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25 Novembre 2023
9:35

Conosciamo l’origine dell’ecolocalizzazione dei delfini grazie a nuovi ritrovamenti risalenti a 30 milioni di anni fa

Fossili di 30 milioni di anni fa hanno permesso agli scienziati di capire quando si è sviluppata per la prima volta l'ecolocalizzazione nei delfini.

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Il ritrovamento di nuovi reperti fossili risalenti all'Oligocene ha permesso ai paleontologi di fare maggiore chiarezza sull'origine dell'ecolocalizzazione dei delfini, attraverso la quale questi cetacei individuano le prede a grande distanza. Il nuovo studio è stato pubblicato da una coppia di scienziati statunitensi, Robert W. Boessenecker e Jonathan H. Geisler, rispettivamente dell'Università della California e del Museo Nazionale di Scienze naturali di Washington, che hanno condiviso con la rivista Diversity tutte le loro scoperte effettuate presso gli scavi della Carolina del Sud.

Questa regione infatti circa 30 milioni di anni fa era ancora completamente sommersa dall'Atlantico ed era abitata da numerosi cetacei, da cui sarebbero poi derivate le specie che conosciamo oggi. Tra le specie prese in esame dalla coppia di paleontologi ci sono Xenorophus simplicidens e Xenorophus sloanii, quest'ultimo tra l'altro appena scoperto e presentato per la prima volta alla comunità scientifica proprio da Boessenecker e Geisler tramite questa pubblicazione. I due animali si sono distinti perché presentavano un nuovo strumento di caccia fondamentale per la riuscita della pesca, ovvero il melone, l'organo adiposo che si trova al centro della fronte della maggioranza degli Odontoceti moderni.

Entrambi i delfini erano lunghi circa 3 metri e con ogni probabilità si nutrivano di pesci, tartarughe e di cuccioli di altri mammiferi marini. Dal punto di vista anatomico, tra l'altro, per quanto fossero esteticamente simili alle specie attuali, avevano delle caratteristiche ancestrali che li rendevano "diversi", come i denti molto simili ai molari intrecciati dei primi mammiferi comparsi in seguito all'estinzione dei dinosauri.

Sono peculiari la curvatura del loro muso e l'asimmetria anatomica che presentavano attorno ai tessuti dello sfiatatoio, che hanno permesso il posizionamento degli accumuli di grasso sopra la mascella e l'aumento generale delle loro capacità uditive, tramite la "nascita" di un organo imprevisto che nel tempo avrebbe raggiunto le stesse dimensioni del melone moderno.

I paleontologi ancora non sanno cosa portò i delfini ad andare incontro a queste trasformazioni nell'arco di pochi milioni di anni, ma di sicuro ebbero un impatto positivo su di loro, specialmente nella caccia, dove potevano utilizare una sorta di radar con cui individuare le prede. Tuttavia, i ricercatori sottolineano come questi delfini arcaici probabilmente non fossero ancora in grado di produrre suoni acuti o di udire le alte frequenze che permettono oggi agli odontoceti viventi di comunicare sulle lunghissime distanze. Il loro sistema di ecolocalizzazione infatti, per quanto già sviluppato, si limitava a svolgere unicamente ruolo di strumento d'identificazione delle prede.

«Sebbene l'asimmetria presente all'altezza degli sfiatatoi negli odontoceti odierni possa essere fatta risalire a Xenorophus e ad altri parenti, la torsione e lo spostamento del muso presenti in queste antiche specie oggi non si vede più – ha dichiarato Boessenecker. – Ciò suggerisce che nonostante Xenorophus sia un pezzo cruciale del puzzle per comprendere l'evoluzione dei cetacei che hanno evoluto l'ecolocalizzazione, non è l'ultimo animale che ha sviluppato dei miglioramenti a questo particolare organo di senso».

Parte di questi miglioramenti si sarebbero poi concentrati sulle capacità di ricaptazione delle onde sonore e sulla potenza di emissione dei suoni, ma negli anni in cui le due specie del genere Xenorophus erano ancora in vita probabilmente il loro sistema di ecolocalizzazione era il migliore presente nell'oceano.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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