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22 Maggio 2023
14:56

Quando ci sono grandi carnivori i predatori più piccoli vengono più facilmente uccisi dall’uomo

Uno studio dimostra che la presenza di grandi predatori all'interno può fa aumentare le morti delle specie più piccole, che per sfuggire agli animali più grossi si avvicinano maggiormente alle aree urbane e all'uomo.

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Fra presunti incidenti e crescenti atti di bracconaggio in tutte le regioni del mondo, negli ultimi tempi, sono aumentate le uccisioni di grandi predatori considerati potenzialmente pericolosi per l'uomo, come orsi e lupi. Ma la paura per i grandi carnivori coinvolge però anche altri animali, amplificando così le uccisioni da parte dell'uomo delle specie più piccole.

Questo fenomeno, sottolineano gli autori di un nuovo studio pubblicato su Science, è il risultato dell'effetto combinato tra l'espansione antropica, che ha portato gli esseri umani a raggiungere anche le aree più isolate del Pianeta, e l'attitudine di alcune specie ad avvicinarsi all'uomo per trovare maggiori risorse o per sfuggire dalla competizione con i predatori più grossi.

Quest'ultimo punto è proprio quello che mette in maggior pericolo animali come coyote, linci o volpi, assicurano i biologi che hanno lavorato allo studio tra cui Laura Prugh, esperta di fauna selvatica dell'Università di Washington a Seattle. Questi predatori, infatti, quando gli orsi o i lupi sono in giro, cercano di eludere un eventuale incontro spostandosi in aree meno sottoposte al loro controllo, quelle urbane. Tuttavia, questo finisce per esporli a un rischio molto più elevato di essere uccisi per mano dell'uomo.

Gli scienziati, per delineare ciò che accade quando si mettono in relazione più specie di carnivori all'interno di un territorio, hanno preso come esempio alcuni ecosistemi degli Stati Uniti, come le gelide lande dell'Alaska o le aree vicino al Parco Nazionale di Yellowstone. E dopo aver osservato per alcuni anni questi ambienti, hanno scoperto un prospettiva abbastanza sconfortante. La stessa Prugh ha infatti assistito all'effetto combinato del dominio dei grandi predatori su quelli più piccoli e delle battute di caccia umane. In Alaska, per esempio, i coyote e le volpi artiche sono quasi del tutto scomparse e le persone sono ormai abituate all'interno delle città a fare il tiro al bersaglio a tutte quelle specie di media taglia che in realtà non rappresentano un pericolo per gli esseri umani: i cosidetti mesocarnivori.

I contorni di questa vicenda stanno assumendo quelli di una vera strage, a sentire i ricercatori, e portano allo sconforto molti biologi della conservazione che hanno lavorato anni studiando di questi animali. «Gli animali sono davvero, davvero spaventati dagli umani – spiega Taal Levi, ecologa della Oregon State University di Corvallis, che per quanto non sia stata coinvolta nel progetto, conosce la Prugh e sta cercando di limitare i danni per lo stesso tipo di conflitti –  Considerate che negli esperimenti in cui gli scienziati hanno fatto ascoltare agli animali il rumore prodotto dal tipico vociare umano, i predatori di medie dimensioni avevano maggiori probabilità di evitare le aree in cui erano presenti questi suoni». Sintomo che queste specie non sono in realtà molto contente dall'avvicinarsi alle comunità umane.

Considerando quindi che gli esseri umani vengono riconosciuti di pari passo ai grandi predatori come un pericolo, gli scienziati hanno deciso di studiare meglio come si comportano i mesocarnivori vicini al territorio umano. Prugh e i suoi colleghi hanno così applicato dei radiocollari a 37 linci rosse e 35 coyote, nonché a 22 lupi e 60 puma, in due aree rurali dello Stato di Washington. Questi collari erano stati progettati per tracciare la posizione degli animali ogni quattro ore per un totale di due anni, di modo che i dati finali a disposizione per gli scienziati potessero coprire un arco di tempo ampio per definire meglio il comportamento degli animali e l'eventuali risposte umane.

I risultati hanno dimostrato che i coyote e le linci rosse avevano il doppio delle probabilità di trascorrere più tempo vicino alle comunità umane e di finire così vittima delle doppiette. Questa vicinanza agli esseri umani, infatti, ha portato alla morte di 25 linci rosse e di diversi coyote nei due anni di studio, mentre lupi e puma sono riusciti a "cavarsela" con soli otto decessi.

Le ragioni di queste morti sono molteplici, chiarisce Pruch. Innanzitutto, gli animali sono attirati dalle comunità urbane anche perché offrono molte risorse. Inoltre, non sempre associano l'uomo a un pericolo, mentre l'odore o il verso dei predatori più grandi – che si sono evoluti insieme ai coyote per millenni – sì. Ciò induce i predatori di piccola e media taglia a finire più spesso vittima degli umani rispetto a quanto farebbero persino scontrandosi con un carnivoro più grande di loro e spiega anche in che modo i grandi carnivori influenzando il comportamento e gli spostamenti degli altri animali.

«Mentre i lupi si riprendevano al di fuori dei parchi nazionali per via dei progetti di conservazione, c'era questa grande dubbio se fossero riusciti o meno a recuperare abbastanza per svolgere effettivamente il loro ruolo ecologico – chiarisce la Prugh – Questo studio però ha dimostrato che i grandi carnivori non solo possono recuperare da precedenti situazioni di crisi, ma che la loro crescita può così tanto influenzare la vita delle altre specie da spingerli a restare uccisi più spesso per mano dell'uomo. Ragion per cui dovremmo forse ripensare le stesse strategie di conservazione dei grandi parchi nazionali, se il frutto della nostra reintroduzione in natura del lupo o dell'orso ha portato alla quasi scomparsa delle altre specie più piccole», conclude Prugh.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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