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2 Aprile 2024
18:59

Influenza aviaria trasmessa all’uomo da un bovino. L’esperto: «Niente panico ma continuiamo a monitorare»

Negli Stati Uniti una persona è risultata positiva all'influenza aviaria ad alta patogenicità H5N1. Per fare chiarezza Kodami ha contattato l'esperto dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.

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Intervista a Calogero Terregino
Responsabile delle strutture nazionali ed europee per l’influenza aviaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
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Negli Stati Uniti una persona è risultata positiva all'influenza aviaria ad alta patogenicità H5N1. È successo in Texas dove un uomo si è ammalato in seguito al contatto con mucche da latte già infettate dall'aviaria. Lo ha confermato il Dipartimento dei servizi sanitari statali del Texas (DSHS), aprendo così nuovi scenari circa la diffusione della malattia tra i mammiferi.

«Niente panico, ma è fondamentale continuare a monitorare quello che sta accadendo negli Stati Uniti – spiega a Kodami Calogero Terregino, responsabile delle strutture nazionali ed europee per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – La situazione è in continua evoluzione, e noi stiamo seguendo attivamente attraverso le organizzazioni sanitarie internazionali».

Lo scorso 25 marzo per la prima volta è stato confermato il contagio nei bovini degli Stati Uniti quando il controllo sul latte non pastorizzato proveniente da diversi allevamenti in Texas e Kansas ha dato esito positivo. Ulteriori controlli effettuati dalla Texas Animal Health Commission hanno poi riscontrato il contagio nell'uomo che è così diventato il secondo caso di influenza aviaria in una persona negli Stati Uniti.

«Chi lavora in ambienti fortemente contaminati è più a rischio – chiarisce l'esperto – si tratta probabilmente di una contaminazione ambientale: l'uomo potrebbe essersi strofinato gli occhi dopo essere venuto a contatto con materiale infetto. Al momento non ci sono elementi che facciano pensare a un contagio aerobico, cioè che avviene per via aerea. Anche il latte è sicuro se pastorizzato».

Non è un caso che l'epidemia di aviaria, diffusa anche in Europa, abbia dato origine a questo spillover proprio negli Stati Uniti: «Lì – chiarisce l'esperto – c'è una forte presenza di allevamenti estensivi, in cui il contatto tra avifauna selvatica e animali da allevamento è più frequente e diretto. Il virus aveva già dato origine a eventi di spillover dagli uccelli ai mammiferi terrestri e marini, e recentemente ha coinvolto anche animali che pensavamo fossero meno suscettibili come capre e bovini da latte».

Lo spillover indica proprio il momento in cui un virus compie un salto di specie passando, ad esempio da un ospite non umano a noi. Tipicamente avviene quando l'uomo si avvicina a specie selvatiche con cui prima non era in contatto diretto. Nel caso dell'aviaria invece il passaggio tra l'avifauna selvatica e noi è stato mediato da un altro animale, un mammifero domestico con il quale la nostra specie ha da sempre un rapporto molto stretto. Ma il salto dagli uccelli ai mammiferi era già stato attestato nel 2020 quando erano stati segnalati migliaia di casi di aviaria tra foche e leoni marini da Nord a Sud del Continente Americano, tutti trovati morti sulle coste di Cile, Perù e Argentina e New England.

Il sintomo principale sviluppato dall'uomo è la congiuntivite, un dato confortante secondo Terregino: «La sintomatologia nell'uomo è molto blanda, la congiuntivite è piuttosto comune per l'aviaria. Il virus non sembra quindi avere sviluppato mutazioni tali da essere pericoloso per noi».

Tuttavia, la vicenda non deve essere sottovalutata: «Ora, bisognerà capire se il virus si trasmette efficacemente tra bovini, o se il vettore restano gli uccelli. Dobbiamo quindi monitorare per individuare eventuali mutazioni».

Il rischio è che si ripeta ciò che è stato osservato in passato per i visoni, nei cui allevamenti il virus del Covid continuava a circolare e a mutare. Gli allevamenti sono luoghi che danno molte occasioni ai patogeni per proliferare: più un virus si ricombina, passando da un individuo all'altro, più aumenta le possibilità di creare delle nuove mutazioni, potenzialmente dannose anche per l'essere umano.

«Siamo aggiornati su quello che succede negli Stati Uniti – rassicura l'esperto – e gli organismi internazionali sono in stretto contatto tra loro. Evitiamo il panico e continuiamo a monitorare».

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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