21 Dicembre 2022
9:00

La comunicazione non verbale del cane

Il principale modo di comunicare della specie umana è la voce, ossia il linguaggio verbale, ma questo non vale per gli altri animali che usano la comunicazione non verbale.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
cane

Il nostro principale modo di comunicare è la voce, ossia il linguaggio verbale. Attraverso le parole possiamo comunicare tutto quello che ci passa per la testa, possiamo parlare del presente del passato e del futuro. Possiamo parlare anche di cose astratte, cose che non esistono se non grazie alla nostra creatività.

Siamo così coinvolti dal linguaggio verbale che cerchiamo di parlare anche con altre specie animali le quali non utilizzano questo mezzo per esprimersi, come per esempio i cani e i gatti.

Il fatto che altri animali non utilizzino la parola per comunicare non significa però che non comunichino. Molta importanza nella comunicazione non verbale del cane ha quella del corpo. Vediamo insieme alcuni elementi importanti da tenere in considerazione su questo vastissimo tema.

La comunicazione

Innanzi tutto vediamo cosa si intende per «comunicare», parola che spesso corriamo il rischio di confondere con «informare»:

Informare: v. tr. [dal lat. informare «dar forma», «istruire», e quindi «dare notizia»].

Comunicare: v. tr. e intr. [dal lat. communicare, der. di communis «comune»]; Rendere comune, far conoscere, far sapere.

Possiamo dire che una differenza importante risiede nell’intenzionalità nella comunicazione che viene rivolta ad uno specifico individuo, a differenza dell’informazione che invece si rende disponibile a chi ne sia interessato o in grado di comprendere e sfruttare la stessa.

Si parla di comunicazione quando un individuo, che chiameremo “trasmittente”, invia un «messaggio» ad uno specifico “ricevente” (che può anche essere più di uno) con l’intenzione di farsi comprendere, il che significa che il trasmittente presta attenzione al tipo di «canale di comunicazione» e al tipo di «codice» che sceglie di utilizzare. Codice e canale devono essere condivisi altrimenti il messaggio non passa dall’uno all’altro vanificando lo scopo della comunicazione.

Comunicare è per lo più un atto relazionale ed è qualcosa che si sviluppa nel tempo. Quando due individui hanno interesse nella comunicazione reciproca avviene che il trasmittente, basandosi sulle risposte del ricevente, cercherà di migliorare sempre di più il codice utilizzato per essere più efficace. Per quanto concerne il “canale” di comunicazione: esso può essere l’aria, per esempio, nella quale si propagano suoni e odori. Oppure la luce, nel senso di immagini, oppure possiamo anche avere un canale tattile, dove i tocchi assumono dei significati specifici, ovviamente condivisi tra i due soggetti in comunicazione. Dunque se il canale e il codice non sono scelti nel modo corretto la comunicazione non passa, per esempio: comunicare attraverso l’aria con l’utilizzo degli ultrasuoni non ha alcun esito se il ricevente è un essere umano.

Informare è di fatto un sottoinsieme della comunicazione ed è spogliato di questo rapporto diretto e immediato tra trasmittente e ricevente. Per esempio io posso scrivere un libro e far sì che questo si diffonda tra le persone. Scriverò con il codice che conosco meglio, nel mio caso la lingua italiana (ho detto “meglio” che non significa per forza “bene”…). A questo punto cosa può accadere? Quel libro potrebbe finire nelle mani di persone che condividono il codice con me, che lo potranno leggere e trarre delle informazioni, ma potrebbe anche finire in Giappone, nelle mani di persone che non condividono il mio codice di partenza e che quindi non potranno comprendere quanto c’è scritto.

Oppure, vediamo di fare un altro tipo di esempio più vicino al mondo degli animali: quando un cervo si muove nel bosco lascia dietro di sé degli indizi, delle informazioni in merito al fatto che lui sia passato per una certa via, ad esempio le sue impronte sul terreno. Questa è per l’appunto una «informazione», che però potrebbe essere utilizzata da un predatore, un orso o un gruppo di lupi. Il cervo non intendeva affatto “comunicare” ai predatori i suoi spostamenti ma inevitabilmente ha lasciato informazioni che loro possono interpretare ed utilizzare per i loro scopi. Al contrario della comunicazione qui avverrà che, nella selezione naturale, i cervi diventeranno sempre più bravi a non lasciare indizi di sé, mentre i predatori svilupperanno maggiori capacità nel cogliere questo tipo di informazioni. Per entrambi è infatti una questione di sopravvivenza.

Gli animali che comunicano

Tutti le forme di vita comunicano e informano, ma come abbiamo visto comunicare implica la scelta di canali e codici condivisi tra gli specifici individui coinvolti. Le piante comunicano tra di loro scambiandosi messaggi di vario tipo, gli animali fanno lo stesso. E in natura vi sono molteplici canali di comunicazione e infiniti codici, o lingue, o dialetti. Quando però una specie desidera comunicare con un’altra è necessario che avvengano dei cambiamenti: uno dei due deve imparare la lingua dell’altro; i due individui si inventano un sistema per comprendersi o, ancora, entrambi si avvalgono di un traduttore che conosce i codici ed è in grado di fare da ponte di comunicazione tra i due soggetti che desiderano comunicare tra loro.

In natura ci sono molti esempi di comunicazione e informazione che le varie forme di vita apprendono per migliorare la loro condizione di vita. Per esempio le iene africane (Crocuta crocuta) imparano, con l’esperienza, a trarre importanti informazioni osservando il volo dei grifoni africani (una specie di avvoltoio, Gyps africanus) visibile a grande distanza. In pratica quando le iene (e altri animali saprofagi) vedono questi avvoltoi volare in cerchio comprendono che lì si trova una possibile carcassa di animale, in pratica un pasto relativamente “facile”. Ma gli avvoltoi non sono contenti di questa informazione, visto che poi dovranno competere con le iene per contendersi il cibo.

Gyps africanus
Gyps africanus

Questo è un esempio di come gli animali possono sfruttare le informazioni degli altri in modo antagonistico, ma ve ne sono molti altri dove invece si instaura un mutuo beneficio. Per esempio alcuni esseri umani hanno imparato a riconoscere i suoni emessi da certi uccelli, come ad esempio l’indicatore golanera (Indicator indicator) un piccolo volatile che vive nella zona Sud-Sahariana. Questa piccola creatura è particolarmente interessata agli alveari di api selvatiche dato che si nutre della loro cera, molto nutriente.

Anche gli esseri umani sono interessati agli alveari per raccogliere il miele, altro alimento estremamente nutriente, e questo ha fatto emergere un certo interesse per il comportamento e i suoni di questi uccelli che, prima involontariamente, informavano i cacciatori di miele. Ma la cosa interessante è che con il passare del tempo gli uccelli hanno cominciato a richiamare l’attenzione degli uomini per aiutarli a raggiungere i loro scopi. In sostanza, in questo caso, dall’informazione si è passati ad una vera e propria comunicazione. Infatti gli uccelli emettono dei particolari richiami, riconosciuti ormai da centinaia di anni dagli uomini, e poi saltellando da un albero all’altro, si fanno seguire fino a giungere in prossimità di alveari difficilmente raggiungibili e nascosti. Gli uomini sono in grado di allontanare le api con il fumo e una volta aperti gli alveari prelevare il miele, lasciando all’uccellino la cera di cui va ghiotto.

La comunicazione del cane

Ecco che arriviamo a considerare la comunicazione tra uomo e cane. Prima di tutto sappiamo benissimo che si tratta di due specie molto differenti ma che convivono da migliaia e migliaia di anni. La capacità di comunicare tra noi e i cani ha raggiunto livelli incredibili, in primis perché entrambi abbiamo una forte spinta nel farlo. Ma  i canali comunicativi e i codici utilizzati dalle due specie sono spesso differenti. Per esempio esiste tutto un mondo di comunicazione olfattiva dal quale noi umani siamo esclusi, quindi i messaggi che sfruttano quel canale sono inefficaci se rivolti agli esseri umani, fatte le dovute eccezioni (es.: la paura che si esprime anche attraverso il rilascio delle ghiandole perianali è qualcosa che anche noi possiamo ben comprendere), ma non significa che questo canale i cani non lo utilizzino con i loro conspecifici.

Sicuramente il canale visivo e quello uditivo, ma anche quello tattile volendo ben guardare sono canali che possiamo sfruttare per comprenderci, ma attenzione, dato che siamo due specie diverse non è detto che la nostra (o la loro) interpretazione dei segnali sia corretta. Ciò ci riporta a quanto scritto precedentemente: uno dei due deve imparare la lingua dell’altro, oppure serve un traduttore, o deve nascere un sistema di comunicazione intimamente condiviso, una sorta di dialetto familiare.

Argomento interessante che varrebbe la pena di approfondire, ma qui ci focalizzeremo soprattutto su alcuni aspetti del linguaggio del corpo del cane, ossia quello non verbale.

Gli elementi da tenere presenti

cane

In primis meglio comprendere che non tutti i gesti e le posture del cane sono per forza segnali di «comunicazione», e anche che lo stesso comportamento assume un particolare significato, oppure no, a seconda del contesto e di altri segnali emessi dallo stesso individuo. E ancora, è importante comprendere che per lo più per capire appieno il “messaggio” non verbale di un cane è necessario conoscere quell’individuo: se non siamo in relazione con lui è estremamente facile fraintendere il significato di quello che sta “dicendo”. Come detto poco sopra, gli individui tendono a sviluppare una comunicazione “interna” al proprio gruppo d’appartenenza, un linguaggio che si sviluppa con il tempo attraverso una serie di tentativi comunicativi e tentativi di comprendere, aggiustando il tiro via via che la relazione si approfondisce.

Osservare un cane per la prima volta e provare ad interpretare cosa stia dicendo potrebbe essere arduo anche per le persone più esperte, soprattutto se non si considera il contesto e le relazione tra gli individui coinvolti. È forse più facile invece intendere le informazioni che il cane può dare sul suo stato emotivo. Uso il termine informazione perché non è dato sapere quanto queste cose possano essere volontarie e avere lo scopo di “dire” qualcosa ad un ricevente. Sta di fatto che il nostro occhio si deve allenare molto per comprendere sia lo stato di un individuo che le sue intenzioni comunicative.

Per fortuna i cani sono molto più bravi di noi nella comunicazione intraspecifica, quindi si prodigano molto quando intendono farsi capire da noi basandosi sui feedback che ottengono: «Se faccio così cosa capisci? Niente? Allora faccio cosà, adesso hai capito?». Agendo pazientemente così, dalla mattina alla sera, sviluppano un vocabolario di gesti e comportamenti fondamentali per farsi capire da noi in mondo quasi inequivocabile.

Moltissime persone potranno convenire quanto il loro cane sia bravo nel comunicare, per esempio, la voglia di giocare, la voglia di starci vicini e di essere accarezzati, la voglia di uscire o l’avvicinarsi di qualcosa di pericoloso (a loro modo di vedere) o che c’è un estraneo al cancello e via dicendo e tutto, chiaramente, senza proferir parola. I cani ci insegnano che le cose veramente importanti della vita possono anche essere comunicate nel più totale silenzio, spesso però ce lo dimentichiamo ed investiamo proprio loro di parole e parole anche quando non servirebbe.

Cosa osservare nella comunicazione non verbale del cane?

cane orecchie

Se vogliamo avere degli indizi di cosa sia importante osservare per cercare di comprendere il linguaggio non verbale del nostro cane ecco che vi sono alcuni elementi da tener presente. In primo luogo, quando si parla di comunicazione, il cane cercherà di assicurarsi di avere il vostro sguardo, elemento molto importante: di fatto questo assicura al cane che il canale interattivo è aperto. Per far ciò i cani sono maestri e ognuno di loro apprende un ventaglio di strategie veramente infinito. Alle volte – per esempio – appropriandosi di un oggetto nostro, se proprio non riescono in un altro modo, e mostrandocelo tra le loro fauci. Questo di solito funziona in extrema ratio.

Ottenuto il nostro sguardo ecco che ci inviano il loro messaggio, provato nel tempo, aggiustato attraverso prove ed errori, e qui possiamo fare alcuni esempi come il voltare lo sguardo, a loro volta, su qualcosa, come la scatola di biscotti che sta sulla mensola, o la porta di casa, o un giocattolo fuori dalla loro portata. Oppure possono fare qualcosa di più astratto, come il comunicarci con il classico inchino, la bocca aperta in una sorta di sorriso, le orecchie erette e ben tese (per quelli che possono farlo), il sedere verso il cielo sormontato da una coda fluttuante, il loro desiderio di giocare con noi e senza indicare con precisione quale gioco fare, ma il fatto di giocare in sé.

Insomma, ci sono molti aspetti da osservare che hanno a che fare con le espressioni facciali, quindi la postura delle orecchie, le grinze sul muso, la tensione delle rime labiali (se per esempio sono distese o tirate), la direzione e l’intensità dello sguardo. E a tutte queste cose (e ad altre) si vanno a sommare le posture del corpo, l’inclinazione del collo, l’apertura delle zampe, l’inclinazione della groppa, la tensione della schiena, la postura degli arti posteriori, il movimento della coda in ampiezza, fluidità, rigidità e altezza (per esempio se proiettata verso l’alto o tenuta in linea con la schiena, oppure se raccolta tra le zampe posteriori).

A ciò si aggiunge tutto quello che concerne la prossemica, ossia come il cane posiziona il suo corpo nello spazio in relazione a noi o agli altri con intenti comunicativi, che si traduce nello stare vicino, lontano, di fronte, dietro, di traverso rispetto all’interlocutore, in questo caso noi.

Presi in considerazione tutti questi elementi a disposizione del cane di fatto la comunicazione diviene una sorta di concertazione operata al fine di far passare un messaggio. Il cane assume una certa postura con una particolare espressione e poi attende qualche istante per vedere se noi abbiamo compreso quello che vorrebbe dirci. Se non funziona, se il feedback è negativo, allora si riscuote e riprova daccapo, ma se ancora non funziona allora potrebbe tentare un’altra strada facendo qualcos’altro per essere più chiaro, e la cosa affascinante è il tentativo di ingegnarsi nel trovare qualcosa che sia chiaro a noi, mentre nella sua testa il tutto è già lampante. Vuol dire che il cane si interroga sul come può farsi capire da noi, proprio noi, per come ci conosce, non in senso generale. Riconosce così la nostra soggettività e adatta la sua strategia comunicativa. Nella stessa famiglia potrebbe essere che un cane, per comunicare il medesimo messaggio, abbia imparato a farlo in modi diversi tanti quanti sono i membri del gruppo, usando così strategie comunicative personalizzate.

Particolari segnali del cane

cane lecca muso

Come detto poc’anzi la comunicazione è qualcosa di soggettivo, peculiare, intimamente connesso alla relazione tra individui, ma ci sono anche degli “universali”, ossia segnali che in genere emettono tutti i cani in modo più o meno frequente e più o meno eclatante. Questi stessi segnali, o comportamenti, però possono essere letti sia come «informazione» che, alle volte, come «comunicazione».

Comprenderne le differenze non è sempre un compito facile, talvolta sono molto sottili e, come detto, è necessaria la conoscenza dell’individuo che li emette: potrebbe essere un grave errore generalizzare in modo sbrigativo. Parliamo qui di segnali di stress e disagio – più o meno sottili – che alle volte il cane impara ad utilizzare volutamente per dare un messaggio (comunicare) a chi lo sta osservando. Possono essere utilizzati per comunicare delle intenzioni, come per esempio il voler interrompere un’interazione che sta diventando difficile da gestire, ecco che il cane potrebbe sbadigliare in modo eclatante davanti a noi, oppure distogliere lo sguardo, o leccarsi il naso, o sedersi di punto in bianco.

Insomma tutta una serie di comportamenti che vanno però letti nella contingenza, dato che i cani sbadigliano anche per altri motivi, così come si siedono o voltano lo sguardo in un milione di altre situazioni. Però, alle volte, i medesimi comportamenti non hanno un intento volutamente comunicativo, ma vengono emessi dal cane per lenire la propria sensazione di disagio, un po’ come il mangiarsi le unghie o il grattarsi la testa quando siamo sotto stress perché non riusciamo a risolvere un piccolo problema. In tali casi quindi il comportamento è auto-riferito, non «comunica», ma per l’attento osservatore «informa». Già, infatti da questi comportamenti possiamo dedurre che il nostro cane, in quella situazione, ha bisogno di alleviare il disagio, lo stress, e quindi possiamo agire di conseguenza… magari siamo noi che stiamo pressando troppo il nostro compagno, senza rendercene conto, oppure il contesto in cui ci troviamo lo mette a disagio oltremodo. Leggere queste informazioni dal suo comportamento ci dà la possibilità di aiutarlo.

Fu la ricercatrice e cinofila norvegese Turid Rugaas che portò l’attenzione di tutti quanti noi sull’esistenza di questi segnali nel cane già verso la fine degli anni 90, li nominò “Calming signals” ("L’intesa con il cane: i segnali calmanti", Haqihana © 2005). Da allora la nostra capacità di osservare il linguaggio del cane ha compiuto certamente un salto in avanti enorme, e questo, via via, ci ha consentito di acquire la vista e di comprendere sempre più la loro comunicazione e mitigare i fraintendimenti migliorando l’intesa e la relazione tra di noi. Ma non siamo ancora giunti alla fine della storia, non sappiamo cosa ci sia ancora da scoprire del cane, della sua comunicazione, della profondità della relazione alla quale possiamo arrivare con i nostri compagni a quattro zampe, ma quello che sappiamo, di per certo, è che il viaggio è ancora molto lungo e, forse, non avrà mai fine.

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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