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20 Agosto 2023
9:05

L’orca Lolita è morta nell’acquario di Miami dopo 53 anni di prigionia

Il Seaquarium di Miami pubblica la notizia sui social. Da anni le associazioni si battevano perché fosse trasferita in un santuario in mare aperto. A marzo si era trovato un accordo ma l'orca, che ha trascorso gli ultimi 43 anni della sua vita in completa solitudine, è morta venerdì, da sola, nella sua vasca di cemento.

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Giornalista
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L’orca Lolita è morta e con lei la speranza che, dopo 53 anni di prigionia in una vasca di cemento, potesse ritrovare la libertà almeno negli ultimi anni della sua esistenza. Malgrado lo sforzo di tante associazioni, infatti, non c’è stato abbastanza tempo per mettere in atto il progetto del suo trasferimento in un santuario nelle acque del nord America che a marzo di quest’anno  sembrava aver trovato una concretezza anche economica. Venerdì 19 agosto Lolita è morta nella stessa vasca di cemento del Seaquarium di Miami  dove fu trasferita nel 1970, dopo la cattura a Penn Cove nelle acque di Washington a soli 4 anni. Sua madre, Ocean Sun, ha circa 85 anni e nuota ancora libera nelle stesse acque.

L’annuncio via social del Seaquarium di Miami

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L’annuncio sui social della chiusura dell’Acquario il 19 agosto a causa della morte di Lolita (dalla pagina FB del Seaquarium Miami)

Con un post su Facebook che ha qualcosa di surreale, è lo stesso acquario di Miami ad annunciarne la morte: «Negli ultimi due giorni, Toki (soprannome di Lolita ndr) ha iniziato a manifestare gravi segni di disagio che il suo team medico di Miami Seaquarium e gli Amici di Toki hanno iniziato a trattare immediatamente. Nonostante ricevesse le migliori cure mediche possibili, è deceduta venerdì pomeriggio a causa di una patologia renale. Toki è stata un'ispirazione per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di ascoltare la sua storia e soprattutto per la nazione Lummi che considerava la sua famiglia. Chi di noi ha avuto l'onore e il privilegio di trascorrere del tempo con lei ricorderà per sempre il suo bellissimo spirito».

Un post a cui oggi è seguita una comunicazione ancora più assurda: «il Miami Seaquarium il 19 agosto rimarrà chiuso per consentire alla nostra squadra di riflettere sulla vita e sull'eredità di Lolita. È davvero un momento triste per noi». Un modo anomalo per sottolineare la perdita che la morte di Lolita è per l’intera struttura che l’ha sfruttata per 50 anni e che per 50 anni si è opposta in tutti i modi al suo trasferimento in mare aperto o, almeno, in un santuario. Ma, solo sfogliando le proposte di esperienze a diretto contatto con gli animali che il parco divertimenti offre attraverso il suo sito, si capisce bene il motivo: 240 dollari per 30 minuti in piscina trainati da due delfini ammaestrati e messi a disposizione del pubblico pagante. Moltiplicato per anni e anni, un valore economico non da poco: questo rappresentano le esibizioni e lo sfruttamento degli animali prigionieri.

La sanguinosa cattura, la prigionia insieme a Hugo e la solitudine

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Il corpo di Lolita trasportato via dalla piscina dove è morta

La cattura di Lolita è ricordata come una delle più violente: l’8 agosto 1970, a circa 4 anni di età, fu prelevata dalle acque di Penn Cove, davanti allo stato di Washington. Una cattura sanguinosa, in cui morirono cinque orche, tra cui quattro ancora molto giovani. Il gruppo di orche catturato fu venduto al Miami Seaquarium un parco marino situato a Biscayne Bay, a Miami, in Florida, per circa 20.000 dollari americani. Nei mesi successivi le orche catturate vennero indirizzate nei vari acquari e per Lolita si aprirono le porte della vasca di cemento nota come "Whale Bowl".

A breve le fu affiancata un'altra orca della struttura, Hugo, un esemplare maschio con lui continuò a condividere lo spazio per dieci anni. Dieci anni di esibizioni e continue interazioni con un pubblico vociante, sotto il cocente sole della Florida. Hugo non sopportò a lungo quell’esistenza così lontana da qualsiasi soglia di benessere animale comunemente accettata dalla comunità scientifica internazionale. Comincia l’autolesionismo che lo porta a sbattere violentemente la testa sulle pareti della vasca. Muore nel 1980 per aneurisma celebrale.

Da quel momento in poi per Lolita è la solitudine assoluta: proprio un’orca, che in natura vive in gruppo e che nuota per centina di chilometri ogni giorno assieme ai suoi simili con cui comunica anche verbalmente, è condannata ad una perenne mancanza di contatti con altri esemplari della sua specie. Una tortura nella tortura, una violenza nella violenza delle esibizioni forzate, dell’alimentazione innaturale, dell’acqua clorata, dei raggi del sole che penetrano una superficie troppo poco profonda e che le feriscono la pelle indifesa. Per un periodo Lolita viene affiancata in vasca ad un gruppo di delfini ma, mentre Lolita cresceva, la vasca rimaneva sempre delle stesse dimensioni, assolutamente limitate per la necessità di spazi aperti di un animale marino di quella stazza. Dal 1978, il Miami Seaquarium inizia a promettere di costruire a Lolita un nuovo acquario. Ma non lo ha mai fatto.

Per anni gruppi di volontari, associazioni internazionali e sostenitori hanno chiesto in tutti i modi che Lolita potesse trascorrere almeno gli ultimi anni della sua esistenza in un santuario marino.

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Il camion che trasporta il corpo di Lolita furi dall’Acquario di Miami durante la notte (pagina Fb di Amici di Lolita)

E alla fine di marzo 2023 sembrava che la situazione si stesse muovendo in questa direzione: una conferenza stampa aveva annunciato che il Miami Seaquarium, gestito da The Dolphin Company, aveva stipulato un accordo formale e vincolante con Friends of Lolita per riportarla in un santuario oceanico, grazie anche all’impegno dell’organizzazione no profit Florida Friends of Lolita e al filantropo e proprietario degli Indianapolis Colts della NFL Jim Irsay. In seguito era stano annunciato che il trasferimento di Lolita sarebbe potuto avvenire nell’arco di 18-24 mesi, ma che era necessario un lungo periodo di riadattamento a condizioni di vita che Lolita aveva dimenticato nei 53 anni di prigionia.

Nell’entusiasmo generale, Ric O’Barry aveva spento un po’ gli animali. L’animalista famoso per aver ideato e creato l’unica struttura al mondo in cui si riabilitano i delfini provenienti dalla cattività per il loro rilascio in mare aperto (come Johnny, Rambo e Rocky a Bali  ), aveva manifestato infatti alcune perplessità sulla riuscita dell’operazione. E aveva mandato un messaggio molto chiaro all'industria della cattività: «è ora di svuotare le vasche, comprese tutte quelle delle 31 strutture per delfini in cattività di proprietà di The Dolphin Company».

Ora che Lolita è morta O’ Barry rincara la dose: «c'è qualcosa di intrinsecamente osceno in una magnifica creatura come Lolita che muore in una vasca di cemento. Ma questo continuerà fino a quando la gente non smetterà di comprare i biglietti. Non c'è altro modo».

Il gruppo Free Lolita the Orca chiede invece che il corpo non venga gettato in una discarica, come si fece con Hugo, e che venga invece disposto un esame necroscopico per valutare tutti gli elementi che hanno concorso alla morte dell’orca. «Chiediamo – hanno pubblicato sui social – che ci sia un'autopsia eseguita da un team di veterinari di terzi (con rapporto reso pubblico) e successivamente che Lolita sia sepolta a Puget Sound, Washington, dove è stata brutalmente strappata via dalla sua famiglia nell'agosto 1970». L’associazione animalista chiede anche che il due delfini che hanno diviso la vasca con Lolita siano liberati prima della loro morte. «Chiediamo che Loke e Lii, i due delfini del Pacifico che hanno vissuto con Lolita negli ultimi 30 anni, vengano ritirati in un santuario. Sono stati catturati in natura nel 1988 e meritano anche una vita fuori da questo inferno».

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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