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21 Agosto 2023
8:55

Gli scienziati sono riusciti a capire come gli oranghi rispondono alle novità in natura

Per la prima volta, gli scienziati hanno osservato come reagiscono gli oranghi selvatici di fronte alla presenza di oggetti insoliti in grado di provocargli sorpresa.

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Noi primati siamo un gruppo di animali dedito all'esplorazione. Ci piace scoprire cose nuove e di fronte a ciò che non abbiamo mai visto prima possiamo reagire in due modi molto diversi: con avversione o con curiosità. La maggioranza dei primati tuttavia si convincerà che è meglio esplorare l'oggetto o il luogo ignoti, anche se in alcuni casi l'avversione diventa così forte da suscitare terrore, tanto da impedire di avvicinarsi.

Proprio questa tipologia di risposta alla novità è quella che è stata osservata negli oranghi dagli scienziati del Max Planck Institute of Animal Behavior (MPI-AB) nello studio recentemente pubblicato su Scientific Reports e che verte proprio sulla comprensione di come gli oranghi reagissero alle novità.

La reazione della sorpresa – che sia essa positiva o negativa – è ben descritta all'interno dei manuali di psicologia umana. Per quanto riguarda invece le grandi scimmie che vivono in natura è molto difficile per i ricercatori provocare questo stato emotivo. Infatti, solo per gli animali in cattività gli scienziati sono riusciti a catturare delle immagini in grado di chiarire come le scimmie rispondono alle novità improvvise. Sul campo però non è mai stato possibile osservare nulla di simile e in particolare, a essere ancora più misteriosi sono gli oranghi (genere Pongo). Le scimmie di cui conosciamo meno le abitudini fra quelle più strettamente imparentate con l'uomo.

Le ragioni di questa nostra ignoranza sono molte. Per prima cosa studiare gli oranghi non è semplice: essi infatti vivono sulle chiome degli alberi, a diversi metri di altezza, in contesti boschivi molto fitti in cui è quasi impossibili individuarli con una facilità. Inoltre, fra tutte le scimmie antropomorfe sono anche le più silenziose. Producono pochissime vocalizzazioni, rispetto a bonobo, gorilla e scimpanzé, ed è anche per questo se spesso riescono a sfuggire agli occhi più attenti. Infine, sul campo ci sono molto meno ricercatori intenti a studiare questi animali rispetto a tutte le altre grandi scimmie, anche a causa della complessa situazione geopolitica internazionale che rende talvolta complicati i rapporti con il governo dell'Indonesia, territorio sul quale si trova la maggioranza delle popolazioni naturali di orango.

Il team del Max Planck si è quindi concentrato sugli animali in cattività, riuscendo a misurare il comportamento degli oranghi selvatici nei loro primi incontri con un oggetto sconosciuto. Queste ultime scoperte, insieme ad altre precedenti, hanno permesso di conoscere il loro comportamento di fronte alle novità. Era già noto come queste grandi scimmie antropomorfe fossero in grado di esprimere comportamenti di risposta alle novità simili a quelli umani, una notizia che aveva incoraggiato gli scienziati tedeschi a provare ad ottenere la stessa tipologia di risposta in natura.

Il team ha studiato gli oranghi in un sito di monitoraggio a lungo termine, presso la comunità di Suaq Balimbing, a Sumatra. Questi oranghi sono abituati alla presenza dell'uomo, ma vivendo in condizioni di semilibertà all'interno del sito hanno continuato a vivere allo stato selvatico, scendendo a terra solo durante le ore dei pasti o per godere della compagnia dei guardiani, che li trattano come dei fratelli. Caroline Schuppli, direttrice del Suaq Project e prima autrice dello studio, ha avuto così l'opportunità di avvicinarsi a questi animali per studiarli in una maniera che sarebbe stata impossibile in altre località del Borneo o di Sumatra. Così si è interessata a capire come reagirebbero gli oranghi selvatici quando vengono messi di fronte a qualcosa di sconosciuto.

«Sappiamo che le scimmie sono molto curiose di esplorare quando si trovano nelle condizioni sicure e controllate di uno zoo – ha affermato Schuppli, che è anche capogruppo del MPI-AB. – Ma questi risultati ci dicono poco su ciò che ha realmente innescato o soppresso la curiosità sulla storia evolutiva dei grandi primati». Così, circa dieci anni fa, Schuppli e i suoi collaboratori tentarono per la prima volta di valutare la curiosità negli oranghi selvatici, con un esperimento ispirato agli studi in cattività.

Disseminarono la foresta infatti di centinaia di oggetti estranei, particolarmente colorati, che gli oranghi potevano trovare con una certa facilità. Tra questi oggetti c'erano per esempio delle bandiere, fiori e frutta di plastica, ma anche alcuni giocattoli e dei panelli non in grado di riflettere la luce.

I risultati di questo esperimento sono stati però particolarmente deludenti. «Gli oranghi non si avvicinavano quasi mai a nessuno degli oggetti – ricorda la scienziata. – Siamo riusciti anche a registrare come essi cercavano di evitarli, facendo degli enormi cerchi nella foresta». Solo più tardi Schuppli capì che l'esperimento era fallito non tanto perché gli oranghi non amavano scoprire nuovi oggetti, ma perché il team non aveva tenuto conto di diversi problemi logistici e del comportamento preventivo di questi animali.

Le ragioni del fallimento del primo esperimento erano difatti abbastanza semplici: vivendo sulle chiome degli alberi, gli oranghi erano in grado di notare gli oggetti da molto in alto. E visto che non riconoscevano quei oggetti come "naturali", per una maggiore sicurezza li evitavano, essendo fra tutte le grandi scimmie quelle più predisposte all'evitamento rispetto all'esplorazione. Un comportamento che nasce dalla maggiore presenza di minacce e di predatori nel loro territorio, rispetto alle foreste abitate dai gorilla o dagli scimpanzé.

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La sfida era dunque capire come attirarli con qualcosa che fosse nuovo, ma che si rivelasse abbastanza familiare da non spaventarli, chiarisce la scienziata. E nel tempo il team è riuscito a inventarsi un oggetto in grado di attrarre questi animali. Un pezzo di tronco d'albero con un buco naturale, riempito di miele, che veniva disposto in maniera insolita, venendo infatti issato e lasciato sospeso sugli alberi a circa 10 metri di altezza.

In questo caso, durante delle prove di avvicinamento di circa 30 minuti, gli oranghi si sentivano a loro agio con l'oggetto, esplorandolo con un certo interesse con l'utilizzo di un bastone. Gli oranghi però messi di fronte all'oggetto raramente sembravano attratti dal miele al suo interno e non toccavano mai direttamente il ceppo, dimostrando di essere sempre molto cauti e fra i più i diffidenti dei primati. «Gli oranghi sono stati piuttosto attenti e furbi – ha affermato Tri Rahmaeti, membro del team dell'Universitas Nasional in Indonesia che ha collaborato allo studio. – La ricompensa del miele avrebbe potuto essere facilmente estratta dal tronco usando un dito, ma hanno comunque preferito usare uno strumento in modo da non dover stabilire un contatto fisico».

Utilizzando però tecniche statistiche, il team ha scoperto come i giovani oranghi avevano molte più probabilità degli adulti di osservare incuriositi e avvicinarsi al ceppo. Gli adulti inoltre avevano maggiori probabilità di avvicinarsi  se vedevano anche un altro individuo dirigersi in quella direzione. Nelle zone in cui era presente molto cibo, gli oranghi infine erano più predisposti ad osservare rispetto ad avvicinarsi all'oggetto. Da un lato, quindi, i risultati hanno confermato la teoria che gli oranghi in natura non sono fra coloro che esplorano i nuovi oggetti e che possono ritenersi degli abili esploratori. «D'altra parte, l'esperimento ha dimostrato che c'è flessibilità nel comportamento. Gli oranghi hanno il potenziale per essere curiosi delle novità in natura, ma solo in determinate condizioni. E testando sperimentalmente questo in una popolazione selvaggia, abbiamo individuato le condizioni che permettono ad alcuni esemplari di essere più curiosi degli altri » ha chiarito Schuppli.

Di queste condizioni, la scienziata tedesca trova il fattore sociale più illuminante. Per quanto infatti gli oranghi sono i meno socievoli di tutte le grandi scimmie, essendo infatti per la maggior parte del tempo abituati a girovagare da soli nella foresta, per poi radunarsi con la famiglia, per affrontare la notte, la presenza di un partner aumenta la loro curiosità e li induce a esplorare oggetti "proibiti".

Ciò ha implicazioni affascinanti. Può infatti darsi che anche la nostra specie si sia evoluta in maniera simile, con una condivisione della curiosità che ha permesso a diversi esemplari di esplorare l'ignoto. «Spesso pensiamo all'apprendimento e all'innovazione come atti solisti, ma questo potrebbe non essere stato il caso nella nostra storia evolutiva – afferma Schuppli. – Se la sorpresa di fronte ad una novità è stata la scintilla, allora le nostre vite sociali potrebbero aver fornito il carburante» per alimentare il fuoco della curiosità che ci ha spinto ad apprendere sempre di più e a conoscere meglio il mondo che ci circonda.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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