Cosa ci insegna la storia dello stambecco morto dopo aver ingoiato una scatoletta di tonno

La morte dello stambecco causata dalla scatoletta di tonno lasciata incautamente da un escursionista ci fa riflettere: si fa ancora troppo poco per diminuire l'impatto dell'uomo sulle montagne.

26 Settembre 2022
14:02
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stambecco sui monti

La storia dello stambecco e della scatoletta di tonno potrebbe insegnarci qualcosa. Non è il titolo di una strana fiaba che parla dell'amicizia fra un ungulato di alta montagna e un rifiuto di latta, ma di un drammatico evento realmente accaduto alcuni giorni fa a Cortina D'Ampezzo. Uno stambecco è morto per colpa di una scatoletta di tonno incastrata in gola che non gli ha permesso di alimentarsi correttamente. A nulla è servita l'estrazione dell'oggetto da parte di un veterinario, le ferite erano troppo gravi.

È una storia che alle orecchie del pubblico è giunta più volte: un animale è morto o è rimasto ferito per colpa dei rifiuti sconsideratamente lasciati in natura. Solitamente queste storie riguardano gli habitat marini, ambienti dove i rifiuti provenienti da laghi, fiumi, scarichi convergono e hanno un impatto importante, ma non sempre è così e questo triste evento ne è un esempio.

La storia dello stambecco e della scatoletta di tonno

Tutto è incominciato il 20 agosto sulle montagne di Cortina D'Ampezzo. Uno stambecco maschio di circa dieci anni di età aveva la lingua e la mandibola bloccate per colpa di una scatoletta di tonno incastrata in gola. Ad accorgersi che lo stambecco era in difficoltà è stata una guardia parco che ha allertato i carabinieri forestali locali. La centrale del 112 ha inviato gli specialisti tramite elisoccorso sbarcandoli nei pressi del lago di Sorapis a circa 2000 metri di quota.

Lo stambecco dopo essere stato anestetizzato si è lasciato manipolare dal veterinario che è riuscito a togliere dalla bocca la scatoletta arrugginita di tonno, che impediva il movimento della lingua e rischiava, dunque, di farlo soffocare. Passato l’effetto dell’anestetizzante l'animale si è rimesso in piedi e ha ripreso la sua vita fra le Dolomiti, ma qualcosa è andato storto. Nel giro di 24 ore l'animale è morto, probabilmente per via delle ferite troppo gravi e la malnutrizione.

L'impatto dei rifiuti sulle montagne

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Sfortunatamente sono sempre gli eventi traumatici e dolorosi a colpire di più l'opinione pubblica, smuovendo le masse a modificare i propri comportamenti per evitare che situazioni del genere si ripetano nuovamente. Dunque, prendiamo in esame questa, come tante altre morti inutili, per comprendere di più su un fenomeno ancora poco studiato.

Infatti, di ricerche sull'impatto dei rifiuti sulle montagne ce ne sono ancora troppo poche. Possono essere trovati principalmente studi sulle montagne più famose, come quello condotto dall'Everest Summiteers Association che stima che il Monte Everest ad oggi è coperto da circa 30 tonnellate di rifiuti accumulate da tutte le persone che hanno tentato la scalata nell’arco di 70 anni, ovvero più di 10 mila.

«Non serve una mappa per arrivare al campo base dell'Everest, basta seguire la spazzatura». Queste le parole che la scalatrice Dragana Rajblovic, la prima donna della regione balcanica a riuscire a toccare il picco più alto del mondo, ha utilizzato per descrivere la sua scalata sul Monte Everest. Quasi ogni cima ha, in un modo o nell'altro, segni del passaggio dell'uomo che solo ultimamente ha preso a cuore il problema dei rifiuti lasciati in montagna e conduce poche sparute campagne di raccolta.

Ora fermiamoci un’attimo a pensare: quante tonnellate di rifiuti giacciono sulle montagne italiane considerando che l’affluenza su uno dei monti più famosi d’Italia, il Monte Bianco, solo nel 2017 ha raggiunto 332 mila turisti? Sfortunatamente c'è un vuoto in letteratura e il vero impatto dei rifiuti sulle montagne italiane, ad oggi, ha solo stime parziali e incomplete.

Ad esempio, un'organizzazione no profit norvegese per la protezione dell’ambiente e del territorio, la Grid-Arendal, tra marzo e maggio 2021, ha lanciato la “Global Waste in the Mountains Survey” rivolta a guide alpine e frequentatori della montagna dove si chiedevano riscontri in merito alla quantità di rifiuti incontrati, alla loro composizione e alla zona dell’avvistamento. La ricerca ha coinvolto 1.750 persone distribuite in 75 Paesi, compresa l'Italia, e i risultati sono stati agghiaccianti.

Quasi la metà degli intervistati ha indicato che dopo una passeggiata in montagna aveva trovato una quantità di rifiuti tale da riempire la tasca superiore del proprio zaino di circa 10 litri di capienza. Un quarto sostiene di aver potuto occupare metà di uno zaino di 60 litri, mentre Il 15% ha ritenuto che il volume avvistato fosse pari o superiore a 60 litri e avrebbe richiesto più bagagli o viaggi per essere trasportato completamente a valle.

Per quanto questi dati siano avvilenti, scoraggiarsi non è la via, soprattutto perché stanno nascendo molte attività di pulizia dei luoghi naturali. Queste iniziative sono volte a ripristinare il naturale equilibrio degli habitat prima dell'impatto dell'uomo e a sensibilizzare gli escursionisti sul problema dell'inquinamento in montagna. Impattare di meno nelle nostre passeggiate, dunque, è possibile:

  • Ricordiamoci sempre di portare con noi un sacchetto per raccogliere l’immondizia.
  • Per chi non può fare a meno di fumare, cosa che non bisogna comunque fare nei luoghi naturali, esistono dei contenitori portatili per raccogliere le cicche.
  • Evitiamo anche di gettare rifiuti organici. È vero che sono biodegradabili, ma alterano la naturale composizione dei nutrienti del terreno.
  • Non segniamo i sentieri con fascette di plastica o tessuti poiché inevitabilmente col tempo verranno disperse dal vento e dalla pioggia.
  • E perché no, se troviamo rifiuti che non ci appartengono raccogliamone alcuni, che male non fa.
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