI, Humane Society International, che ha commissionato il sondaggio a Nielsen, fa sapere di essere riuscita a chiudere il diciassettesimo allevamento di cani, sostenendo il proprietario nello scegliersi una nuova vita.

«Mangiare carne di cane – spiegano da HSI – è ormai una pratica relativamente marginale in Corea del Sud. Questo è il momento giusto per smantellare definitivamente una tradizione già morente. Molti allevatori ci cercano perché vogliono abbandonare questo settore e chiudere le fattorie. E, contemporaneamente, si può parlare di uno slancio politico per affrontare finalmente questa questione controversa».

Allevamenti di cani in Corea del Sud: ogni anno massacrati più di 2 milioni di cani

Sono trenta milioni, ogni anno, i cani uccisi e mangiati in tutta l’Asia (dati 2017). Un numero spaventoso che appare ancora più orribile se si collega alla morte orrenda che li attende quando vengono catturati, ingabbiati, torturati, appesi a un gancio e bastonati per stordirli prima di essere venduti e mangiati nei ristoranti e nei banchetti di Cina, Thailandia, Vietnam, Laos e Cambogia. Sono randagi accalappiati in strada o rubati ai proprietari e finiscono in macelli clandestini che poi riforniscono ristoranti e privati.

Soltanto nella Repubblica di Corea, però, i cani che finiranno ai consumatori diretti e ai ristoranti provengono direttamente da allevamenti. Sono vere e proprie fattorie che, ogni anno, allevano e uccidono circa due milioni di cani, quasi sempre per elettrolocuzione, cioè scariche elettriche.  Senza considerare le condizioni di vita miserabili, le gabbie piccole e arrugginite, l’alimentazione scarsa e di pessimo livello, le malattie che si sviluppano tra le gabbie sporche, influenza canina e cimurro soprattutto.

Anche la Cina, lentamente, si avvia al cambiamento

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Credits – Meredith Lee/The HSUS

Eppure qualcosa sta cambiando. Lentamente, ma sta cambiando.  Lo conferma anche Davide Acito, l’attivista che dal 2016 si è diviso tra Cina e Indonesia con la sua Action Project Animal. Grazie alle sue missioni centinaia di cani e gatti sono stati salvati da morte sicura, trasportati nel rifugio che aveva costruito per loro e da lì indirizzati alle adozioni internazionali. «Lo confermo anche per mia esperienza diretta – spiega Davide – in Cina e in Indonesia è un fenomeno in caduta libera. In quattro anni io ho assistito ad un crash totale. Soprattutto a livello locale la percezione del fenomeno è completamente cambiata. Lo testimoniano perfettamente le “Giornate delle adozioni” che si organizzano a Tianjin, una metropoli vicino Pechino». Giornate frequentatissime che riuniscono associazioni che portano cani e gatti da adottare, veterinari a disposizione per le visite e persone attratte dalle adozioni di animali salvati da situazioni di pericolo o di maltrattamenti e che vogliono comprare in un negozio cuccioli di razza.

«Ci vengono in moltissimi e rappresentano un modello che ancora da noi in Italia non esiste – continua Davide che, nell’anno di riposo forzato dovuto alla pandemia di Covid-19 ha iniziato la stesura di un libro che racconterà le terribili esperienze come attivista in missione al Festival di Yulin – in Cina stanno nascendo sempre più gruppi di persone a tutela degli animali e sicuramente i dati che ci parlano di 20 milioni di cani sterminati ogni anno tra Cina e Sud Est Asiatico, che risalgono ormai al 2017, andrebbero aggiornati. Davvero difficile avere una stima effettiva, ma non siamo più a quei picchi, perché la situazione è molto migliorata».

La storia di II Hwan Kim, che ha chiuso il suo allevamento di cani

«Non c’è futuro nella vendita di carne di cane. Il mercato sta già morendo e crollerà definitivamente», racconta il contadino II Hwan Kim che ha chiesto aiuto a HSI per chiudere dopo 40 anni il suo allevamento di cani da macello ad Haemi, in cui vivevano, in condizioni davvero pietose, 170 tra cuccioli e cani adulti. «Fisicamente è molto faticoso ed io sto invecchiando – ha aggiunto – Voglio andarmene: quarant’anni fa era molto diverso ma ora non vale più la pena. Potrei lavorare nell’edilizia».  II Hwan Kim si è il diciassettesimo allevatore che, con il sostegno di HSI, ha deciso di chiudere l’attività, sostenendo che «negli ultimi dieci anni gli affari sono andati davvero male». Ma la diminuzione del reddito non è l’unica motivazione che muove questi allevatori a cambiare vita.

«La seconda chiusura che abbiamo effettuato – raccontano da HSI – fu quella della fattoria di Tae Hyung Lee attiva a Hongseong per un ventennio. In quel caso furono determinanti le critiche dei suoi familiari che si vergognavano del modo in cui lui si guadagnava da vivere». Anche a Goyang un contadino e sua moglie hanno affidato a HSI i loro 67 cani che sono andati in adozione negli Stati Uniti. I due non sopportavano più l’idea di allevarli per mandarli al macello, tanto da aver smesso di mangiarne la carne loro stessi.

Tradizioni culinarie che sostengono il massacro

Certamente però in Sud Corea una tradizione ancora radicata, soprattutto tra gli over 60 e in particolare uomini secondo il sondaggio, è il consumo del bosintag. Si tratta di una zuppa di carne di cane pepata, il piatto favorito per migliorare la resistenza e la virilità nel periodo più umido dell’anno lunare, i tre giorni più caldi dell’anno tra luglio ed agosto. In quei giorni anche chi non è solito mangiare carne di cane si lascia trasportare dalle abitudini, le famiglie si riuniscono per banchettare insieme, così come i gruppi di amici. Ed è proprio in questo periodo che il massacro raggiunge il momento di massima espansione. Migliaia di cani sono storditi a bastonate, uccisi con le scosse elettriche e macellati. La tradizione vuole anche che la carne dei cani sia resa più tenera e gustosa dalla sofferenza che si infligge all’animale prima della sua morte. Questo è il motivo per cui i cani vengono seviziati senza pietà: la bastonatura è un esempio di tortura a cui vengono sottoposti, ma c’è anche chi non esita a bollirli ancora vivi, in un escalation di violenza che rende ancora più intollerabile l’intera vicenda.

Sorte analoga per i gatti: circa un milione l’anno sterminati solo in Vietnam

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Il pericolo non riguarda soltanto i cani. Anche per i gatti la possibilità di essere rapiti e uccisi per finire cucinati è più che reale. Un fenomeno enorme, la cui stima è complicatissima, che riguarda milioni di esemplari in tutto il Sud Est Asiatico, la Cina e l’intera Corea. Four Paws International, organizzazione internazionale che combatte da molti anni il Dog Meat Trade in tutti questi paesi, stima possibile la conclusione di questo sterminio nel giro di un decennio. «L’idea è porre fine al commercio di carne di cane e gatto in Cambogia, Vietnam e Indonesia entro il 2030. I nostri obiettivi finali sono che non vengano più rubati per la loro carne, che il governo e i cittadini capiscano i rischi di malattia, tra cui la rabbia, che provengono dal mangiare questo tipo di carne e che finisca la domanda, in modo che possa finire anche il commercio». Assieme a Change for Animals Foundation sta lavorando, in Vietnam, alla chiusura di un mattatoio di gatti da trasferire poi al santuario di Ninh Binh, dove l'equipe medica fornirà loro le cure più urgenti. «Spesso il commercio di carne di cane finisce per oscurare lo sterminio dei felini in tutto il sudest asiatico e in Cina – concludono – ma il commercio di carne di gatto sta diventando sempre più popolare e la domanda aumenta sempre di più. La tratta di animali, rubati per strada o dalle case, costretti a lunghi viaggi in condizioni disumane e macellati brutalmente, spesso per annegamento o bastonate, riguarda circa un milione di gatti nel solo Vietnam».

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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