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22 Gennaio 2021
11:57

Alimentare o no la fauna selvatica?

Offrire cibo agli animali selvatici è un’azione con risvolti ecologici, etici e di sanità pubblica rilevanti. Se il più delle volte, semplicemente, non è raccomandabile, in certi casi è addirittura un reato. Eppure, talvolta, può essere auspicabile. La parola d’ordine? Educare, non reprimere.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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"Dare da mangiare agli affamati", chiedeva Gesù nel Vangelo secondo Matteo come atto di misericordia per guadagnarsi un posto nel regno dei cieli.  Nel regno animale, invece, questa non è sempre una buona idea. Può non esserlo quando si tratta della fauna selvatica. In taluni casi, è persino vietato. In Italia, esiste il reato di foraggiamento a favore dei cinghiali: in altre parole, la legge punisce chiunque alimenti questi animali, a meno che ciò non avvenga a fini strettamente venatori. In diversi Comuni italiani, poi, sono in vigore ordinanze che vietano di dare da mangiare ai piccioni.

Complici una certa riduzione delle attività umane, imposta dalla pandemia di Covid-19, e la non sempre corretta gestione dei rifiuti urbani, l’avvicinarsi degli animali selvatici ai nuclei abitati è un fenomeno crescente. L’essere umano è una specie empatica, prosociale e anche molto curiosa, e questo spinge molte persone a offrire loro cibo, credendoli in difficoltà, per il piacere di un contatto con la natura, o semplicemente per fotografarli e magari postare subito una foto “acchiappalike” su Instagram. Purtroppo, dietro a un’azione apparentemente innocua e caritatevole, si celano conseguenze potenzialmente nefaste sia per gli animali che per noi.

Perché è pericoloso dare da mangiare agli animali selvatici 

Dar da mangiare agli animali selvatici può renderli più confidenti nei nostri confronti, ma non li rende domestici. Facebook e Instagram sono pieni di video di simpatici procioni educatamente seduti a tavola e intenti ad abbuffarsi di frutta, o di volpi che, al calar della sera, banchettano in ciotole ricolme di croccantini del gatto, lasciate lì appositamente per loro. Purtroppo, però, nella realtà questi animali sono molto meno teneri e innocui di come li si percepisce nei video che spopolano sul web. Proprio in virtù della natura selvatica, essi possono creare danni o avere reazioni aggressive imprevedibili nei confronti nostri e dei nostri animali da compagnia, arrivando a provocare lesioni da morso o da graffio più o meno ampie e profonde, che possono anche essere veicolo di infezioni.

L’avvicinarsi a noi esseri umani, però, mette a repentaglio la vita degli animali selvatici stessi: aumenta, infatti, la loro probabilità di essere investiti ma anche quella di essere uccisi da malintenzionati che non li tollerano o abbattuti, su ordine delle autorità competenti, perché considerati pericolosi per la popolazione. Salta subito alla memoria il caso della famiglia di cinghiali uccisa a Roma, mentre faceva merenda in un’area giochi, non molto tempo fa. Una vicenda che ha fatto molto scalpore, sollevando un acceso dibattito che ha coinvolto cittadini, zoologi, etologi e medici veterinari.

Il cibo offerto agli animali selvatici non sempre è adatto

Gli animali spesso attingono a fonti di cibo “facili”, anche se non sono particolarmente adatte alle loro esigenze nutrizionali. Talvolta, esse possono addirittura nuocere gravemente alla loro salute. In alcune zone degli Stati Uniti, ad esempio, sono riportati casi frequenti di morte di ruminanti selvatici, come i cervi, per eccesso di mais. È noto, infatti, che l’eccessiva assunzione di cereali, in questi animali, può causare gravi alterazioni digestive.  I siti di alimentazione, poi, attirano molti animali. In una stessa piccola area, possono ritrovarsi numerosi animali, appartenenti anche a specie diverse, come roditori, lepri, volpi, scoiattoli, cervidi o cinghiali: ciò può portare alla generazione di focolai di infezioni e di infestazioni da parassiti. Talvolta, può trattarsi di patologie trasmissibili all’uomo o ai nostri amati pet, come la leptospirosi, la brucellosi o la malattia di Lyme.

La riduzione della biodiversità 

In ambienti antropici, l’alimentazione artificiale è sfruttata principalmente da esemplari appartenenti a specie che sono, o tendono a divenire, commensali dell’uomo, tra le quali troviamo ratti (Rattus rattus, Rattus norvegicus), topolini delle case (Mus musculus domesticus), piccioni domestici (Columba livia) e passeriformi vari (ad esempio, Passer domesticus, Passer italiae). Nelle aree più rurali, offrire fonti supplementari di cibo può contribuire alla crescita di popolazioni di ungulati con un'elevata capacità riproduttiva, come i cervidi o i cinghiali, che possono provocare danni alla vegetazione, impoverendola in termini di composizione delle piante, nelle immediate vicinanze delle stazioni di alimentazione ma anche nelle zone limitrofe.

Nel complesso, il rischio forte è quello di creare un ambiente non utile, un ambiente, cioè, depauperato della naturale, nonché auspicabile, varietà della vita vegetale e con un numero abnorme di individui appartenenti a poche specie animali. Questa non è biodiversità, che è sinonimo di ricchezza della varietà animale e vegetale. Al contrario, il rischio evidente è quello di una riduzione della biodiversità.

Non reprimere, ma educare 

Il problema – sia chiaro – non è reprimere la zoofilia spontanea. La propensione delle persone verso gli animali – quella che spesso chiamiamo “amore” – è una motivazione preziosa che va, semplicemente, alfabetizzata. Nutrire non significa, necessariamente, abituare. Se fatto con competenza, può tradursi in un’azione orientata verso un intento conservazionista solido. In un certo senso, forse, è anche un atto dovuto. Qualcuno, infatti, lo considera un modo per rimediare alle azioni umane legate all’urbanizzazione e alle pratiche di agricoltura, che favoriscono la distruzione dell’habitat degli altri animali e limitano la disponibilità delle loro risorse alimentari naturali.

Qual è, dunque, la soluzione più intelligente? 

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Grande e blu cincia

La soluzione più intelligente, come scritto precedentemente, è una: educare i cittadini. Istruire sul cibo più adatto da offrire, sulle modalità più corrette per somministrarlo, così come sui momenti migliori in cui rifornire le mangiatoie. A monte, è fondamentale informare riguardo alle specie che è preferibile non alimentare e quelle a cui, al contrario, può essere vantaggioso dare un sostegno, anche solo in certi periodi dell’anno. Piccole cince e altre specie migratrici, per esempio, possono giovarsene molto, quando fa particolarmente freddo. E può essere utile anche per noi. Posizionando palle di cibo per le cince, chi ha un giardino che, nei mesi caldi, si riempie di insetti fastidiosi aumenterà la presenza di questi uccelli insettivori in primavera, e così potrà contenere, se non addirittura abolire, l’utilizzo di pesticidi!

Bibliografia

  • Dubois S, Fraser D. (2013). A Framework to Evaluate Wildlife Feeding in Research, Wildlife Management, Tourism and Recreation. Animals 3(4):978-94. 
  • Imesch-Bebie ́ N et al. (2010). Ungulates and their management in Switzerland. Pages 357–391 in M., Apollonio, R., Andersen and R. J., Putman, editors. European ungulates and their management in the 21st century. Cambridge University Press, Cambridge United Kingdom. 
  • Milner, JM et al. (2014). To feed or not to feed? Evidence of the intended and unintended effects of feeding wild ungulates. The Journal of Wildlife Management 78(8):1322– 1334.
Nel 2003 mi laureo in Medicina Veterinaria. Dal 2008 sono ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, dove insegno Etologia Veterinaria e Benessere Animale. Studio il comportamento degli animali e la relazione uomo-animale.
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