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6 Aprile 2022
17:30

I serpenti riconoscono sé stessi e la propria “firma chimica”

L'etologo statunitense Gordon Burghardt ha prodotto un esperimento per riuscire a comprendere se i serpenti hanno coscienza di sé stessi tramite la propria "firma chimica", un analogo del "test dello specchio" per rettili.

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Come fanno i serpenti a riconoscere sé stessi? Ogni animale "ragiona" in maniera diversa in base agli stimoli che percepisce e gli organi di senso che preferiamo condizionano il modo di rapportarci all'ambiente, anche per quanto riguarda l'auto-riconoscimento.

Animali che si basano sulla vista, posti davanti ad uno specchio possono riuscire a "riconoscere" se stessi: i primati fanno gesti con gli arti, gli elefanti muovono la proboscide e i corvi usano il becco, in risposta a determinati stimoli. Ma i serpenti?

Alcuni ricercatori hanno realizzato un test concepito appositamente per i serpenti, che si basa sul loro punto di forza, la loro capacità di percepire la composizione chimica dell’ambiente che li circonda. I risultati della loro ricerca sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Behaviour.

Riconoscere la propria "firma chimica"

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I serpenti si affidano principalmente agli stimoli chimici per esplorare l'ambiente circostante e soddisfare le loro necessità vitali come trovare il partner, sfuggire dai predatori e riconoscere le fonti di cibo. Le molecole vengono analizzate tramite l’olfatto e la lingua che preleva tracce e feromoni dall'ambiente e le trasporta all'organo vomeronasale, lo stesso di cui sono dotati anche cani e gatti.

In questo studio gli scienziati hanno valutato se i serpenti giarrettiera comune (Thamnophis sirtalis) siano in grado di distinguere la propria “firma chimica” da quella dei membri della stessa nidiata, cioè i propri fratelli e sorelle.

L'esperimento sui serpenti giarrettiera comuni

L'esperimento escogitato dal team di scienziati capitanato dall'etologo Gordon Burghardt dell'Università del Tennessee, consisteva nel valutare il comportamento di 24 serpenti giarrettiera nati dalla stessa nidiata, 12 maschi e 12 femmine. Dopo la nascita, gli animali sono stati separati e alimentati in base a una dieta o di solo pesce o di soli lombrichi, per differenziarne chimicamente le feci.

Raggiunti i quattro mesi di età ciascuno dei 24 individui è stato poi esposto a quattro differenti stimoli: il fondo della propria teca, il fondo della teca di un altro esemplare nutrito allo stesso modo, quello di un esemplare nutrito in maniera diversa ed infine il fondo di una teca pulita. Nel mentre, sono state misurate le frequenze di estroflessione della lingua ed il loro comportamento in 30 minuti.

I serpenti hanno mostrato comportamenti diversi: gli esemplari risultati nelle teche di propri fratelli sottoposti alla stessa dieta mostravano uno "sfarfallio" della lingua meno frequente rispetto a quando si trovavano nella loro stessa teca.

Burghardt afferma che questo comportamento dimostra che i serpenti giarrettiera sono in grado di riconoscere la propria firma chimica, distinguendola da quella di altri serpenti, anche se sono parenti stretti che si nutrono dello stesso tipo di cibo. Si tratterebbe di una sorta di "test dello specchio": una chiara dimostrazione di auto-riconoscimento.

Ma non tutti gli scienziati concordano sulla portata di tali conclusioni. Lo psicologo James Anderson dell’Università di Kyoto ad esempio, sostiene infatti che anche se i serpenti dello studio di Burghardt sono in grado di dimostrare un certo livello di auto-riconoscimento su base chimica, non è lo stesso di un essere umano o un grande primate che riconosce la propria immagine allo specchio: «Molti ricercatori trascurano la spontaneità dei grandi primati (e la nostra) nell’uso dello specchio. Non esistono dimostrazioni convincenti di cosiddetti ‘specchi chimici’ usati in questo modo» ha dichiarato.

Insomma, questo primo studio etologico sulle capacità di self-consciousness nei serpenti dovrà essere supportato da altre prove a riguardo ma come ha affermato Burghardt «potrebbe mettere in discussione alcune nozioni preconcette sulle capacità cognitive dei serpenti e – conclude – dopotutto ho dedicato la mia carriera a cercare di cambiare la visione della gente dei rettili come macchine puramente istintive, lente, sorde e mute».

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