
Molti rapaci in tutto il mondo sembrano stare vivendo un declino demografico in varie regioni del pianeta. Le ragioni di questa crisi sono diverse, ma in numerosi casi si parla di avvelenamento. Questi predatori infatti spesso cadono vittima delle sostanze da noi utilizzate per disinfestare i campi coltivati e diverse aree periferiche delle città dai roditori, per quanto si ha ancora una certa tendenza a sminuire gli effetti dei rodenticidi sui rapaci.
Da alcuni anni però la biologa Maureen Murray, direttrice della Tufts Wildlife Clinic, sta cercando di indagare in profondità i numerosi casi di morti sospette che sono capitate nella sua zona, una contrada del Massachusetts, nel tentativo di chiarire una volta per tutte quali sono gli effetti di queste sostanze nei rapaci. E per quanto già nel corso del 2020 aveva pubblicato un articolo che mostrava come il 100% delle poiane dalla coda rossa (Buteo jamaicensis) arrivate presso la sua clinica erano risultate positivi all'esposizione con rodenticidi anticoagulanti – con una pubblicazione su Environmental Toxicology and Chemistry – quest'anno la Murray ha ampliato la sua ricerca, con un nuovo studio pubblicato di recente sulla rivista Environmental Pollution, dove ha scoperto che anche un altro tipo di rodenticida, un neurotossico chiamato brometalina, può bioaccumularsi nei rapaci e risultare fatale in tutte quei paesi dove è in commercio.
Un dato molto importante, che dimostra come l'eccessiva presenza di queste sostanze nell'ambiente può provocare un grave danno agli ecosistemi naturali, contrastando le rassicurazioni delle aziende che li producono. «Comprendiamo molto bene che le molecole utilizzate nei rodenticidi possono rimanere attive una volta che sono stati ingeriti dalla preda (topi o ratti, n.d.r), e quando un rapace o un'altra specie ingerisce quell'animale, il predatore sarà avvelenato dai residui. Ma per quanto riguarda la brometalina e molte altre molecole in commercio, studi adeguati per dimostrare o smentire questo tipo di avvelenamento secondario non esistono ancora – ha commentato la Murray, che oltre a essere biologa e veterinaria è anche professoressa clinica alla Cummings School of Veterinary Medicine – Il punto del nostro nuovo studio era quindi rispondere a una semplice domanda: saremmo in grado di trovare prove dell'esposizione alla brometalina nei rapaci che entrano nella clinica? E la risposta è sì, l'abbiamo trovata».

Per scovare questa correlazione fra la morte della fauna selvatica e l'uso della brometalina nei veleni per topi, la dottoressa Murrey insieme ai suoi collaboratori hanno così campionato tutti gli esemplari di rapaci che trovavano morti all'interno delle aree naturali o al confine con le città del loro stato di appartenenza, il Massachusetts. Ed analizzandone i contenuti stomacali come i tessuti interni, il team ha scoperto che circa il 30% dei rapaci campionati, tra cui anche alcuni strigiformi notturni, sono deceduti di seguito all'avvelenamento da Brometalin. Che effetti però danno queste sostanze?
I rodenticida classici usano delle sostanze che bloccano la coagulazione del sangue, facendo morire l'animale per dissanguamento e emorragia interna. È una morte molto lenta, ma efficace. Il problema sussiste, tuttavia, con il fatto che ci vogliono diversi giorni prima che la molecola si degradi all'interno dell'animale morto e, nel frattempo, possono sopraggiungere altre specie che si nutrono di roditori, come cani, gatti, ma anche volpi e rapaci, che rischiano di avvelenarsi a loro volta.
La brometalina agisce invece interferendo con un processo metabolico chiamato fosforilazione ossidativa. In particolare, impedisce alle cellule di produrre ATP – una molecola che viene sfruttata all'interno di ciascun organismo come carburante energetico – impedendone così il suo naturale metabolismo e provocando l'accumulo di fluidi in spazi anomali, come gli spazi interstiziali dei polmoni, del cervello e del midollo spinale. In pratica la brometalina uccide per asfissia e comprimendo il sistema nervoso centrale con i fluidi, una condizione che porta l'animale a non poter più regolare il proprio corpo.

Per quanto gli effetti dell'avvelenamento da brometalina siano molteplici e possono comportare moltissimi problemi anche agli animali spazzini come i rapaci, sfortunatamente non esiste alcun antidoto che possa bloccare l'azione della molecola e liberare l'organismo dal pericolo di morire asfissiato e con le convulsioni. «La diagnosi di tossicosi da brometalina è complicata perché provoca sintomi molto aspecifici. Molte cose possono causare gli stessi segni, come avvelenamento da piombo, trauma cranico o l'attuale epidemia di influenza aviaria altamente patogena – ha chiarito la Murray.- Se tuttavia una poiana o un'aquila dalla testa bianca arriva con un certo insieme di segni neurologici, in questo momento storico la mie prime due ipotesi sono quelle che l'uccello abbia mangiato qualcosa di nocivo o che risulta vittima dell'influenza aviaria».
Inoltre, non è semplice dimostrare che l'animale sia morto effettivamente per colpa della brometalina dopo il decesso, perché a differenza degli altri rodenticidi questa sostanza non provoca cambiamenti visibili negli organi. Per carpire la presenza della brometalina dei tessuti, bisogna invece compiere un'analisi chimica abbastanza costosa dei tessuti animali, un processo che non può essere svolto costantemente dai veterinari, se non per le ragioni di ricerca che hanno guidato l'operato del team della Tufts Wildlife Clinic.
Esistono però dei fattori che permettono di capire se un vertebrato ha ingerito un boccone contenente questa molecola. Per esempio, «nelle specie di mammiferi, se un animale ha ingerito una quantità sub-letale di Brometalin esso può mostrare una paralisi, di solito delle zampe posteriori. In un uccello, invece, anche le quantità minime della sostanza potrebbero simulare degli effetti che ai veterinari riporterebbero in mente un trauma spinale, che ha una prognosi infausta. Ma se riuscissimo definitivamente a dimostrare che l'uccello era stato esposto alla brometalina, la prognosi si rivelerebbe senza dubbio migliore per il recupero di quell'uccello, con la possibilità di effettuare un recupero dell'esemplare, che potrebbe persino ritornare in natura» ha concluso Murray.
Per questo assieme al suo team la veterinaria statunitense sta cercando di migliorare il suo metodo e di individuare un modo funzionale di scoprire se un determinato rapace ha alte concentrazioni di Brometalin sul corpo, senza costringere così il veterinario ad effettuare delle costose indagini chimiche che risultano alla fine non molto utili, per quanto riguarda la sopravvivenza stessa dell'animale.