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8 Novembre 2023
11:21

Termina il fermo pesca in Liguria, protestano gli animalisti: «Aree e durata a rimorchio della lobby dei pescatori»

L’attività di pesca, come previsto dal Ministero, si è interrotta dal 1° al 30 ottobre: «Vorremmo che il fermo fosse ottimizzato a seconda due cicli biologici e per tutte le attività di pesca professionale con ogni tipo di attrezzo».

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(Credits günter da Pixabay)

In Liguria monta la protesta dell’Osservatorio Savonese Animalista contro il fermo pesca. L’associazione ha sollevato dubbi in merito all’efficacia della norma che prevede una pausa alla pesca dal 1° al 30 ottobre per consentire la riproduzione e il ripopolamento delle specie maggiormente ambite sul mercato.

Il fermo pesca, così come stabilito dal Ministero, ha imposto lo stop all’attività dei pescatori in Liguria per tutto il mese di ottobre. Una procedura che ogni anno viene messa in atto per tutelare le specie marine senza che l’attività di pesca possa metterle a rischio. La misura, in vigore da quasi quarant’anni, viene messa in atto sul territorio italiano a scaglioni nelle diverse aree costiere di pesca in modo da tenere sempre attivo il comparto con stop “a macchia”.

I pescatori costretti allo stop, che non può mai superare la durata massima di 43 giorni, hanno diritto a una indennità: a marzo 2023 era stata quantificata in 30 euro giornalieri per i il fermo pesca del 2022. La somma, infatti, viene stanziata le liquidata nell’anno successivo al fermo.

«È finito il fermo pesca nel mar Ligure che ha bloccato per il mese di ottobre il pescherecci con lo strascico, che arano i fondali e ne distruggono l’ecosistema – dichiarano dall’Osservatorio Savonese Animalista – come ogni anno esprimiamo dubbi sull’efficacia delle modalità prescritte dal ministero, vorremmo che i tempi, le aree e la durata del fermo biologico fossero ottimizzati secondo i cicli biologici degli animali marini e non a rimorchio delle esigenze commerciali della potente lobby dei pescatori professionisti; non solo ma che, almeno, il fermo fosse per tutte le attività di pesca professionale con ogni tipo di attrezzo (reti da posta, da circuizione, etc.) e fosse esteso all’enorme e sottostimato esercito dei pescatori “ricreativi”».

«Una vera protezione del mare si può fare non solo con un corretto fermo biologico ma soprattutto con la creazione di vaste riserve marine ove viga il divieto totale di pesca in cui le specie animali possano crescere e diffondersi poi anche fuori delle zone protette – proseguono dall’OSA – e con la consistente riduzione delle quote di pesca di specie in pericolo o in precaria ripresa, quali il tonno ed il pescespada, nonché l’aumento delle taglie minime delle specie pescabili e, per i troppi pescasportivi (164.000 censiti nella sola Liguria) la riduzione dei quantitativi giornalieri (attualmente ben 5 chili) ed il divieto dell’uso di palangari (200 ami attuali) e nasse. Tutti gli organismi scientifici del settore dichiarano da tempo che il mar Mediterraneo sta morendo per troppa pesca, sia professionale che sportiva, con il 75% delle specie animali in netta riduzione ed il 25% in via di estinzione».

«Sarebbe inoltre utile – conclude l’Osservatorio – invece di tenerli fermi a spese pubbliche impegnate, durante il fermo biologico, i pescherecci dello strascico al recupero delle migliaia di chilometri di reti perdute o abbandonate sui fondali, che pescano per centinaia di anni. In questa situazione di grave emergenza del mare il consumo di pesce e crostacei degli italiani è assurdamente raddoppiato in pochi anni (28 chili annui pro capite), favorito da campagne promozionali senza senso perché, vuoti i mari italiani, nelle pescherie e ristoranti il pesce in vendita è per l’80% d’allevamento (ma per ogni chilo prodotto ne servono cinque di pesce selvatico pescato) o proveniente dall’estero».

La misura del fermo, come facilmente prevedibile, ha scatenato anche le reazioni di Coldiretti e delle associazioni di pescatori che lamentano danni al loro introito, anche in relazione ai costanti aumenti dei costi dei carburanti. «L’assetto del fermo pesca 2023 non in tutti gli areali risponde alle esigenze delle aziende né a quelle di sostenibilità delle principali specie target della pesca nazionale – commentano in merito da Coldiretti Impresapesca – tanto che lo stato di alcune risorse che il fermo vorrebbe tutelare, in una delicata fase di vita, nei 38 anni di fermo pesca non è gran che migliorato nonostante gli sforzi e le restrizioni messe in atto dalla flotta nazionale che ha visto una contrazione perdendo circa il 33% delle unità da pesca e 18.000 posti di lavoro».

«Chiediamo che il fermo pesca non sia una mera restrizione dei tempi di pesca, misure già abusate dai regolamenti comunitari – concludono da Coldiretti Impresapesca – ma deve avere come obiettivo quello di tutelare le risorse target nelle fasi biologiche più importanti quali la nascita e l’accrescimento dei giovanili, una fase di tutela che non può essere disgiunta dalla attenzione alla sostenibilità economica delle imprese di pesca coinvolte alla misura di fermo e dalla sostenibilità sociale per la tenuta dei territori costieri e delle tante economie collegate alla produzione ittica quali il commercio, la ristorazione, il turismo e la cantieristica».

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Pietro Zampedroni
Giornalista
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