video suggerito
video suggerito
2 Maggio 2023
18:29

Il progetto Zoonomia rivela quanto siamo simili agli altri animali

I ricercatori che lavorano la progetto Zoonomia hanno appena pubblicato un numero notevole di ricerche che permette di considerare meglio la storia evolutiva dei mammiferi, rendendo ancora una volta l'essere umano una specie come le altre.

13 condivisioni
Immagine

Per lungo tempo gli esseri umani sono stati considerati degli organismi completamente separati dal resto del mondo naturale, ma ora, dopo secoli di progressi e lo studio del nostro albero filogenetico, sappiamo perfettamente quanto siamo integrati al regno animale. Un nuovo progetto dal nome di Zoonomia ha permesso finalmente di individuare i tratti genetici condivisi fra i mammiferi e gli esseri umani, con rivelazioni molto importanti. Ad esempio, fra le eccezionali scoperte fatte c'è il fatto che il 10% del genoma umano è in gran parte uguale a quello degli altri mammiferi e fra i geni condivisi ci sono alcune sequenze di DNA fondamentali per lo sviluppo degli organismi.

Il progetto ha il duplice obiettivo di ottenere maggiori informazioni inerenti alcuni dei più sorprendenti passaggi dell'evoluzione della vita e d'individuare quali geni sono persistiti per più tempo nel corso dei milioni di anni. Gli sforzi e i fondi economici immessi per far progredire questo progetto sono stati elevati, ma l'impegno è stato ripagato: giovedì sono stati pubblicati ben 11 articoli sulla rivista Science con i principali risultati del progetto. Il team principale, guidato da Elinor Karlsson e Kerstin Lindblad-Toh del Broad Institute del MIT e di Harvard, ha raggiunto molteplici obiettivi esaminando ben 240 specie di mammiferi placentati, da quelli di grande taglia come gli elefanti a quelli più piccoli come i pipistrelli.

Tra gli altri risultati precedentemente ottenuti spiccano alcuni articoli di cui abbiamo già parlato su Kodami, dove gli scienziati del progetto sono riusciti a chiarire, ad esempio, il legame esistente fra letargo e trombosi oppure ad approfondire la genetica del famoso cane Balto, che aiutò nel 1925 una comunità isolata in Alaska a sopravvivere a una epidemia di difterite.

Il cuore delle nuove scoperte pubblicate su Science, però, consiste nel confronto delle sequenze genetiche dei mammiferi studiati, fra cui l'essere umano. Così facendo gli studiosi sono riusciti ad individuare alcune regioni del DNA che sono rimaste praticamente le stesse per l'intero arco evolutivo dei mammiferi, anche dopo centinaia di milioni di anni di adattamenti.

«Quest'anno verrà ricordato in futuro come uno dei momenti più importanti della scienza contemporanea: il momento in cui dei ricercatori hanno cominciato a evidenziare linee guida nei confronti di alcune questioni evolutive, come l'eredità dei primi mammiferi e su quale sia il posto dell'essere umano all'interno dell'albero filogenetico», ha commentato a proposito David O'Connor, genetista all'Università del Wisconsin-Madison e grande esperto di primati che ha seguito da vicino il progetto.

Fra le scoperte principali pubblicati in questi ultimi articoli comparsi su Science c'è per esempio la notizia che il 10% del genoma umano è in gran parte uguale a quello delle altre specie. Inoltre, molte delle regioni che sono rimaste invariate (in gergo tecnico si definiscono "conservate") sono state trovate all'interno del cosiddetto DNA spazzatura, ovvero frammenti genetici che per molto tempo si pensava fossero inutili, o all'interno dei geni che vengono saltuariamente trascritti, come quelli legati alla formazione e sviluppo dell'embrione, fondamentali per la sopravvivenza ma che per gran parte dell'esistenza di un organismo non sono attivi.

I geni che vengono regolarmente trascritti sono quelli più frequentemente tradotti in proteine e il più delle volte sono quelle ​​che controllano l'attività, la fisiologia e la morfologia delle cellule. Scoprire quindi che gran parte dei geni che disponiamo e che non trascriviamo regolarmente appartengono anche agli altri mammiferi, può costituire un indizio molto importante sull'origine evolutiva di determinati processi cellulari, che riescono per esempio a garantire lo sviluppo embrionale nell'intera classe di animali.

Immagine

Una domanda però sorge spontanea quando si va ad analizzare l'origine delle regioni conservate: quali scopi potrebbero avere queste sequenze nel corso dell'evoluzione di centinaia di specie?

Secondo i ricercatori, tali regioni assumono il ruolo di "elementi regolatori", ovvero precise istruzioni genetiche su dove, quando e quante proteine devono essere prodotte, affinché un organismo svolga le sue principali funzioni di base. «Molti di questi elementi si trovano per esempio in prossimità di geni coinvolti nello sviluppo dell’embrione, un processo che deve essere strettamente controllato se si vuole ottenere un individuo sano», ha chiarito Matthew Christmas, che lavora presso il laboratorio di genetica dell’Università di Uppsala.

Fino ad oggi gli elementi regolatori conosciuti erano circa 1 milione e mezzo, ma gli studiosi ne hanno individuati molti di più e ora sono saliti a 3 milioni. Inoltre, approfondendo alcune sequenze delle specie confrontandole con quelle dei loro antenati, il team ha scoperto che molti animali che conosciamo oggi hanno dovuto affrontare molti tipi di stress in periodi di tempo relativamente brevi per sopravvivere. Questa è la prova che molti mammiferi hanno subito una speciazione, ovvero il processo evolutivo di formazione di nuove specie da altre più antiche, abbastanza recente e che stanno ancora continuando ad adattarsi all'ambiente.

Un altro aspetto del progetto si è concentrato sull'individuare l'origine evolutiva dei geni presenti all'interno del DNA di altri mammiferi al di fuori dell'uomo. «Abbiamo in un certo senso ribaltato la situazione – ha affermato Steven Reilly, ricercatore di genetica presso la Yale University – Invece di indagare ciò che è presente nell'uomo, siamo andati a cercare negli altri animali».

Lo studio ha dato i suoi frutti e ora gli scienziati conoscono molti geni che non appartengono a Homo sapiens, ma che sono presenti in altre specie di mammiferi che si sono evoluti come noi nel corso degli ultimi 500.000 anni. Tra questi per esempio ci sono i geni legati alla maturazione dei palchi dei cervidi o alla produzione di determinati odori di alcuni roditori.

Inoltre, gli stessi Karlsson e Lindblad-Toh affermano che le sequenze che sono cambiate più frequentemente sono quelle direttamente legate alla capacità d'interagire con l’ambiente e di affrontare un altro animale, per esempio quelle legate al sistema immunitario, alla produzione di artigli, palchi, denti o alla caccia in generale.

Il risultato di questo studio conferma ancora una volta come non ci sia una reale distanza che si frappone fra noi e gli altri animali. Le differenze genetiche sono minime in confronto ai millenni di evoluzione testimoniati dalle sequenze conservate essenziali per lo sviluppo embrionale o la maturazione degli apparati principali.

«Ciò permette ancora una volta di dimostrare che non ha più senso considerare l'evoluzione umana come separata da quella degli altri animali… soprattutto dei mammiferi in generale – hanno concluso gli studiosi – L'uomo è sì una specie distinta, separata dagli altri animali da molteplici fattori evolutivi, eppure è molto più simile agli animali di quanto abbia voluto ammettere nel recente e lontano passato».

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
Sfondo autopromo
Segui Kodami sui canali social