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9 Agosto 2023
12:50

Studiato per la prima volta il cervello dell’estinto tilacino

Grazie a dei vetrini conservati da oltre un secolo, alcuni scienziati hanno analizzato il cervello di una Tigre della Tasmania, scoprendo importanti dettagli su questo marsupiale ormai estinto.

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Il tilacino era il più grande dei moderni carnivori marsupiali ed era anche comunemente noto come lupo o tigre della Tasmania, a causa delle sue strisce distintive e della somiglianza con i canidi. In verità il tilacino apparteneva a tutt'altro gruppo di animali, non essendo imparentato né con i lupi né con i felini, ed è stato per milioni di anni il principale predatore dell'isola posta a sud ovest dal grande continente australiano, prima di scomparire definitivamente per colpa dell'uomo.

Nessuno fino ad ora era riuscito però a studiare il loro cervello, anche perché solitamente questo organo non si conserva a lungo di seguito alla morte di un animale. Sennonché alcuni scienziati dell'Università del Queensland hanno scoperto solo pochi mesi fa alcuni antichi vetrini contenenti del tessuto nervoso appartenente a questo animale, provenienti da un esemplare morto nello Zoo di Berlino alla fine del diciannovesimo secolo. Un colpo di fortuna che si sta dimostrando fondamentale per conoscere meglio questo insolito predatore.

Per via della sua peculiare pelliccia, particolarmente pregiata, e per l'eccessiva competizione con gli animali domestici – in primis i dingo e i cani rinselvatichiti, provenienti dall'Europa, – questa specie si è infatti estinta nel corso del 900, diventando una delle prime specie la cui estinzione è stata seguita attentamente dagli scienziati. L'ultimo esemplare in cattività morì nello zoo di Hobart nel 1936, e già quando era in vita divenne una sorta di attrazione turistica, poiché i media lo celebravano come "l'ultimo rappresentante della sua specie".

Per quanto ritenuto da molti uno dei più fulgidi esempi dell'estinzioni avvenute a cavallo fra XIX e il XX secolo a seguito dell'eccessiva antropizzazione, in realtà non si sa molto riguardo la biologia del tilacino, considerato dagli storici della scienza una delle specie più misteriose fra quelle che abitavano anticamente il continente australiano. E per quanto studiare la biologia di questa specie possa sembrare poco utile oggi, ottenere nuove informazioni potrebbe aiutare la scienza a comprendere meglio le cause della sua scomparsa, come anche a perfezionare le attuali strategie di conservazione dei marsupiali in via di estinzione.

«Abbiamo analizzato questi vetrini tramite un microscopio ad alta risoluzione – ha affermato Rodrigo Suarez, ricercatore dell'Università del Queensland e uno degli autori principali dello studio – ottenendo moltissimi nuovi dati che confermano le nostre supposizioni inerenti il cervello di questo animale. Abbiamo inoltre confrontato le informazioni che siamo riusciti ad ottenere con i cervelli di altre 34 specie di mammiferi, inclusi monotremi come echidna e ornitorinco, marsupiali, come canguri e quoll, e animali placentati come topi e umani». I risultati di questi confronti non sono tardati ad arrivare e secondo Suarez stanno dando una nuova prospettiva post mortem sulle capacità cognitive dei tilacini.

Come è infatti emerge dallo studio che è stato pubblicato su PNAS, i ricercatori australiani hanno definito le caratteristiche principali del cervello, che risultano non molto dissimili da quelli di altri grandi predatori delle medesime dimensioni che è possibile trovare ancora oggi in natura.

Il volume endocranico dei teschi studiati fino a questo momento, per esempio, era stato stimato in circa 51 ml, ipotizzando una massa corporea che andava da 16,7 a 28,5 kg. Questi dati sono stati confermati ed è stato calcolato un quoziente di encefalizzazione di 0,67, che sostanzialmente è leggermente più piccolo della media presente all'interno del gruppo dei marsupiali di dimensioni simili.

Tuttavia, gli scienziati hanno tenuto a sottolineare che per quanto ridotta, la dimensione complessiva del cervello dei tilacini era correlata con abilità cognitive equiparabili a quella dei canidi e di alcuni primati, risultando anche un predittore della dimensione della cucciolata, dell'età dello svezzamento e della loro attività metabolica. «Questo studio ha permesso di capire che i tilacini erano dei predatori molto intelligenti e che avevano una organizzazione cellulare del proencefalo simile a quella di altri marsupiali carnivori – ha commentato Suarez, mentre spiegava i risultati più peculiari della loro ricerca – Abbiamo anche visto che il ripiegamento corticale del tilacino, che conferisce al cervello il suo aspetto rugoso, era maggiore rispetto ad altri marsupiali, ma inferiore rispetto ai canidi come volpi e lupi». 

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La relativa complessità delle circonvoluzioni nervose dei tilacini rispetto agli altri marsupiali ha ovviamente destato parecchio interesse in alcuni ambienti accademici australiani, che ha spinto alcuni ricercatori ha domandarsi se la scomparsa di questi animali dall'Australia continentale, avvenuta circa 6.000 anni fa, sia proprio da impuntarsi dall'eccessivo conflitto con i Dingo, i cani che hanno accompagnato gli aborigeni dal sud-est asiatico nel loro viaggio verso sud. Due animali infatti abbastanza simili tra di loro e dotati di capacità cognitive quasi equivalenti sarebbero presto entrati in forte competizione seguendo gli stessi stili di vita e abitando gli stessi luoghi. Secondo perciò questi scienziati l'estinzione di questi marsupiali sarebbe da attribuirsi non tanto al confronto diretto con i cani, ma con il vantaggio che avevano questi essendo accompagnati e seguiti dall'uomo.

Questa teoria non è tuttavia stata ancora accettata dall'intero ambiente accademico, seppur sempre nuovi indizi portano a pensare che i tilacini avessero tutte le carte in regola per competere con altri predatori. «Lo studio ha dimostrato infatti che i loro cervelli avevano aree olfattive e cognitive di ordine superiore rispetto ad altri marsupiali carnivori, conferendo alla specie un maggiore senso dell'olfatto e della vista, per il suo stile di vita tipico del cacciatore nomade», conclude Suarez.

Il fortunoso ritrovamento di questi vetrini sta quindi rivoluzionando il modo con cui gli scienziati australiani si stanno approcciando a questa specie scomparsa da tempo, non considerandola più solo come una vittima dell'Antropocene ma anche come una specie ben inserita nel suo contesto naturale, finché non fu scacciata per ben due volte dai suoi territori: la prima volta dagli aborigeni australiani, accompagnati dai Dingo, migliaia di anni, e poi dai coloni britannici in Tasmania, che estinsero l'ultima popolazione naturale rimasta nel mondo.

Questa storia però ci dimostra anche la perseveranza e il travagliato percorso della ricerca.

I vetrini furono infatti raccolti a Berlino 140 anni fa e sono sopravvissuti alle bombe di ben due guerre mondiali. I loro custodi iniziali probabilmente includevano gli scienziati tedeschi Oskar e Cecile Vogt, che all'epoca erano famosi per disporre una delle più vaste collezioni di campioni di cervello del mondo. Oskar Vogt fu anche colui che studiò il cervello di Lenin e fu il direttore fondatore dell'istituto Kaiser Wilhelm Institute for Brain Research, prima che il nazismo lo costrinse a scappare dalla Germania nel 1937 abbandonando tutti i suoi averi.

L'istituto in seguito divenne il Max Planck Institute for Brain Research e si trasferì a Francoforte nel 1962, accogliendo i vari pacchi dei defunti Vogt, senza che nessuno avesse la più pallida idea che al loro interno potessero esserci le uniche tracce di un cervello di tilacino. Nel 1973, dopo alcuni anni impiegati a fare la selezione dei reperti, lì il defunto neurobiologo Heinz Stephan consegnò il materiale riguardante il tilacino a John Nelson della Monash University, per restituirlo all'Australia. Nelson ha però deciso di analizzare quei vecchi vetrini solo recentemente, chiedendo l'aiuto dei colleghi dell'Università del Queensland prima di andare in pensione.

Lo stato di conservazione di questi vetrini – molto scadente, per via delle cattive condizioni a cui erano state sottoposti – avevano spinto Nelson anni fa a credere che nulla potesse essere ricavato dal loro contenuto, ma confidando nelle nuove possibilità tecnologiche e nelle potenzialità delle nuove leve ha ritenuto che fosse giunto il momento di tentare l'impresa: studiare per la prima volta il cervello di questo animale estinto.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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