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6 Marzo 2023
11:04

Le aquile calve americane sono in serio pericolo a causa dell’influenza aviaria

L'influenza aviaria sta colpendo duramente le aquile calve americane, tanto che i ricercatori sono in apprensione. L'anno scorso la malattia aveva già colpito duramente diversi esemplari.

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Le aquile calve americane (Haliaeetus leucocephalus), che oltre a essere fra le specie di rapaci più iconiche al mondo sono anche il simbolo degli Stati Uniti dal 1782, sembrano essere in seria difficoltà per colpa dell'influenza aviaria. Per quanto i progetti di conservazione avviati dopo gli anni 70 abbiano permesso a questa specie di riprendersi dalla crisi demografica provocata dalle attività umane, l'attuale popolazione occidentale sembra star perdendo un gran numero di nidiate per colpa del virus H5N1 che provoca l'influenza aviaria, costituendo una seria minaccia per il futuro della specie.

L'allarme è stato lanciato sulla rivista Scientific Reports e lo studio ha coinvolto alcuni docenti e ricercatori dell"Università della Georgia. Il virus starebbe infatti uccidendo un numero senza precedenti di rapaci, anche per via dell'inverno particolarmente freddo che ha colpito alcuni stati sud-orientali degli Stati Uniti e che ha creato seri danni anche alle stesse comunità umane.

«Anche solo un anno di perdite di produttività come quello che abbiamo documentato a livello regionale per l'inizio di quest'anno è un dato molto preoccupante, che potrebbe avere effetti per decenni a venire – ha affermato sconfortata Nicole Nemeth, autrice principale dello studio. –  Abbiamo già perso un numero senza precedenti di uccelli selvatici a causa di questo virus negli Stati Uniti negli anni scorsi, ma sembra che dovremo affrontare questo problema ancora a lungo».

La situazione di alcune popolazioni d'altronde risulta essere tragica. Al termine della scorsa stagione riproduttiva, in effetti, sembra che meno della metà dei nidi in stati come la Georgia ha visto l'involo di un giovane nel corso del 2022. Il 30% al di sotto della media per la regione. E quest'anno il responso potrebbe essere ancora più pesante.

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Gli scienziati sono molto pessimisti perché lo studio ha coinvolto team di ricercatori provenienti da diversi stati, come la Florida e la Georgia, e ovunque lungo la costa sembra che la situazione sia la stessa. «Abbiamo avuto rapporti da centinaia di persone che monitorano fedelmente i nidi di aquila anno dopo anno. Lo scenario è sempre quello. Quando i biologi ritrovano un aquila morta sotto al suo nido, nel giro di pochi giorni trovano spesso anche il suo compagno e i suoi piccoli nelle stesse identiche condizioni. È chiaro che il virus sta causando danni irreparabili alla stagione riproduttiva e c'è ancora molto lavoro da fare» ha affermato Nemeth.

Solitamente gli esemplari malati restano fermi in uno stato semi-comatoso, letargico, simile a quanto osservato in alcuni pazienti umani che sono entrati in contatto col virus. Durante l'incubazione, che può durare fino a 7 giorni, le aquile infette perdono infatti sempre più lucidità e diventano più letargiche. Tanto che all'alba dell'ultimo giorno di incubazione, la loro testa pende a toccare terra per via della assenza di sufficiente ossigeno nel sangue. Questo virus infatti colpisce gli organi respiratori rendendo faticosa la respirazione.

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Non sono però solo le aquile a subire questa infezione. «Penso che il numero di casi negli uccelli selvatici sia drasticamente sottostimato – ha dichiarato Nemeth, particolarmente polemica contro le amministrazioni locali che sembrano essere incapaci di rispondere adeguatamente a questa minaccia – Sono molte altre le specie che sono cadute vittima di questa infezione. Molte di queste sono acquatiche, che finiscono direttamente nel menù delle aquile. Le persone per esempio possono anche inviare al nostro laboratorio un'oca delle nevi che abita lontano dai siti di riproduzione delle popolazioni di Haliaeetus leucocephalus, ma scommetto che risulterà anch'essa positiva al virus».

Anche parlando di specie domestiche il virus desta preoccupazione. Anzi, si può dire che l'aviaria ha già colpito molto di più gli allevamenti statunitensi rispetto alle popolazioni selvatiche. Decine di milioni di polli e galline infatti sono morti nel corso degli ultimi anni o saranno presto abbattuti a causa del rischio di infezione, tanto che secondo molti la malattia si è diffusa nelle aree selvatiche a causa dell'epidemia che ha colpito l'industria alimentare della carne bianca. Visto però che questi animali allevati vengono smaltiti industrialmente e in teoria nessun esemplare infetto può uscire dagli stabilimenti senza essere abbattuto, come si sono infettate le aquile e da dove viene questa malattia? La risposta a questa domanda è forse un altro aspetto che desta molto preoccupazione agli esperti.

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Storicamente, si indica il 2003 come l'anno in cui è iniziata quella che sarebbe stata poi ricordata come la pandemia dell'influenza aviaria, originatasi nel sud-est asiatico.  Ad oggi questa malattia ha colpito circa 150 milioni di uccelli d'allevamento, ma si calcola che sono molti di più quelli selvatici che sono entrati in contatto con la malattia. Dall'Asia l'influenza aviaria si è diffusa prima in Europa e poco dopo nelle Americhe, tramite la vendita di pollame ma anche del mangime e delle semplici gabbie per uccelli.

Per quanto gli standard occidentali in campo di sicurezza alimentare siano sempre stati ritenuti migliori rispetto a quelli cinesi e orientali, il virus si è diffuso a macchia di leopardo in tutto il mondo, anche perché oltre gli uccelli colpisce anche altri animali, che fungono da diffusori e trasportatori involontari del virus lontano dai pollai e dalle comunità umane. Fra queste specie abbiamo orsi, volpi, felini e coyote, che razzolando nelle vicinanze degli allevamenti o attaccando i pollai si sono infettati a loro volta.

Inoltre, essendo H5N1 uno dei virus capaci di persistere nell'acqua molto a lungo, oltre un anno, eventuali perdite nei condotti fognari degli stessi allevamenti potrebbero aver portato il virus in altre zone, liberandolo in natura tramite la falda e i fiumi, che ricordiamo essere uno dei luoghi principali in cui stazionano gli uccelli durante le loro migrazioni.

Sono quindi numerosi i fattori che potrebbero aver contribuito nella diffusione dell'influenza aviaria nella popolazione di aquile calve. E a differenza della pandemia da Covid-19, «non possiamo contenere il virus e non possiamo vaccinare tutti gli uccelli selvatici – commentano i ricercatori – L'unica cosa che possiamo fare è documentare le perdite e cercare di aiutare a conservare al meglio le specie e le popolazioni colpite», con la speranza che la fauna selvatica possa resistere all'emergenza e riprendersi successivamente.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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