30 Novembre 2022
11:16

Gli occhi chiari dei primati non umani

Gli occhi dei primati possono disporre di un'ampia gamma di colori e solo recentemente la scienza è riuscita a comprendere perché.

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Non solo per gli esseri umani, ma anche per gli altri primati il colore degli occhi diventa via via più chiaro salendo di latitudine, al di là dei casi di albinismo che possono portare qualsiasi specie a produrre esemplari privi di pigmentazione. Lo conferma una nuova ricerca, guidata da un gruppo internazionale di ricercatori della National University di Singapore.

In questo studio gli scienziati hanno quantificato la variazione interspecifica nella forma e nella colorazione degli occhi di 77 specie di primati, rappresentanti tutti i generi esistenti e provenienti sia dal Vecchio come dal Nuovo mondo.

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Tra le scoperte, sembra che il peso corporeo più pesante di alcune specie e la loro locomozione terrestre sono associati a contorni degli occhi allungati. Inoltre le specie che vivono nei pressi dell'equatore presentano congiuntive – la membrana che protegge la superficie esposta dell'occhio – più pigmentate, scure, suggerendo funzioni fotoprotettive utili nello scongiurare cecità, problemi alla retina e cataratte. Anche il colore degli occhi varia, a secondo dalla distanza dell'Equatore, con uno spettro della colorazione che va dal marrone scuro in Africa al blu e al verde delle popolazioni più vicine ai poli, come i macachi giapponesi che abitano ad Hokkaido.

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Come sostenuto all'interno dell'articolo: «Questi risultati spostano l'attuale attenzione dai fattori comunicativi a quelli ecologici nel determinare la variazione dell'aspetto esterno dell'occhio nei primati antropoidi. E sottolineano anche la possibilità che fattori ecologici simili abbiano contribuito alla selezione per gli occhi azzurri nelle popolazioni umane ancestrali che vivevano alle latitudini settentrionali.»

In breve, l'evoluzione del colore degli occhi nei primati non umani come per noi Homo sapiens sembra essere legato a caratteristiche selezionate dall'ambiente, non da una decisa scelta sessuale. Dove c'è meno luce, iridi troppo scure non avrebbero permesso l'assorbimento di luce blu, che come sanno bene tutti gli abitanti della Scandinavia e gli Inuit è importante per regolare il nostro orologio circadiano in quelle latitudini. Inoltre, la presenza di occhi chiari in Africa avrebbe comportato un maggior danneggiamento della retina che avrebbe portato alla cecità parziale delle specie, pericolo che è stato superato tramite proprio l'introduzione di iride più scure – melanizzate – che avrebbero arginato il problema e protetto il delicato sistema fotorecettore dell'occhio interno.

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Questa ricerca tra l'altro ci regala un nuovo indizio relativo all'evoluzione degli esseri umani. Come ormai ben sa la scienza, all'interno della nostra specie i proprietari degli occhi scuri sembrano essere molto più numerosi e prevaricare geneticamente i proprietari degli occhi chiari. Questa caratteristica sembra essere stata introdotta nella nostra specie con l'unione di alcuni nostri antenati con Homo neanderthalensis e alcuni appartenenti alla specie di Denisova, che vissero nell'Europa settentrionale sul finire dell'ere glaciali.

Il fatto però che buona parte della popolazione umana attuale disponga di occhi e capelli scuri dimostra ancora una volta che la nostra origine è africana e che le caratteristiche estetiche di bellezza nordica appartengono solo ai pronipoti di quelle coppie umane che si sono adattate alle alte latitudini o che erano figli dell'unione fra sapiens e neandertaliani.

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Il complesso ramo del genere Homo che presenta diversi percentuali di ibridazione, a secondo dei continenti e dei popoli
Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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