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23 Giugno 2022
10:52

Fondali marini a rischio: cosa si fa per salvarli

Sea Shepherd Italia continua a monitorare i mari alla ricerca di reti fantasma, Greenpeace e l'Università di Pisa realizzano un drone subacqueo per scandagliare i fondali profondi e registrarne la distruzione, Marevivo Onlus recupera e riutilizza pneumatici abbandonati sul fondo del mare.

Giornalista
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Il recupero della matassa di rete gigante nell’ultima operazione di Sea Shepherd Italia (credits:@SeaShepherdItalia)

Ad uccidere il mare non è soltanto l’inquinamento. Anche lo sfruttamento insostenibile di tutte le forme di vita che lo abitano è in cima alla lista dei pericoli, con circa il 90% degli stock ittici di tutto il mondo in esaurimento e la metà delle barriere coralline già persa.

Gran parte di questo scempio, che ogni giorno porta a perdite che non si potranno più recuperare, è a causa della pesca non sostenibile: pesca illegale e overfishing, cioè eccesso di pesca, sono infatti le due forme di rapina subite quotidianamente dai nostri mari al collasso.

Ed è proprio contro l’ennesimo capitolo di pesca illegale, quella che le coste italiane subiscono ormai da anni a causa delle chilometriche reti che infestano molti fondali italiani devastati, i cosiddetti “muri della morte”, che è scattata una nuova operazione di Sea Shepherd Italia, la costola italiana della celebre organizzazione internazionale capitanata da Paul Watson.

L'ultima operazione di Sea Shepherd Italia contro le "reti fantasma"

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La rete recuperata da Sea Shepherd Italia (credits:SeaShepherdItlaia)

«Questa mattina una rete derivante illegale con dimensioni delle maglie di 43 centimetri è stata recuperata da Sea Shepherd in collaborazione con la Guardia Costiera – Comando di Vibo Valentia – spiega Andrea Morello, fondatore e direttore della Sea Shepherd Italia – L’immenso “muro della morte” è stato trovato la sera precedente mentre l’equipaggio della Sea Eagle era impegnato nei pattugliamenti in coordinamento con la Guardia di Finanza, a venti miglia nautiche da Belmonte Calabro».  Un ritrovamento anomalo, visto invece del classico serpentone di rete lungo decine di chilometri, questa volta è stata ritrovata un’enorme matassa galleggiante.

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La matassa di rete issata sulla Sea Eagle (credits:@SeaShepherdItalia)

Aggrovigliata su se stessa, infatti la rete spadara era stata abbandonata, trasformandosi così in una pericolosissima rete fantasma, capace di inglobare e uccidere decide e decine di pesci, senza alcuna distinzione. Così imponente nelle dimensioni, da non poter neanche essere issata a bordo della motonave Sea Eagle con cui si è svolta l’operazione.

«Giaceva abbandonata nel mare come un informe mostro rossastro capace di uccidere ancora e ancora – prosegue Morello. – Il nostro equipaggio ha dunque legato quell’immenso coagulo informe e l’ha trainato in porto. Lì è stata presa in consegna dalle autorità grazie all’aiuto dell’Operativo Mezzi Rimorchiatori Tecnici per essere trasferita sulla terraferma».

Zeno, un drone subacqueo per scandagliare il fondo mare

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Il dorne subacque Zeno mentre viene calato in mare (credits:@Greenpeace)

Ancora presto per sapere quanti abitanti del mare sono rimasti incastrati nella rete recuperata. Ed è ancora presto per sapere quali danni una rete di questo genere possa aver procurato. Perché un altro elemento di questa gigantesco problema è proprio l’impossibilità di verificare lo stato dei fondali, la difficoltà di mappare i danni della pesca illegale. Una fotografia vera e propria dello stato delle cose, più facile sulla terraferma, diventa complicatissima in profondità.

Proprio per questo motivo è nato Zeno, un drone subacqueo progettato dal Dipartimento di ingegneria dell'informazione dell'Università di Pisa in collaborazione con Greenpeace per scandagliare i fondali delle aree protette e trovare tracce di pesca a strascico di frodo. Nei giorni scorsi, i ricercatori hanno effettuato un primo test nei fondali di Castiglione della Pescaia, e le attività proseguiranno nei prossimi mesi nella zona foce dell’Ombrone e nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

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«Se la pesca deve con urgenza diventare sostenibile e meno impattante sugli habitat e sugli ecosistemi, dobbiamo dotarci anche di strumenti adeguati al monitoraggio dei nostri fragilissimi ecosistemi- spiega Alessandro Gianni di Greenpeace – Proprio per questo, per migliorare le nostre capacità di verifica, e per meglio raccontare e difendere il mare, ci siamo rivolti al mondo della ricerca». La verifica, quindi, dovrà evidenziare i danni arrecati dalla pesca a strascico soprattutto mappando i fondali “grattati” su cui sono rimasti solchi profondi con effetti disastrosi per le praterie di posidonia e le distese coralline, senza pensare ovviamente alle grandi quantità di pesce tirato a riva.

«La pesca a strascico – conclude Giannì – è consentita solo lontano dalla costa e ovviamente è vietata nelle aree protette. Controllare le attività illegali è molto difficile e la pesca artigianale ha più volte denunciato simili comportamenti di cui è però difficile avere evidenze».

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Il drone Zeno realizzato dall’Università di Pisa in collaborazione con Greenpeace
(credits:@Greenpeace)

Il drone subacqueo, nato dalla collaborazione tra Greenpeace e il Dipartimento universitario DII, permetterà un monitoraggio più attendo e dettagliato anche di fondali fino ad oggi inarrivabili, in grado di rilevare i solchi lasciati dalle reti sui fondali, e quindi individuare avvenute attività illecite in aree protette. «Il robot che abbiamo chiamato Zeno – spiega Riccardo Costanzi, docente di robotica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa – è dotato di telecamere e sonar.

Da Zeno, infatti partiranno segnali acustici diretti al fondale, per stabilire in modo preciso la conformazione e la presenza di solchi grazie all’analisi dell'eco riflessa. Inoltre, il robot è dotato di telecamera, e dopo il suo monitoraggio potremo quindi unire le informazioni visive e quelle acustiche, ed avere una mappatura precisa del fondale marino a profondità superiori a 50 metri, profondità di solito molto difficili da monitorare».

Marevivo e Ecotyre insieme per raccogliere pneumatici dal fondo del mare e riciclarli

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Sub recuperano pneumatici abbandonati sul fondo del mare (credits:@Marevivo)

Anche la pulizia dei fondali da reti e attrezzi da pesca abbandonati  fa parte del processo di rivalutazione e recupero dei nostri mari. Ed è qui che entrano in gioco i sub con un lavoro di recupero fondamentale. Marevivo ed Ecotyre, insieme anche per il 2022, con la loro campagna di recupero e smaltimento di pneumatici abbandonati sul fondo del mare, hanno puntato non solo sulla pulizia dei fondali ma anche sul trattamento e riuso dei penumatici recuperati.

«I PFU raccolti – spiegano – saranno portati all’impianto di trattamento più vicino, rispettando la logica di prossimità su cui EcoTyre basa la sua attività, per essere correttamente trattati, opportunamente riciclati e reimmessi nel ciclo dell’economia circolare». L’11 giugno la prima tappa a Mazara del Vallo: complessivamente sono stati recuperati 300 kg di PFU, grazie alle operazioni dei diving Scuba School Mazara e del Gruppo Subacqueo della Lega Navale Italiana di Mazara del Vallo che hanno ripulito il Porto Nuovo-Banchina Mokarta dai PFU che giacevano sul fondo del mare. Prossime tappe, dopo Mazara del Vallo: Gaeta, Isola delle femmine, Alghero, Viareggio, Laguna di Orbetello, Lampedusa.

L’associazione Marevivo Onlus, che dal 1985 si occupa della tutela del mare e dell’ambiente, ha recentemente promosso in collaborazione con Scubadvisor, la prima App al mondo interamente dedicata agli amanti delle immersioni che offre la possibilità di segnalare con foto e descrizioni i siti sottomarini a rischio e che permetterà di monitorare i fondali deturpati dai rifiuti con l’obiettivo di disegnare lo stato di salute dell’ambiente sottomarino italiano. Disponibile gratuitamente per IOS e Android, l’App permetterà di inviare la segnalazione allegando una o più foto con descrizione del sito marino danneggiato nel pieno rispetto dell’anonimato e della tutela della privacy.

L’app sarà in grado di identificare esattamente le coordinate GPS e le fornirà a Marevivo che metterà a punto un data-base con tutte le segnalazioni per monitorare, e ove possibile recuperare, i rifiuti presenti sui fondali. «Il fatto che i rifiuti non si vedano non significa che non ci sono e che non costituiscano una minaccia grave per il mare e i suoi abitanti – commenta Rosalba Giugni, Presidente di Marevivo. – Questa app coinvolgerà altre centinaia di occhi che ci aiuteranno ad acquisire informazioni utili e preziose per la costruzione di una banca dati e di una mappatura di questi rifiuti antropici che danneggiano l’ecosistema marino».

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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