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11 Luglio 2023
9:00

Perché le tartarughe vivono così a lungo?

Sono davvero longeve, tanto che alcune specie arrivano a superare il secolo. Qual è il loro segreto di lunga vita? E se fosse più d'uno?

Membro del comitato scientifico di Kodami
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Foto di Anja da Pixabay

Il mondo intero è abitato da circa 350 specie viventi di tartarughe, 49 delle quali sono terrestri, 8 marine e oltre 250 d’acqua dolce o semi acquatiche. Le tartarughe propriamente dette vivono principalmente in acqua, mentre quelle che vivono sulla terraferma si chiamano più tecnicamente testuggini. Per comodità, qui possiamo limitarci a definirle tutte tartarughe. Sono tra gli animali più longevi al mondo: la durata delle loro vita varia da qualche decade a 150 anni, come avviene nelle tartarughe giganti.

Tuttavia, anche le tartarughe più piccole, come la tartaruga del fango (Kinosternon subrubrum) o la tartaruga dalle orecchie gialle, nota anche come “scivolatrice dal ventre giallo” (Trachemys scripta scripta) vivono relativamente a lungo, fino a 30 anni, rispetto alla maggior parte degli altri vertebrati. Tra le specie più longeve troviamo la tartaruga di Blanding (Emydoidea blandingii): non è per nulla difficile incontrare esemplari con più di 55 anni ancora sessualmente attivi. Secondo una delle ipotesi più accreditate, la longevità di questi animali è legata innanzitutto al loro metabolismo lento.

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Tartaruga del fango (Kinosternon subrubrum).

Come funziona il metabolismo lento delle tartarughe

Sappiamo che il termine "metabolismo" si riferisce ai processi fisici e chimici che avvengono all'interno di un essere vivente per mantenerlo in vita. Avere un metabolismo lento significa bruciare energia a un ritmo molto lento, ed è quello che avviene nelle tartarughe. Uno dei prodotti del normale metabolismo è rappresentato dai radicali liberi, conosciuti anche con la sigla ROS, dall’inglese reactive oxygen species (specie reattive dell’ossigeno). I ROS sono responsabili di danni ossidativi a carico del DNA, delle proteine e dei lipidi, tutti importanti elementi costituivi delle cellule che, in tal modo, invecchiano più in fretta. È un processo, questo, noto come “senescenza cellulare”.

A causa dell'accumulo dei danni causati dai ROS, le cellule perdono la capacità di dividersi e iniziano a non funzionare più bene; tale situazione si estende ai tessuti e agli organi come la pelle, le unghie, il cuore, il fegato e i polmoni, e l’organismo invecchia. L’attività metabolica che produce i ROS è in qualche modo correlata con la durata della vita, in quanto si è visto che alla diminuzione dei radicali liberi nelle cellule corrisponde un aumento della longevità individuale. Ciò significa che gli animali con elevata velocità metabolica hanno vita breve, mentre l’opposto vale per quelli con bassa velocità metabolica. Le tartarughe possono sopravvivere davvero a lungo senza cibo, scomponendo con tutta calma il cibo ingerito e convertendolo con altrettanta calma in energia.

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Tartarughe giganti delle Galapagos (Chelonoidis niger).

Alcune tartarughe terrestri, ad esempio la tartaruga gigante delle Galapagos (Chelonoidis niger), possono sopravvivere per 4-5 mesi senza cibo o acqua. Ci riescono poiché, come tutti i rettili, le tartarughe sono animali poichilotermici, hanno cioè una temperatura corporea largamente influenzata dalla temperatura ambientale. La poichilotermia evita i costi associati al mantenimento di un alto tasso metabolico basale e permette quindi agli animali di sopportare periodi prolungati di privazione di cibo e acqua.

La possibilità di rinunciare a cibo e acqua per lunghi periodi aiuta le tartarughe a sopravvivere in ambienti ostili e a sfuggire ai predatori, e gioca quindi a favore della loro longevità, aumentandone indirettamente l’aspettativa di vita. La stessa ipoalimentazione può essere benefica in sé: la restrizione calorica comporta una riduzione del metabolismo cellulare che in altri organismi, dai lieviti agli animali più complessi, è stata associata a un allungamento della vita.

Altri fattori che influenzano la longevità delle tartarughe

L'invecchiamento è caratterizzato da un aumento della mortalità e dall’insorgenza di malattie tipiche, prime tra tutte quelle tumorali. Guarda un po’, le tartarughe hanno anche tassi di cancro stimati inferiori ai mammiferi, ma pure ai serpenti e alle lucertole, il che suggerisce che hanno sviluppato mezzi efficaci per ritardare l'invecchiamento che passano anche attraverso la minor suscettibilità al cancro. Sebbene anch’essa possa essere dovuta alla riduzione del danno derivante dai tassi metabolici inferiori, i dati forniti dalla genetica e dagli studi cellulari suggeriscono che può dipendere pure da altri tipi meccanismi.

Già in altre specie animali di grosse dimensioni, come gli elefanti e le balene, note per essere resistenti al cancro, si riscontra un elevato numero di oncosoppressori, geni che frenano la crescita delle cellule. Lo stesso sembra valere per le tartarughe, almeno quelle più longeve. Nelle tartarughe giganti delle Galapagos e nelle tartarughe giganti di Aldabra (Aldabrachelys gigantea), ad esempio, sono state identificate diverse duplicazioni di oncosoppressori e di altri geni anti-invecchiamento.

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Aldabrachelys gigantea.

Un tema ricorrente nella regolazione della durata della vita e dell'invecchiamento è il ruolo fondamentale svolto dalla riduzione della lunghezza relativa dei telomeri. I telomeri sono i cappucci protettivi alle estremità dei cromosomi. Sono sequenze ripetitive di DNA che assicurano la completa replicazione del cromosoma e lo proteggono. I telomeri sono mantenuti integri da un complesso enzimatico, la telomerasi. Col tempo, nelle cellule sane l’attività di questo enzima viene persa e quando si esaurisce del tutto, o diventa comunque insufficiente, ad ogni divisione cellulare i telomeri si accorciano un po’, fino a sparire del tutto. Allora il cromosoma diventa instabile e la normale funzione della cellula ne risente fino al punto di non riuscire più a replicarsi. Così, non le rimane che invecchiare.

Il mantenimento della lunghezza dei telomeri dovrebbe ritardare il processo di invecchiamento e prolungare la durata della vita. Le tartarughe giganti delle Galapagos e le tartarughe giganti delle Seychelles (Aldabrachelys gigantea hololissa), come Jonathan, l’esemplare più anziano del mondo, sembrano aver sviluppato, tra i tratti cellulari che possono contribuire alla loro longevità, un tasso più lento di accorciamento dei telomeri e una maggiore durata della vita cellulare rispetto agli altri animali. Riscontri simili sono stati realizzati anche nella tartaruga d'acqua dolce europea (Emys orbicularis), che ha approssimativamente la stessa longevità degli esseri umani, ma non mostra una riduzione della lunghezza dei telomeri durante l'invecchiamento.

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Tartaruga d’acqua dolce europea (Emys orbicularis)

Va detto che minor senescenza non significa immortalità: parlando della longevità delle tartarughe non si può trascurare l’importanza di altri fattori. Uno di questi è il carapace, quella robusta armatura che copre quasi tutto il loro corpo, rappresentando circa il 30% del peso corporeo, ed è frutto di un adattamento di 220 milioni di anni addirittura precedente alle origini dei mammiferi e degli uccelli. Il carapace dei cheloni ha certamente contribuito al successo delle tartarughe e delle testuggini negli ecosistemi terrestri, d'acqua dolce e marini.

Dopo di che, sebbene sia chiaro che la genetica giochi un ruolo significativo nel determinare l’aspettativa di vita delle tartarughe, altri fattori legati allo stile di vita e alle influenze ambientali possono avere un impatto considerevole, contribuendo a aumentarne la longevità. Pensiamo alla brumazione ad esempio. Durante l'inverno, i rettili subiscono periodi di brumazione (il corrispettivo, per gli ectotermi, del letargo dei mammiferi) in cui, in risposta all'abbassamento delle temperature ambientali, la temperatura corporea diminuisce gradualmente scendendo al di sotto del livello ottimale. Durante questo periodo il tasso metabolico cala drasticamente, riducendo ulteriormente il loro fabbisogno di ossigeno e di energia.

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Bibliografia

Scott Glaberman and others, Concurrent Evolution of Antiaging Gene Duplications and Cellular Phenotypes in Long-Lived Turtles, Genome Biology and Evolution, Volume 13, Issue 12, December 2021, evab244.

Nel 2003 mi laureo in Medicina Veterinaria. Dal 2008 sono ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, dove insegno Etologia Veterinaria e Benessere Animale. Studio il comportamento degli animali e la relazione uomo-animale.
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