episodio 1

Buoncanile, un rifugio senza gabbie

Al culmine del breve e coloratissimo autunno ci siamo addentrati in mezzo a bellissime querce e castagni. Appena superata la passerella sul fiume, i rumori di Genova erano già alle spalle sostituiti dagli abbai di Eric, un cane da pastore. Quello che si è aperto davanti ai nostri occhi non era un luogo di detenzione per cani ma di nome e di fatto un Buoncanile.

17 Dicembre 2020
10:57
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Al culmine di un breve e coloratissimo autunno a Genova, ci siamo addentrati in mezzo a bellissime querce e castagni. Appena superata la passerella sul fiume, i rumori della città erano già alle spalle sostituiti dagli abbai di Eric, un cane da pastore. E quello che si è aperto davanti ai nostri occhi non è un luogo di detenzione per cani ma di nome e di fatto un Buoncanile. Al suono della campana, da una casetta di mattoni che sembra disegnata, ci è venuta incontro Micol Chiari, mentre dall’alto, illuminato dal sole di primo mattino, ci guardava con vago interesse Paco: le zampe anteriori allineate e le orecchie aperte a parabola, come un dio Anubi ma con la testa bianca.

Intorno a noi soltanto ampi spazi verdi, un orto e il bosco: «Buoncanile ha due obiettivi essenziali: trovare le giuste adozioni per i cani ospiti e garantirgli benessere finché sono ancora in canile», sottolinea subito Micol, educatrice cinofila che ha dato vita sette anni fa a questo luogo sulle alture di Davagna, a pochi chilometri dal centro del capoluogo ligure,  insieme a Elena Bologna e Ilaria Sanna, colleghe e amiche. Per ottenere questi risultati le tre fondatrici hanno un punto di partenza condiviso che è per loro una "legge di vita": «Non considerare il canile come un luogo di reclusione ma come un posto in cui la vita non si passa in gabbia e di passaggio, dove i cani possano vivere quanto più possibile in libertà, all'aperto e finalmente iniziare un'esistenza degna d'essere vissuta poi in famiglia».

Le tre fondatrici: Micol, Elena e Ilaria
Micol, 40 anni, prima di Buoncanile aveva un lavoro sicuro nell'azienda del padre. Ma aveva anche un sogno: «Poter alzarmi tutte le mattine andando a fare qualcosa che amavo, entrare in canile e rivedere i miei amici cani e potergli dedicare del tempo». Non si è trovata sola: anche Ilaria, 32 anni, ed Elena, 37, hanno abbandonato la strada fino ad allora conosciuta per realizzare lo stesso percorso. «Prima studiavo pedagogia e lavoravo per un noto brand cosmetico – racconta Ilaria seduta affianco a Paco – Poi grazie a mio marito ho scoperto il mondo del canile. Ho lasciato il mio lavoro e col tempo ho trasferito quanto appreso dalla pedagogia all'educazione cinofila».
Ad unire le tre socie è stato il volontariato iniziato al canile municipale di Genova ma soprattutto la condivisione di un’esperienza che ha cambiato le loro vite: l’adozione di un cane problematico. «Abbiamo in comune con Elena e Micol tre cani davvero complicati che ci hanno rivoluzionano la vita, tre cani con cui non è bastato l’amore – spiega Ilaria, ricordando Zeus – I problemi principali li aveva instaurati con me ed era molto demotivante. Più avanti, quest'esperienza, mi ha aiutato a capire come si possa sentire un adottante, quali aspettative abbia e che a volte non corrispondono alla realtà».
Oggi i loro cani problematici – Zeus, Ice e Alfio – non ci sono più, ma hanno vissuto una vita piena trovando quell'equilibrio nella relazione con l'umano che dovrebbe essere la base di partenza in ogni famiglia che intende adottare un animale domestico. Dei loro cani, naturalmente, rimangono i ricordi attraverso anche le foto appese in ufficio e un grande senso di gratitudine: «Dai cani si impara tutti i giorni – dice Micol – Soprattutto la capacità e la forza di reagire a situazioni difficili e di riuscire ad andare avanti. Ice è stato un grande amico che mi ha spiegato quanto sia complicato stare al mondo e gestire le proprie emozioni ma anche quanto sia bello riuscire a condividerle con qualcuno e che insieme si può fare di meglio».

Adozioni e volontariato al Buoncanile

È l’ora delle pappe al Buoncanile, Micol e Ilaria abituate alla routine riempiono in velocità le ciotole. Da oggi le bassotte sono a stecchetto: «Per loro un po’ meno: sono ingrassate!». Esmeralda invece può gustarsi le sue crocchette proteiche, mentre Paco mangia libero in mezzo al prato. Micol tiene il ritmo, prepara la razione e la passa a Ilaria che fila dritta nelle casette. Al momento della nostra visita sono una ventina gli ospiti del Buoncanile, molti hanno trovato casa nelle ultime settimane, tantissimi dal 2013 a oggi: circa 500 cani hanno trovato una famiglia tramite Elena, Micol e Ilaria. «Il nostro obiettivo è di creare dietro a Buoncanile una gruppo allargato con cui condividere i progetti e ovviamente tutte le gioie che può comportare il dare i cani in adozione e anche il vivere il volontariato. Per noi venire in canile non è assolutamente un momento di tristezza o un momento in cui ci disperiamo per i cani che vivono in questa situazione».
Quando tutti i campi sono assolati e la temperatura è decisamente piacevole, ecco il suono della campana: è arrivata Elena con Marina, la sua bimba di sole due settimane, infagottata dentro al giaccone. Per la prima volta Marina entra al Buoncanile: «Non vedevo l'ora di tornarci e di portarla con me qui al rifugio fuori dalla pancia: per sette mesi mi ha accompagnata al lavoro tutti i giorni», racconta la neo-mamma. «Credo che le abbia fatto bene perché non ha paura dei rumori forti e tollera benissimo l'abbaio dei miei cani che l'hanno accettata da subito. Sono fortunata, ho due compagni di vita molto equilibrati e sono quasi più curiosa di vedere la relazione che si instaurerà ta loro e Marina piuttosto che con me e il suo papà». Sono stati sette anni molto intensi per le tre giovani che sono vere e proprie imprenditrici, avendo investito economicamente nel progetto e non avendo alcun sostegno pubblico.
«Quando si è realizzata la possibilità di acquistare il posto e farlo diventare nostro è stato bellissimo: un sogno che si realizzava – continua Elena – Purtroppo un mese dopo ad Alfio, il mio cane, è stato diagnosticato un tumore ed è morto da lì a pochissimi giorni, per cui mi sono trovata con questo enorme progetto tra le mani e lui non c'era più per condividerlo». Ma Alfio simbolicamente per Elena è rimasto con lei, in sintonia con il luogo: è stato anche il cane-ponte, il collegamento con la sua nuova vita. «Nel frattempo si erano riempite le casette del canile con moltissimi cani che avevano bisogno come lui un tempo quando lo avevo incontrato e dopo un po’ tutto ha preso un ritmo naturale. Da lì è stato sempre più bello ogni giorno, ogni anno: la realizzazione e la gratificazione aumentavano».

Il progetto Palermo: adozioni da Sud a Nord, quando ha un senso promuoverle

Il "Buoncanile progetto Palermo" è nato dalla necessità di soccorrere quei cani che affollano i canili nel sud Italia ma riuscendo, allo stesso tempo, a valutare quali di loro può essere portato al Nord senza rischiare di finire comunque l'esistenza in canile o all'interno di una famiglia non adatta. Questo vuol dire un lavoro molto meticoloso per valutare l'indice di adottabilità e garantire al cane, in primis, un futuro in cui la vita ritrovi un senso che dietro alle sbarre non aveva più. Micol, Elena e Ilaria hanno deciso così di andare direttamente nel capoluogo siciliano, per  conoscere personalmente i cani e valutare quali effettivamente avrebbero avuto un miglioramento di vita nel venire a Genova e nell'essere adottati.
«Dal Sud si devono aiutare, come da qualunque altra regione italiana, i cani che hanno la possibilità di stare in aree urbane o semi urbane o comunque che hanno voglia di stare con la gente e che sono capaci di relazionarsi con le persone», spiega Micol che aveva visitato il canile di Palermo per la prima volta durante una vacanza e che da allora non si era più tolta l'immagine dei tanti animali segregati e privati della libertà. «Bisogna sempre ricordarsi però che ci sono cani selvatici, che non hanno desiderio di stare con l'uomo o che non hanno nessun interesse a vivere in una casa. Sarebbe meglio lasciarli nel loro ambiente, trovare soluzioni di condivisione tra noi umani e loro e consentirgli di vivere da cani liberi quali sono».

Il cane simbolo: Sasha

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Buoncanile è un luogo di transito, verso un'adozione compatibile. Per alcuni ospiti, però, è diventato una casa. Come per Sasha, la prima cagna arrivata a Buoncanile sette anni fa. Era stata presa dalla strada e adottata  da una famiglia che la teneva legata a una scala di casa perché non rovinasse il parquet. Sasha è arrivata a Genova da Napoli e col tempo è diventata capace di stare con le persone e di convivere con altri animali: «È un cane che può andare a vivere in ambiente cittadino e che deve trovare delle persone che abbiano un po’ di competenza ma che avrebbero delle soddisfazioni gigantesche a vivere con lei – spiega Micol Chiari – È nei nostri cuori perché c'è una quotidianità che ci lega: a volte sembra arrivare la famiglia giusta e invece poi fanno un passo indietro. Da un lato è un piacere venire al lavoro e passare un'altra giornata insieme, dall’altro è frustrante vedere sprecato così un cane di questa bellezza».

È finita un'altra giornata di lavoro al Buoncanile. I cani sono tranquilli nelle loro aree riscaldate e le tre socie si dividono i calendari del 2021 da distribuire. Quest'anno, causa Covid-19, non ci saranno le cene solidali e le altre attività organizzate intorno a Buoncanile. Una cosa però resterà: proprio come avevano sognato sette anni fa, anche domani Micol, Elena e Ilaria si sveglieranno e torneranno in canile, dai loro amici cani, nel Buoncanile.

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Annissa Defilippi
Giornalista
Racconto storie di umani e animali perché ogni individuo possa sentirsi compreso e inserito nella società di cui fa parte a pieno diritto. Scrivo articoli e realizzo video mettendomi in ascolto dei protagonisti; nascono così relazioni che, grazie a Kodami, possono continuare a vivere.
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