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24 Marzo 2022
13:00

Greenpeace e deficit di grano: ridurre la quantità di cereali destinati agli allevamenti intensivi

Secondo le stime di Greenpeace una riduzione dell'8% della quantità di cereali ad uso animale riuscirebbe a far fronte alla crisi dei cereali dovuta alla guerra tra Russia ed Ucraina.

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Come affrontare la sempre più imminente crisi del settore alimentare dovuto alla guerra Russo-Ucraina? Per Greenpeace la soluzione da adottare è molto semplice: dare un taglio alle forniture alimentari per il settore dell'allevamento animale. Secondo i calcoli degli esperti della ONG per far fronte alle richieste umane dell'Unione Europea basterebbe una riduzione dell'8% alle quantità necessarie agli allevamenti intensivi.  Come riuscirci? «Riducendo il numero di animali allevati in modo intensivo per liberare cereali sufficienti a compensare il deficit di grano, e diminuire la dipendenza dell'Ue da fertilizzanti sintetici sempre più costosi e inquinanti». Questa mossa, tra l'altro, avrebbe anche benefici ambientali da non sottovalutare, come un consistente calo delle emissioni di gas serra, di terreno utilizzato e di quantità di acqua sfruttata. Meno carne e latticini, insomma, ma una quantità innumerevole di risorse risparmiate.

I consigli e le strategie per affrontare il problema sono stati pubblicati pochi giorni fa in un documento ufficiale.

L'imminente crisi dei cereali

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Vari tipi di cereali

L’Ucraina produce in media 26 milioni di tonnellate di grano all’anno: secondo le stime FAO, questa produzione potrebbe subire una riduzione tra il 20% e il 30% a causa dei conflitti in corso.

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Spighe di grano o frumento

Nell’Unione Europea ogni anno vengono utilizzate 162,5 milioni di tonnellate di cereali di tutti i tipi per nutrire animali, su un totale di 303 milioni di tonnellate per cibo, mangimi e ed altri usi industriali. Il frumento ammonta a 38,2 milioni di tonnellate dei cereali usati nell’UE per l’alimentazione animale. Considerando che i diversi cereali sono, in certa misura, intercambiabili nell’alimentazione animale, una riduzione di appena l’8%, da 162,5 a 149,5 milioni di tonnellate di cereali, permetterebbe di rendere disponibili 13 milioni di tonnellate di frumento per il consumo umano. 

Il problema dell'allevamento intensivo

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Allevamento intensivo

Oltre ai chiarissimi problemi etici e morali che derivano dallo sfruttamento, gli allevamenti intensivi sono un "pozzo senza fondo" delle risorse del pianeta, garantendo alimenti solo per una ristretta minoranza di persone. Dagli anni Sessanta agli anni Novanta, il consumo di carne nelle diverse parti del mondo è aumentato di 5 volte, passando dai 45 milioni di tonnellate nel 1950 agli attuali 300 milioni. Secondo le statistiche della FAO, nel 2014 sono state consumate nel mondo 312 milioni tonnellate di carne, che corrispondono a una media di quasi 43 kg annui per abitante. Tuttavia, il consumo medio di carne nel mondo è molto eterogeneo.

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Consumo medio di carne pro capite del 2013

Ma come mai? Ebbene, allevare un animale fino all'età giusta per il macello portandolo all'ingrasso richiede una quantità considerevole di acqua, cibo, elettricità, medicinali e spazio, oltre a necessitare dopo il processo di lavorazione, trasporto e smaltimento degli scarti. Per non parlare delle deiezioni e dei gas prodotti in vita…

Negli ultimi anni alcuni Paesi hanno perciò deciso di porre un freno (seppur limitato) a tali settori. Per approfondire questo concetto consigliamo la visione di un famoso documentario degli ultimi anni sull'argomento: "Cowspiracy", che è possibile visionare su Netflix.

«Le lobby agroindustriali stanno chiedendo ai contribuenti di tirarsi la zappa sui piedi, pagando il conto per mangimi, fertilizzanti di sintesi e per ridurre le tutele ambientali», dichiara Federica Ferrario, attivista di Greenpeace Italia, che chiede invece di «sostenere gli agricoltori in un percorso per ridurre il numero di animali allevati, e non continuare a finanziare con risorse pubbliche questa modello insostenibile».

Insomma abbiamo due modi per affrontare l'imminente problema alimentare: tirare la cinghia oppure cercare di sfruttare la crisi nel miglior modo possibile, come un'occasione verso un mondo più equo e sostenibile.

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