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23 Ottobre 2023
12:24

Lo sbiancamento dei coralli è arrivato più in profondità di quanto credessimo

Lo sbiancamento sembra raggiungere le barriere coralline molto più in profondità rispetto a quanto era ritenuto in passato. Alcuni biologi hanno infatti inaspettatamente trovato i resti di una barriera morta a oltre 90 metri di profondità, nel cuore dell'Oceano Indiano. Una conseguenza del surriscaldamento globale.

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Lo sbiancamento delle barriere coralline è una delle minacce più grandi che sta colpendo attualmente gli ecosistemi marini. Esso è causato dal surriscaldamento globale e provoca la morte dei coralli e la scomparsa delle comunità di specie che abitano i reef corallini. Questo fenomeno è stato registrato in varie parti del mondo, soprattutto in Australia, nel Mar Rosso e nel Mar dei Caraibi, in acque superficiali. Un nuovo studio, effettuato da diversi ricercatori dell'Università di Plymouth e pubblicato su Nature Communications, dimostra che la situazione potrebbe essere ancora più grave del previsto, dato che sono stati trovati i resti di una barriera morta a oltre 90 metri di profondità, nel cuore dell'Oceano Indiano.

Durante infatti una spedizione effettuata nel 2019, programmata per verificare le condizioni di salute della barriera corallina locale, il team di scienziati guidato da Phil Hosegood, professore associato di oceanografia fisica a Plymouth, ha scoperto che lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno che non si limita alla superficie, ma anche alle zone più profonde, tanto che i subacquei che hanno partecipato alla spedizione hanno fotografato diversi coralli completamente morti oltre i 90 metri di profondità.

Le immagini dei coralli dell'Oceano Indiano sono ritenute dagli scienziate le prove più drammatiche conosciute degli effetti apocalittici provocati dallo sbiancamento delle barriere, perché appartengono alle barriere più profonde che sono state colpite da questo fenomeno. Hanno indotto inoltre gli scienziati ad effettuare uno studio approfondito sui coralli non superficiali, che ha permesso a sua volta di scoprire come circa l'80% delle barriere coralline presenti sul fondale indiano sono danneggiate o irrimediabilmente distrutte.

La cosa più grave, chiariscono i ricercatori, è che precedentemente a questi studi le profondità marine venivano considerate resistenti al riscaldamento dell’oceano, che è uno dei principali fattori che provoca lo sbiancamento, spingendo le alghe simbionti che colonizzano i coralli ad abbandonarli, destinandoli a morire di fame. «Non c'è altro modo per dirlo. Questa è stata una brutta sorpresa – ha dichiarato Hosegood. –  Si è sempre pensato che i coralli più profondi dell'oceano fossero resistenti al riscaldamento globale, perché le acque in cui vivono sono più fredde rispetto alla superficie. Tuttavia, chiaramente non è più così e, di conseguenza, è probabile che esistano altre barriere coralline simili in tutto il mondo che sono minacciate dai cambiamenti climatici. L'Oceano Indiano non è di sicuro l'unico mare in pericolo. È solo stato il primo in cui questo fenomeno è stato osservato in profondità».

Dove prima esistevano migliaia di coralli, d'invertebrati e di pesci, oggi si stende un deserto di coralli morti, che hanno subito anche una parziale frammentazione dovuta dalle correnti e dall'incapacità di riparare i danni provocati da qualche raro animale superstite. Tutto sembra immobile e morto, come se la barriera fosse stata bombardata e sottoposto ad un'eradicazione radicale.

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Una delle barriere coralline osservate dai biologi dell’Università di Plymouth si presentava come una grande radura in cui coralli morti coprivano il fondale a perdita d’occhio

Le prime barriere coralline di profondità che sono risultate sbiancate sono state trovate nel novembre del 2019 tramite i ROV, veicoli sottomarini telecomandati che vengono usualmente usati per monitorare la salute dei coralli sotto la superficie dell’oceano. E mentre in superficie cominciavano a propagarsi i primi effetti della pandemia da Covid-19, nei mesi successivi i ricercatori cominciarono ad ampliare lo spettro delle loro indagini, aumentando l'areale di ricerca e richiedendo altre serie di dati, provenienti direttamente dai satelliti che monitoravano le condizioni e le temperature dell’oceano.

Questo metodo di ricerca, che ha tenuto conto sia dei risultati dell'esplorazioni sottomarine che dei dati forniti dai satelliti, ha così evidenziato come mentre le temperature della superficie dell’oceano non cambiavano di molto mentre si effettuava le immersioni, le temperature sotto la superficie potevano invece variare e aumentare di diversi gardi, passando da 22°C a 29°C in pochi giorni. E questo innalzamento della temperatura secondo gli scienziati era causato della varietà climatica che poteva colpire l'Oceano Indiano equatoriale, che portava ad un'evoluzione costante del termoclino. Con questo termine gli esperti definiscono lo strato di transizione che esiste tra la superficie dell'oceano e gli strati di acqua profonda e va ad indicare anche la differenza di temperatura fra gli abissi oceanici e le aree sottoposte al riscaldamento provocato dall'irradiazione solare.

Clara Diaz, l'autrice principale dello studio, proprio per quanto riguarda l'evoluzione del termoclino ha dichiarato «Ciò che abbiamo registrato dimostra categoricamente che questo sbiancamento è stato causato da un cambiamento radicale del termoclino. Ciò ha infatti provocato l'arrivo di correnti calde molto in profondità, che ha ucciso buona parte dei coralli. Andando avanti, c'è il rischio che lo sbiancamento possa colpire gran parte dei fondali presenti nell’oceano più profondo e che diventi un fenomeno regolare. Visto che le profondità marine sono molto più difficili da studiare, c'è anche il rischio che gran parte dei coralli presenti nei fondali siano andati persi. Non solo nell'oceano Indiano, ma ovunque nel mondo. Per questo è di fondamentale importanza aumentare il monitoraggio dei fondali marini».

Fortunatamente, chiariscono i ricercatori, i ROV e i biologi marini che hanno collaborato nella ricerca sono tornati nelle stesse aree con delle nuove campagne programmate di monitoraggio sul finire del 2020 e nel 2022 e hanno scoperto che gran parte della barriera corallina precedentemente osservata si era effettivamente ripresa, grazie ad un ripristino delle condizioni ambientali precedenti. Tuttavia il professor Hosegood ha aggiunto che l'intera regione sta nuovamente rischiando quest'anno un collasso ecologico per via dell'influenza combinata di El Niño e del surriscaldamento climatico. «Anche se non c’è modo di impedire che il termoclino si approfondisca e che le acque più calde giungano in profondità, quello che possiamo fare è espandere ulteriormente la nostra comprensione degli impatti che questi cambiamenti avranno nei prossimi anni in questi ambienti». Con diverse campagne atte a trovare soluzioni che garantiscano ai coralli di ristabilirsi dove le barriere sono decedute, c'è d'altronde ancora speranza di fornire supporto ad una delle più importanti comunità presenti sul nostro pianeta.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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