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15 Aprile 2023
9:39

Il letargo degli orsi può aiutare la ricerca contro le malattie trombotiche

Una ricerca compiuta sugli orsi in letargo ha permesso di chiarire il legame esistente fra la perdurante immobilità e il maggior/minor rischio di subire una trombosi.

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Uno studio relativo al sonno degli orsi durante il letargo ha appena permesso di scoprire un meccanismo biochimico che permette al sangue di questi animali di non coagularsi durante i mesi dell'inverno. Una scoperta molto importante che, secondo i ricercatori dell'Accademia Nazionale di Medicina di Buenos Aires, permetterà di studiare nuovi farmaci che portino a prevenire gli eventi trombotici che mettono in serio pericolo milioni di persone.

 Mirta Schattner è l'autrice principale della pubblicazione su Science in cui viene presentata la ricerca. I risultati possono contribuire a migliorare le condizioni di vita delle persone costrette da varie patologie a subire maggiormente il rischio di un infarto o una trombosi venosa profonda.

La storia della medicina ha già dimostrato diverse volte in passato che bisognerebbe prevenire le malattie trombotiche. Molte persone e animali infatti sono soggetti a queste patologie non per via di un cattivo stato di salute, ma per una maggiore predisposizione genetica o per le cattive condizioni ambientali che spingono il sangue a coagularsi più frequentemente.

L'immobilità e la proteina 47

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Quello che permette all'orso di non formare coaguli di sangue durante il letargo è la ridotta espressione genetica della proteina 47, nota alla scienza anche come HSP47. Solitamente, quando l'animale è attivo, questa svolge un ruolo protettivo nei confronti degli squilibri che possono colpire le cellule dei tessuti connettivi come quelle delle ossa e della cartilagine. Essa però è anche nota per essere una "proteina shock" ed è impiegata quando un tessuto è soggetto ad una lacerazione o a una ferita. Legandosi al collagene, la proteina 47 ha infatti il ruolo di aiutare le piastrine a bloccare il sanguinamento, a formare il coagulo e a iniziare il processo di rimarginazione.

Questo fenomeno, impiegato dal nostro corpo per non morire dissanguati, risulta però essere problematico quando un elevato numero di piastrine e di proteine 47 si legano al collagene, durante un momento in cui non è presente alcuna ferita. Insieme aumentano infatti la comparsa di un trombo, che può bloccare il flusso sanguigno fino ai polmoni, uccidere un muscolo e produrre seri danni ad organi e apparati. E durante periodi prolungati di inattività causati per esempio da una frattura, l'infiammazione e il rallentamento del flusso sanguigno vicino le aree colpite possono rendere più probabili la formazione di questi coaguli – soprattutto in quei soggetti obesi, malati di diabete o sotto l'effetto di dipendenze – che possono risultare fatali.

Per capire come dunque gli orsi riescono a non soffrire di tali disturbi, Schattner e colleghi hanno studiato dei campioni di sangue provenienti da 13 orsi bruni selvatici (Ursus arctos) che sono stati seguiti durante un intero anno, partendo dall'inverno fino al termine dell'estate. Ciò ha permesso di capire che le piastrine presenti nei campioni di sangue invernali – ovvero quando gli orsi erano andati in letargo – avevano meno probabilità di coagularsi rispetto ai campioni estivi poiché i livelli della proteina 47 erano circa un cinquantesimo della quantità trovata nei campioni estivi.

In un primo momento gli scienziati hanno pensato che questo fenomeno appartenesse ad una curiosità biologica che non potesse essere replicata sugli esseri umani. Poi però si è capito che non c'era nessuna "proteina miracolosa" o una predisposizione particolare delle vene che impedisse agli orsi di subire trombi. Paradossalmente è la stessa immobilità prolungata in questi animali ad aver indotto un cambiamento nell'espressione genica che porta al silenziamento quasi totale del gene necessario alla produzione della proteina 47.

Dopo aver accertato questa importante scoperta, gli scienziati hanno allora dunque chiesto a diverse persone colpite da lesioni al midollo spinale (incapaci quindi di muoversi) se erano interessate a partecipare al progetto, donando un piccolo campione del loro sangue. L'obiettivo era esaminare anche in loro quali fossero i livelli della proteina 47 dopo mesi o anni di prolungata immobilità. E, con grande sorpresa da parte degli scienziati, i risultati dell'analisi hanno mostrato che tutti i campioni umani avevano bassi livelli di proteina 47 e nessun segno di coagulazione correlata ad un'infiammazione.

Impressionati da questo risultato, gli scienziati hanno deciso di perpetuare lo stesso test in 12 persone sane, che hanno trascorso un mese a letto per la ricerca. Dopo 27 giorni di immobilità, i loro livelli di HSP47  sono diminuiti di oltre la metà rispetto alla media considerata normale per una persona in attività, dimostrando come lo star fermi può accentuare il problema nel breve periodo, ma diminuirlo notevolmente qualora il soggetto stia davvero per molto tempo abbastanza fermo da ridurre l'espressione genetica di questa proteina.

Ovviamente non si può chiedere ai pazienti di stare immobili per mesi come fanno gli orsi o i tetraplegici, chiariscono gli scienziati, ma leggendo questa modulazione di produzione della proteina 47 da un punto di vista evolutivo, ciò assume molto più significato rispetto a quanto creduto all'inizio. Tale fenomeno infatti si pone come risposta adattativa a tutti quei eventi che fanno parte della vita dei mammiferi (dal letargo alle fratture fino alle gravidanze) che mettono a rischio la vita di qualsiasi esemplare per via di una totale o parziale immobilità.

Continuare a studiare il letargo degli orsi e il legame fra immobilità e i coaguli i sangue, anche negli esseri umani, secondo i ricercatori consentirebbe così di arrivare a fornire un giorno un farmaco capace di abbassare i livelli della proteina 47 e limitare il pericolo di trombosi in quei soggetti maggiormente predisposti.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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